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L. Castellano e D. Stasio
Diritti e castighi. Storie di umanità cancellata in carcere
il Saggiatore, Milano, 2009


di: Corrado Ferioli

Quando ti dicono che a scrivere questo libro è stata la direttrice di un carcere pensi: sarà la solita sviolinata! Come siamo bravi, come siamo belli eccetera, poi, però inizi a leggerlo il libro e accidenti, la seconda riflessione che fai è: di sicuro non farà mai carriera, visto come parla del mondo in cui lavora.
È la migliore opera sul carcere, del carcere e nel carcere, che sia mai stata scritta. Una perfetta e attentissima analisi della situazione penitenziaria italiana; nessun vocabolo è fuori posto o eccessivo, anche i termini specifici vengono spiegati e c’è anche lo slang tipico del carcerato, veramente la fotografia più lucida e appassionata del carcere che abbia mai letto.
Il libro lo hanno scritto la direttrice di un carcere e una giornalista, la recensione è stata scritta da un detenuto e questo non è un paradosso ma l’evolversi dei tempi, anche per sdoganare l’idea che nel carcere vi sia solo l’essenza del male.
È un libro che appassiona sin dalle prime righe, coinvolge emotivamente, anche se in fondo non c’è un classico protagonista che si muove e compie azioni; il vero protagonista è il carcere e la detenzione, nei suoi molteplici aspetti, sezionati e analizzati con molta lucidità, coerenza e realismo. Si affrontano anche argomenti di solito evitati, come la sessualità negata, l’omosessualità e la violenza dell’ambiente.
È un’opera rara ed eccezionalmente vera, da far leggere ai politici e a quei giornalisti televisivi che invocano la certezza della pena come panacea della sicurezza.
All’autore di questo scritto, detenuto da quasi venti anni, rimane l’auspicio che dopo questo libro le politiche ministeriali possano finalmente imboccare la via prevista dalle leggi e ribadita da questo libro.
Personalmente ritengo che manca un pezzo della storia: una vera e sincera autocritica da parte dei detenuti. In quanto tutte le problematiche evidenziate, analizzate e verificate, comprese le politiche sbagliate in tema di trattamento e le miopie del ministero, cozzano contro l’evidente realtà che la stragrande maggioranza della popolazione detenuta è interessata solo a mantenere i propri vizi esterni, come la droga e i telefonini, dimenticandosi che se l’ordinamento penitenziario prevede dei diritti per i detenuti, il detenuto ha il dovere di migliorarsi in quanto autore di reato, ma è anche vero che questa parte non poteva essere scritta dalle autrici.


(Rebibbia, giugno 2009)
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