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Si raccoglie sempre ciò che si semina. Ma in carcere non semina più nessuno

Daniela de Robert
Quando si sono avvicinati per la prima volta al mondo carcerario il gruppo di giovani neolaureati e laureandi in scienze agrarie e forestali della città di Padova che si era organizzato in una cooperativa non pensava certo che quasi vent’anni dopo sarebbero diventati famosi anche all’estero per i loro manichini di cartapesta e per il pluripremiato panettone. Ma questi sono i percorsi del carcere, quando ci si crede e quando ci si investe. La vicenda carceraria di Nicola Boscoletto, presidente del consorzio sociale Rebus (che raccoglie le cooperative Giotto, Work crossing, e CUSL), inizia un po’ per caso quando, giovane laureato in scienze agrarie e forestali decide, insieme ad alcuni amici, di dare vita a una cooperativa per il mantenimento e la gestione delle aree verdi. “Cercavamo di inserirci nel mondo del lavoro – racconta – e l’apertura del nuovo istituto penitenziario di Padova nel 1991 si presentò come un’occasione”. La casa di reclusione Due Palazzi che si sostituiva al vecchio carcere di Piazza Castello, arrivava alla meta dopo un lungo percorso segnato anche dagli scandali delle carceri d’oro della fine degli anni ’80. Il bando per un lavoro di appalto per il recupero, la bonifica e la ristrutturazione dell’area verde sembrava una buona opportunità. Ma i risultati della gara di appalto non arrivavano. “È a questo punto  - dice Boscoletto - che è nata un’idea. Abbiamo pensato che in quello stesso carcere c’erano centinaia di persone che non facevano nulla e che forse avrebbero potuto essere coinvolte. Abbiamo quindi proposto un corso di giardinaggio per venti detenuti”.
Partiva così nel 1991 l’avventura galeotta dei giovani agronomi di Padova. Oggi il corso è alla sua diciannovesima edizione, ha formato oltre duecentocinquanta persone e ha dato vita al primo parco didattico interno a un carcere dove si svolgono le lezioni pratiche.  “Formare e inserire al lavoro all’intero dell’istituto per portarli fuori con un lavoro vero.  È stata questa la filosofia del nostro lavoro in carcere – continua Boscoletto. E abbiamo visto che tra le persone che usufruivano delle misure alternative, che quindi si preparavano con un percorso accompagnato al rientro nella società libera, la recidiva precipitava dal novanta al quindici per cento”. Come dire, il gioco valeva la candela.
Con la legge Smuraglia si aprono altre possibilità. Nel 2001 un capannone inutilizzato del carcere viene trasformato in un laboratorio per la produzione di manichini di cartapesta, realizzati a mano secondo un’antica tecnica toscana che si stava perdendo. I manichini galeotti sono molto apprezzati nel settore dell’alta moda e sono venduti in Italia e all’estero. “Abbiamo sempre pensato che quando si ha a che fare con il lavoro – dice Nicola Boscoletto – bisogna misurarsi con il mercato e con le sue regole. Non si può vivere di carità. Questo significa che per superare pregiudizi e diffidenze – ma anche le grandi complicazioni della burocrazia carceraria – bisogna proporre un lavoro che punti all’eccellenza. La concorrenza è tanta e bisogna farci i conti”. E questa scommessa ha dato grandi risultati quando la cooperativa Giotto ha portato in carcere il lavoro di assemblaggio della gioielleria Morellato e della valigeria Roncato. “La resa del lavoro fatto in carcere è del 90,9 per cento questo significa che gli scarti sono praticamente nulli, tanto che i lavori difettosi delle altre lavorazioni vengono portate da noi per sistemarle. Ma la cosa più significativa è che dopo l’ingresso della lavorazione a Due Palazzi, la Roncato ha chiuso i laboratori che aveva aperto nei paesi dell’Est, riportando in Italia il lavoro che aveva de localizzato. Una bella soddisfazione per tutti noi!”.
Poi è arrivato il laboratorio di cartotecnica che ha una convenzione con il Comune di Padova per la riproduzione delle immagini della Cappella degli Scrovegni. Scatole, quaderni, blocchi per appunti, rubriche, ma anche puzzle, manifesti, cartelline, giochi di carta con gli splendidi affreschi di Giotto vengono composti in carcere.E ancora, il Call Center dove , in due locali completamente rivestiti degli affreschi della Cappella degli Scrovegni,  i detenuti lavoratori prenotano le visite e le analisi in convenzione con la ASL della città.
Ma la svolta è venuta con il progetto Ristorazione Due Palazzi. Padova e Roma sono state scelte dal DAP per una sperimentazione: affidare la gestione della cucina detenuti a cooperative sociali. Ma dato che l’appetito vien mangiando Boscoletto e amici non si sono fermati. “Abbiamo attivato una pasticceria a fianco alle cucine del carcere. Ancora una volta puntando all’eccellenza”. Sono nati i dolci di Giotto: i biscotti, il panettone pluripremiato (premio Golosaria 2008, Piatto d’Argento dell’Accademia italiana della cucina 2009), le veneziane, le colombe, fino all’ultima linea dei dolci di Antonio (dove Antonio, sta per Sant’Antonio da Padova) con la Noce del Santo. “L’ultima soddisfazione è arrivata durante il G8 dell’Aquila. Tra i veri prodotti enogastronomici made in Italy, selezionati da esperti del Gambero rosso e non solo, da presentare e offrire ai grandi della terra riuniti in Abruzzo sono stati scelti anche il nostro panettone e la Noce del Santo. Una scelta che ci fa piacere non solo per la vetrina internazionale ma anche per la natura spiccatamente sociale di questo G8. I nostri dolci sono un modo per veicolare anche l’opera di reinserimento che facciamo attraverso il lavoro, per dire che il reinserimento è possibile e che quando viene attivato un percorso da dei risultati incredibili”.
Certo questa di Padova è una delle eccellenze che caratterizzano il mondo penitenziario italiano, molto disomogeneo che coniuga esperienze come questa a situazioni drammatiche e di grande isolamento e chiusura. Il tutto reso ancora più difficile dal sovraffollamento che ha di gran lunga superato il livello precedente all’indulto.
“Quando abbiamo cominciato non sapevamo bene dove saremmo arrivati, ma già allora credevamo che bisognava investire sulle persone. Oggi, ancora di più, siamo convinti del valore rieducativo del lavoro. Purtroppo però il carcere è stato abbandonato a sé stesso da venticinque anni e il lavoro da fare è veramente tanto”. Di storie di rinascite Boscoletto ne ha viste tante in questi anni: detenuti saliti agli onori della cronaca nera e persone anonime finite dentro, italiani e stranieri, giovani e meno giovani, persone con lunghi anni di detenzione alle spalle e altri che hanno vissuto di piccoli espedienti. A tutti hanno offerto un percorso prima di tutto umano. “Quando ti poni di fronte a un altro uomo non per quello che ha fatto ma per il valore che ha emerge fuori l’umanità vera, nascono la fiducia, la ricerca della verità e la giustizia”.  Ma questo lo capisci quando guardi il mondo galeotto con occhi diversi. “Io stesso – dice Nicola Boscoletto – per capire la società ho dovuto frequentare il carcere. Dentro c’è un’umanità che fuori fatichi a vedere e capire, perché quando stai fuori ti senti dalla parte del giusto. Quello che ho imparato in carcere invece è che il male non è solo dentro e non è solo quello che ti porta dentro. Anche nella società libera, nella società di chi si sente giusto, c’è un male diffuso che spiega anche perché le cose vanno così come vanno. E i detenuti non sono altro che i figli di questa società”.
“Non so – dice ancora Nicola Boscoletto – se esperienze come la nostra siano replicabili. Certamente è legata anche alla rete di rapporti sul territorio, con le imprese, le istituzioni, le realtà sociali, i cittadini. Noi a Padova abbiamo trovato molta accoglienza.  Lo stesso storico Caffè Pedrocchi ci ha aiutato molto veicolando i nostri prodotti di pasticceria. Per questo penso che le esperienze di eccellenza che ci sono in diversi settori devono essere guardate per i valori che esprimono. Sono un po’ come dei fari sparsi per l’Italia che indicano che la strada del recupero e del reinserimento è la strada vincente”.
Ma il percorso è in salita. Dal 1991, quando la cooperativa Giotto è entrata in carcere, a oggi le cose sono cambiate molto. “È cambiata la popolazione detenuta ed è cambiato molto il fuori. Si è perso il senso e il valore del lavoro, dell’impegno. E quando la società va male, il carcere va peggio”.
Mentre parliamo, le carceri italiane continuano a riempirsi. I detenuti dormono sui materassi nelle celle, nelle palestre e persino nelle cappelle. E l’appello di Nicola Boscoletto di ricordarsi sempre che ogni uomo ha un valore e un cuore, anche chi ha sbagliato rischia di rimanere soffocato da un piano carceri che pensa solo a costruire nuove galere. E il faro che illumina la strada del reinserimento rischia di sbattere contro mura di cinta sempre più alti costruiti in nome della paura.
“Si raccoglie sempre quello che si è seminato – dice Boscoletto. Purtroppo in carcere non si semina da venticinque anni e oggi non c’è niente da raccogliere. Credo che sia indispensabile un nuovo gesto di clemenza, questa volta però accompagnato da una riforma strutturale sulle misure alternative. Perché il carcere non può essere l’unica risposta”.

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Numero dei detenuti presenti su 43084

61.481 detenuti
il 7/2/2014


Osservatorio sulla contenzione
a cura di Grazia Serra

  
   

   
    a cura di Francesco Gentiloni

" Il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri"
Voltaire

 


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