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Inferno carceri Marco Pannella digiuna e chiede l’amnistia
Luigi Manconi
Accadono molte cose, di questi tempi, in Italia, e alcune assai positive. E, tuttavia, resistono questioni rimosse, che si riproducono come tabù indicibili. Prendiamo la questione del carcere. Una condizione già degradata, rischia di degenerare ulteriormente per il vuoto di potere che, fatalmente si determinerà a seguito della sostituzione del titolare del ministero della Giustizia. Ma la situazione era già irreparabilmente compromessa.
Per tre anni, il ministro Alfano, ha annunciato il varo di un mirabolante «piano carceri» che si è rivelato né più né meno che aria fritta. Basti pensare che il ministero ha rivendicato la realizzazione di duemila nuovi  posti, mentendo due volte. La prima perché non si è avuto il buon gusto di spiegare che si trattava di un ampliamento di capienza programmato dal precedente esecutivo; la seconda perché si è omesso di ricordare che quei «duemila nuovi posti» sono tutti e solo sulla carta. L’ineffabile sottosegretario Maria Elisabetta Alberti Casellati (che Dio l’abbia in gloria), a una precisa domanda, ha risposto testualmente che «beh, sì, se sono stati fatti nuovi posti, vuol dire che ci avranno messo i detenuti» (cosa in realtà non accaduta a motivo della carenza di personale).
Dunque, il quadro generale è quello noto: sovraffollamento, scadimento di tutti i servizi, emergenza sanitaria, crescita dell’autolesionismo (tra detenuti e agenti). Ma la novità, l’antichissima e sempre inedita novità, è un’altra: sta nel fatto che la politica nazionale continua a ignorare il carcere, come sempre, ma con una sorta di nuova improntitudine. Come è possibile? Come si fa a tollerare che in un ambito del nostro sistema istituzionale, in uno spazio della nostra organizzazione statuale, in una piega scura dell’assetto della nostra vita sociale, si consumino tanta violenza e tanto dolore? E perché il solo Marco Pannella sembra trovare ciò intollerabilmente scandaloso? Forse non è proprio l’unico a scandalizzarsi, ma è solo Pannella (in sciopero della fame da 46 giorni) a spiegare, con le parole e gli atti, che il sistema penitenziario è una priorità assoluta. Sia perché è il deposito ultimo di tutti gli effetti della crisi del sistema della Giustizia; sia perché, ormai da due decenni, il carcere è diventato la principale agenzia di stratificazione sociale. Ovvero lo strumento di controllo dei conflitti e delle devianze e di mediazione delle diseguaglianze tra i gruppi e le classi e, in particolare, tra inclusi ed esclusi e i tanti che oscillano tra le due condizioni. In questa situazione, Pannella pronuncia la parola impronunciabile: amnistia. Sembra qualcosa di oltraggioso ed è, niente più, che un ragionevole, ragionevolissimo, provvedimento di «salute pubblica».
l'Unità 4 giugno 2011
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il 7/2/2014


Osservatorio sulla contenzione
a cura di Grazia Serra

  
   

   
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" Il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri"
Voltaire

 


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