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Due detenuti morti e due in gravissime condizioni

Padova, Casa Reclusione, 3 aprile 2011: Mehedi Kadi, algerino 39enne, si impicca nella Casa di Reclusione "Due Palazzi". Era appena stato trasferito da Vicenza, condannato con pena definitiva fino al 2023 per rapina e tentato omicidio. L’uomo ha deciso di uccidersi quando è rimasto solo in cella mentre gli altri compagni di reclusione usufruivano dell’ora d’aria pomeridiana. Kadi era stato arrestato nell’ottobre del 2008 a seguito di una rapina avvenuta in una villetta di Creazzo (Vicenza).
Lo scorso anno nella Casa di Reclusione di Padova ci furono ben 3 suicidi: il primo fu il 28enne tunisino Walid Aloui, che si impiccò il 23 febbraio 2010; poi fu la volta di Giuseppe Sorrentino, 35 anni, che si uccise il 7 marzo 2010 e l’ultima delle impiccagioni ebbe come vittima Santino Mantice, 25enne, che si uccise nel Reparto Infermeria il 30 giugno 2010, quando gli mancavano soli 3 mesi a terminare la pena detentiva. Inoltre il 17 luglio scorso fu ritrovato senza vita in cella Sabi Tautsi, che aveva 39 anni e la cui morte fu registrata come evento determinato da “cause da accertare”. Negli ultimi 13 mesi, quindi, nell’istituto di pena padovano sono morti 5 detenuti, di cui 4 per suicidio tramite impiccagione.

Osservatorio permanente sulle morti in carcere

Viterbo, Casa Circondariale, 2 aprile 2011: Mario Germani, 29 anni, tenta di suicidarsi nella sua cella del carcere di “Mammagialla”. L’uomo viene salvato da alcuni agenti di Polizia penitenziaria e trasportato d’urgenza nell’ospedale di Belcolle con un’ambulanza del 118, dove è stato rianimato e intubato ed è tuttora ricoverato al reparto di rianimazione, in condizioni gravissime. Era stato arrestato nei giorni scorsi da una pattuglia della polizia che lo aveva sorpreso, di notte, fuori dalla propria abitazione, dove avrebbe dovuto essere agli arresti domiciliari. È stato così denunciato per evasione e riportato in carcere. Sono in corso indagini per accertare le ragioni che hanno indotto il giovane a tentare il suicidio.
Nel carcere di Viterbo l’ultimo decesso risale a un anno fa, quando morì per “cause naturali” Agostino G., detenuto di 35 anni. L’ultimo suicidio avvenne il 20 aprile 2009, con la morte per impiccagione del 57enne Antonino Saladino. Il 2008 fu l’anno più “nero” del carcere di “Mammagialla”, con 3 suicidi ed 1 morte per cause “da accertare”.

Osservatorio permanente sulle morti in carcere


Novara, Casa Circondariale, 2 aprile 2011:  Mario Coldesina, 42 anni, muore in cella. Secondo i primi accertamenti medico legali il decesso è avvenuto per soffocamento. Il detenuto - era rinchiuso nel reparto “nuovi giunti”, in una cella con altre due persone. Da quanto si è saputo, intorno alle 13 l’uomo ha sbucciato un kiwi e l’ha mangiato tutto intero. Subito dopo si è sentito male. Soccorso da personale del 118, intervenuto su richiesta dei responsabili del carcere, è morto poco dopo.
Sul decesso interviene il Sappe, Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria, che esprime preoccupazione per il sovraffollamento delle carceri dal momento che - sostiene l’organizzazione sindacale - la cosiddetta “legge svuota carceri” non ha deflazionato a sufficienza gli istituti di pena. La nota del Sappe continua: “Non è ancora chiaro se si è trattato di un incidente o di un suicidio. L’uomo era detenuto per furto aggravato e il suo periodo di detenzione sarebbe terminato nel 2013. Aveva impugnato la sentenza di primo grado ed era in atteso della conclusione del processo di appello”.

Osservatorio permanente sulle morti in carcere


Bari, Casa Circondariale, 1 aprile 2011: Carlo Saturno, 22 anni, di Manduria (Ta), si impicca in cella. Ora è in condizioni disperate nella rianimazione del policlinico di Bari, dove è mantenuto in vita dalle macchine. L’elettroencefalogramma di ieri è risultato piatto, come quello del giorno precedente, per cui da un momento all’altro i sanitari potrebbero decidere di staccare la spina del respiratore.
A trovarlo penzoloni sono state le guardie che lo hanno tirato giù quando respirava appena ed era in fin di vita. In suo aiuto è intervenuto il personale dell’infermeria e del 118. Ora però rischia di non farcela. Come fanno sapere i suoi familiari, Carlo soffriva da tempo di crisi depressive ed era in cura con tranquillanti. Il suo avvocato, Tania Rizzo, del foro di Lecce, lo aveva visto l’ultima volta una ventina di giorni fa nel corso di un’udienza che lo riguardava nel tribunale di Manduria.
"In quell’occasione - racconta l’avvocatessa - Carlo era visibilmente agitato, nervoso e scostante". I familiari che vivono a Manduria si sarebbero già rivolti ad un proprio legale di fiducia per capire le cause del gesto e soprattutto per scoprire eventuali responsabilità.
Il giovane era detenuto per furto, ma era anche parte civile nel processo in corso davanti al tribunale di Lecce contro nove poliziotti del carcere minorile, che sono accusati di aver compiuto violenze sui ragazzi detenuti tra il 2003 e il 2005. Carlo, che all’epoca16enne, avrebbe subito vere e proprie sevizie. Gli agenti sono accusati di maltrattamenti e vessazioni. Saturno - spiega ancora l’Osservatorio - è uno dei tre ex detenuti di quel minorile che ha trovato il coraggio di presentarsi come parte lesa nel processo iniziato il 19 febbraio scorso davanti giudice Pietro Baffa, che vede alla sbarra, per i presunti abusi nei confronti anche di Saturno, il capo degli agenti Gianfranco Verri, il suo vice Giovanni Leuzzi, sette agenti di polizia penitenziaria, per rispondere tutte della presunta atmosfera di paura instaurata tra i giovani detenuti con minacce, privazioni e violenze non di natura sessuale.

Osservatorio permanente sulle morti in carcere
Venezia. Detenuto si toglie la vita in cella
La Nuova 28 marzo 2011
Ancora un suicidio nel carcere veneziano di Santa Maria Maggiore. Si è impiccato domenica sera nella sua cella un detenuto romeno di 29 anni. Era entrato in carcere a febbraio e dopo pochi giorni aveva già compiuto un gesto di autolesionismo, che aveva costretto gli agenti della Polizia penitenziaria a trasferirlo per alcuni giorni in ospedale per le cure. Dopo il suo ritorno in cella era tenuto d'occhio, ma gli organici a Santa Maria Maggiore sono davvero risicati e in questi giorni i detenuti sono 370.  Il giovane rumeno si è impiccato appendendosi alle sbarre.
Nel 2009 sono stati ben tre i suicidi a Santa Maria Maggiore, un altro lo scorso anno e proprio tre giorni fa, da Roma, la Uil aveva segnalato che il carcere venziano nei primi tre mesi del 2011 aveva conquistato il triste primato dei tentati suicidi tra i detenuti: sono stati ben dieci, quasi tutti sventati. In Italia si tratta del quindicesimo suicidio in carcere dall'inizio dell'anno.
Detenuto di 35 anni suicida questa mattina nel carcere di Pescara
19 marzo 2011
Legale detenuto suicida, aveva già tentato di uccidersi
1 marzo
Roma, 1 mar. - (Adnkronos) - Aveva gia' tentato il suicidio in carcere a Salerno il detenuto Jean Jaques Olivier Esposito, che si e' tolto la vita oggi presso la casa circondariale di Ariano Irpino. Lo rende noto il suo legale, l'avvocato Michele Sarno. ''Esposito era detenuto in forza di un'ordinanza di custodia cautelare in carcere per spaccio di ingente quantitativo di sostanza stupefacente - spiega l'avvocato - Tale provvedimento era stato confermato dinanzi al Tribunale del Riesame di Napoli. A seguito di cio' era intervenuto un interrogatorio sollecitato dalla difesa, nel quale l'uomo aveva offerto chiarimenti rispetto alla vicenda''.
Dopo il tentativo di suicidio, ricorda l'avvocato Sarno, ''la difesa il 18 febbraio 2011 aveva inoltrato istanza di scarcerazione o di concessione degli arresti domiciliari. Nelle more il detenuto era stato trasferito presso la casa circondariale di Ariano Irpino.''
''Va ulteriormente precisato che nella istanza la difesa evidenziava l'opportunita' dell'adozione di un provvedimento piu' attenuato sotto il profilo cautelare proprio in ragione delle condizioni dell'uomo - sottolinea il legale - o e del fatto che lo stesso, sulla base dei tentativi di suicidio, fosse sostanzialmente incompatibile con la struttura carceraria''. La difesa, conclude l'avvocato, ''procedera' alla nomina del dr. Tito De Marinis quale consulente medico legale relativamente alle operazioni peritali, riservandosi sin da ora di proporre tutte le azioni a tutela dei familiari del proprio patrocinato''.
Pavia: detenuto di 38 anni si uccide asfissiandosi con il gas, salgono a 7 i suicidi da inizio anno
12.02.2011
L’uomo non era tossicodipendente, sembra esclusa l’ipotesi che sia morto per un “incidente” occorso nel tentativo di “sballarsi” con il gas butano.

Jon R. aveva 38 anni, era di origini romene. Ha aspettato che i compagni di cella uscissero per l’ora di socializzazione. Una volta rimasto solo con le sue angosce ha messo in pratica il suo proposito disperato, che forse covava da tempo. Ha inalato il gas della bomboletta che viene data ai detenuti per cucinare e si è infilato un sacchetto di plastica in testa, per aumentarne gli effetti. Il giovane detenuto, un romeno di 38 anni, è morto in pochi minuti.
I compagni di cella, al ritorno, lo hanno trovato steso per terra, vicino alla branda. Ormai senza vita. I medici del 118, subito allertati, hanno fatto il possibile per salvarlo, ma per il ragazzo non c’è stato niente da fare. Inutile il trasporto in ospedale.
Era arrivato nel carcere di “Torre del Gallo” un mese fa, proveniente da un altro istituto penitenziario. Era recluso nel reparto “protetti”, riservato a chi deve scontare pene per reati ritenuti “infamanti” dagli altri carcerati. Infatti l’uomo era in carcere per violenza sessuale. Non si conoscono i motivi del gesto, ma pare che da giorni fosse in uno stato di prostrazione dovuto proprio alle accuse per cui era detenuto, ma i compagni e gli agenti di polizia penitenziaria non immaginavano che sarebbe arrivato a un gesto così estremo.
Sulla vicenda è stata aperta un’inchiesta. I vertici del carcere hanno avvisato il magistrato di turno in Procura, che si è recato sul posto per valutare il caso. “Non siamo ancora in grado di dire niente, gli accertamenti sono in corso”, si limita a dire il direttore del carcere, Jolanda Vitale. Mentre il provveditore regionale agli istituti penitenziari, Luigi Pagano, spiega: “Il detenuto è rimasto solo per un breve momento, mentre gli altri compagni stavano tornando dall’ora di socializzazione. Il fatto è che basta inalare il gas per pochi minuti perché questo abbia effetti letali. La crisi respiratoria che ne deriva diventa irreversibile”.
Il provveditore alle carceri della Lombardia, Luigi Pagano, in attesa che l’inchiesta della procura faccia luce sull’ennesimo caso di suicidio in cella, interviene sulla disponibilità delle bombolette da parte dei detenuti: “Sarà necessario in futuro fissare altre regole, bisogna ripensare all’utilizzo di queste apparecchiature. In realtà il sistema è già regolamentato dalla legge, ma nell’uso concreto delle bombolette molte cose sfuggono al controllo. I detenuti possono usarle per cucinare, e non sempre è possibile prevedere ogni loro gesto. Comunque seguirò personalmente la vicenda”. L’inchiesta aperta dalla procura è un atto dovuto. Al momento non si ipotizzano ipotesi diverse da quelle del suicidio.



Associazione A “Buon Diritto”, Redazione “Radiocarcere”, Redazione “Ristretti Orizzonti”

Sulmona: detenuto di 64 anni si suicida impiccandosi nel “Reparto internati”
Da inizio anno è il terzo suicidio in carcere, mentre altri 4 detenuti sono morti per “cause natura
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21 gennaio 2011

Un nuovo suicidio nel cosiddetto “Reparto internati” del carcere di Sulmona. Formalmente si tratta di una “Casa di Lavoro”, pensata per agevolare il recupero di quei condannati che, pur avendo terminato di scontare la pena, non vengono rimessi in libertà in quanto ritenuti “socialmente pericolosi”. In realtà è un luogo di disperazione, dove gli “internati” restano rinchiusi per mesi ed anni senza processo e senza “fine pena” certo.
Sono 200 le persone che popolano questo Reparto, sovraffollato oltre ogni limite. Lo scorso anno tre internati si sono uccisi: Antonio Tammaro, di 28 anni, il 7 gennaio; Romano Iaria, di 54 anni, il 3 aprile; Raffaele Panariello, di 31 anni, il 24 agosto. Un quarto, Domenico Cardarelli, di 39 anni, è morto per cause “naturali” l’8 aprile 2010. In altre 14 situazioni (solo lo scorso anno) i detenuti hanno provato a uccidersi, ma sono stati salvati grazie al provvidenziale intervento degli agenti di polizia penitenziaria.
La Casa di Lavoro di Sulmona avrebbe una capienza di 75 posti: invece in celle di nove metri quadrati, concepite per un massimo di due persone, oggi sono in 4-5, con brande a castello e nessuno spazio per muoversi.
È l’unica struttura del genere considerata di “massima sicurezza”, rimasta in funzione insieme a quella di Saliceta San Giuliano di Modena. Gli altri due istituti, a Castelfranco Emilia e Favignana, hanno smesso di svolgere la loro funzione di “recupero sociale”. Così in due anni Sulmona ha visto quadruplicare il numero degli ospiti internati, saliti da 50 a 200.
Un carcere difficile quello di Sulmona, anche se in questi ultimi tempi il direttore Romice sta lottando duramente per migliorare le condizioni sia dei detenuti sia degli operatori che lavorano nella struttura. Nel recente passato ci sono stati anche suicidi “eccellenti”, come quelli del sindaco di Roccaraso, Camillo Valentini, o della direttrice Armida Miserere.
Mauro Nardella, Vicesegretario della Uil-Pa Penitenziari Abruzzo, riconosce l’impegno straordinario della direzione, ma lamenta una insufficienza di risorse economiche e di personale (sotto organico di almeno 60 unità), che può essere risolta solo a livello politico, cominciando col modificare le norme che oggi consentono l’internamento (senza processo e, quindi, senza reati accertati) degli ex detenuti, in base a una prognosi di “pericolosità sociale”.
E sul versante politico una prima risposta arriva da Rita Bernardini, Deputato Radicale membro della Commissione Giustizia della Camera, che nel prossimo fine settimana tornerà a visitare il carcere di Sulmona, per verificarne le condizioni incontrando gli operatori penitenziari e i detenuti.


La cronaca del suicidio

Ancora un suicidio nel carcere di Sulmona. Un detenuto egiziano di 64 anni si è ucciso impiccandosi nella sua cella, nel reparto internati del penitenziario peligno. Il detenuto era affetto da tempo da una forte depressione che aveva minato il suo equilibrio psichico.

Furti, rapine ed estorsioni che l’avevano costretto trascorrere molti anni dietro le sbarre. Ad agosto aveva ottenuto la libertà dopo aver finito di scontare la sua pena. Ma la lunga detenzione gli aveva procurato forti contraccolpi a livello psichico. Uscito dal carcere, ha cercato di rifarsi una vita trasferendosi a Roma ma nella capitale si sarebbe macchiato di nuovi reati tanto che lo scorso mese di dicembre è tornato nel carcere di Sulmona, questa volta da internato.

Proprio in seguito al comportamento assunto una volta uscito dal carcere, il giudice lo ha ritenuto socialmente pericoloso, condannandolo all’ulteriore pena della Casa di Lavoro. Erano quasi le 20 di ieri quando gli altri internati hanno lanciato l’allarme richiamando l’attenzione degli agenti di polizia penitenziaria in servizio in quel momento. A nulla sono valsi i tentativi di rianimarlo, tanto che il medico del carcere intervenuto anche lui in soccorso dell’egiziano, non ha potuto far altro che constatarne il decesso.

Sul posto sono accorsi anche gli agenti della scientifica del commissariato di via Sallustio per effettuare i rilievi del caso. Sembrerebbe che il detenuto sia impiccato alla grata della cella utilizzando un pezzo di lenzuola.

Sull’episodio sono state avviate due inchieste: la prima interna ordinata dal direttore del carcere Sergio Romice e l’altra avviata dal procuratore Federico De Siervo, il quale ha già fissato per oggi l’autopsia per accertare in maniera definitiva le cause che hanno portato alla morte del detenuto egiziano.
Dall’inizio del 2011
tre morti per cause naturali a Lecce, Frosinone e Livorno, un suicidio ad Aversa.
CARCERI: DETENUTO SI SUICIDA A GENOVA PONTEDECIMO. E' il 66° del 2010
(ASCA) - Roma, 20 dic - ''Intorno alle 20.00 di ieri, Marco Fiori, detenuto 24enne di Alghero, si e' tolto la vita impiccandosi con un legaccio ricavato dalle lenzuola nel bagno della sua cella nel reparto 'protetti' nel carcere di Genova Pontedecimo. Il detenuto era ristretto nella stessa cella di Fabrizio Bruzzone, l'ex maresciallo dei Carabinieri salvato in extremis da un suicidio venerdi' sera dagli agenti penitenziari''. A darne comunicazione Eugenio Sarno, Segretario Generale della UIL PA Penitenziari che riferisce: ''Dopo la distribuzione delle terapia somministrata dall'infermiere di turno, Bruzzone ha notato che il proprio compagno di cella non usciva dal bagno, trovandolo in fin di vita. A nulla e' valso l'immediato soccorso del personale paramedico e di sorveglianza presente sul posto''. Continua a salire, dunque, il numero di suicidi in carcere. Con questo suicidio e quello avvenuto ieri a L'Aquila il totale dei suicidi in cella del 2010 e' giunto a 65.
''Proprio alcune ora fa avevamo lanciato l'allarme circa la difficile situazione
di Genova Pontedecimo. I segnali di una deriva violenta c'erano, e ci sono, tutti. La grave e deficitaria situazione organica della polizia penitenziaria non puo' che aggravare i fattori di rischio. Per l'ennesima volta - sottolinea il Segretario Generale della UIL PA Penitenziari - lanciamo l'ennesimo appello alla responsabilita' perche' chi detiene le responsabilita' amministrative del DAP convochi un tavolo di confronto perche' si possano esaminare le proposte, piu' volte formulate, di un piano di rientro di quelle unita' di polizia penitenziaria impiegate nei palazzi del potere romano che rappresentano uno schiaffo alla poverta' operativa delle periferie. Solo a Pontedecimo sono circa una trentina le unita' distaccate in altre sedi e per altri servizi. Forse sarebbe piu' utile avere qualche autista o preposto alle anticamere in meno e qualche agente in piu' nelle sezioni detentive. Speriamo che questa nostra sollecitazione sia raccolta e sostenuta anche da quei sindacati che non perdono occasione per lanciare gli allarmi, ma sono complici della transumanza verso le comode poltrone dei palazzi del potere.
Il Ministro Alfano ed il capo del DAP Ionta diano un segnale tangibile di presenza, operativita' e disponibilita'''.. ''Rispetto alla tragedia sociale, umanitaria, sanitaria e di ordine pubblico che e' la 'questione penitenziaria' - avverte Sarno - l'intero Parlamento dovrebbe farsi carico di una discussione unitaria perche' si trovino quelle soluzioni necessarie. Soluzioni vere, non fittizie. Uomini, donne, mezzi e risorse. Di cio' la comunita' penitenziaria ha bisogno. Non delle chiacchiere''.
Asca 20 dicembre 2010

L'Aquila, suicida un detenuto in regime di 41 bis nel carcere di Preturo. 65° del 2010

L'AQUILA. Si è tolto la vita impiccandosi nella cella del supercarcere Le Costarelle di Preturo dove era stato portato circa un mese fa. Era in regime di 41 bis, il cosiddetto carcere duro. Il suo nome è Pietro Salvatore Mollo, calabrese, 41 anni.
Il suicidio è avvenuto ieri pomeriggio fra le 14 e le 15. L’uomo secondo una prima ricostruzione fatta dagli uomini della squadra mobile che si sono recati sul posto per le indagini si sarebbe tolto la vita legando una sorta di corda - realizzata con pezzi dei suoi indumenti o con le coperte del letto - all’inferriata della finestra della cella.
Ad accorgersi di quanto avvenuto sono stati gli agenti della polizia penitenziaria che tenevano il detenuto sotto uno strettissimo controllo sia per il particolare regime carcerario e sia perché c’erano stati in precedenza altri atti autolesionistici. Ogni tentativo di rianimarlo è stato inutile.
L’avvocato di Pietro Salvatore Mollo, Ettore Zagarese, sembra avesse chiesto alla magistratura calabrese un regime carcerario meno duro per il suo assistito proprio in ragione della sua condizione psicofisica. Secondo le prime risultanze investigative non ci sarebbero dubbi sul fatto che si sia trattato di un suicidio.
Il corpo è stato trasportato all’obitorio dell’ospedale San Salvatore. Il magistrato ora dovrà decidere se effettuare o meno l’a utopsia prima di autorizzare lo svolgimento dei funerali. Pietro Salvatore Mollo era giunto nel supercarcere un mese fa. Era stato arrestato a luglio a Corigliano Calabro (Cosenza) insieme ad altre 66 persone nell’ambito dell’operazione “Santa Tecla” condotta dalla direzione distrettuale antimafia di Catanzaro e eseguita dagli uomini del Gico della Guardia di Finanza di Catanzaro, in collaborazione con i colleghi dello Scico di Roma e dai Carabinieri del comando provinciale di Cosenza. Mollo sarebbe stato al centro di un giro di droga tra Calabria, Albania e Sud America.Le indagini dei carabinieri e della Guardia di finanza si sarebbero basate anche sulle dichiarazioni di tre collaboratori di giustizia. Secondo tali collaboratori Mollo faceva arrivare la droga a Corigliano tramite una serie di personaggi e “famiglie” a lui legati. Il “terminal” della droga sarebbe stato l’appartamento che Mollo aveva sopra la palestra di cui era gestore. Qui, col rigido controllo di un sistema di telecamere “antisbirro”, la droga arrivava su due Audi che partivano vuote da casa di Mollo per poi tornare, dopo un paio d’ore, cariche di droga e scortate da due macchine staffetta. Spesso a controllare a
ttraverso i monitor che non ci fossero in giro forze dell’ordine, Mollo non sarebbe stato solo ma in compagnia di un avvocato. Quest’ultimo avrebbe rivestito un ruolo importante nell’organizzazione, non solo risulta come cofinanziatore per l’acquisto delle partite di stupefacente, ma a quanto pare era una specie di “sommelier” della droga, a lui era affidato infatti il compito di assaggiare i campioni per verificarne la purezza.
La creazione, però, di un asse della droga parallelo a quello ufficialmente riconosciuto dalle cosche dello Ionio cosentino, a quanto pare stava per costare caro a Mollo, scampato alla morte solo per un disguido. Alle persone coinvolte, accusate di far parte della pericolosa organizzazione ’ndranghetistica con base nell’alto Ionio cosentino, furono contestati i reati di associazione mafiosa, estorsione, usura, traffico e spaccio di sostanze stupefacenti.
Le forze dell’ordine eseguirono anche il sequestro di beni mobili, immobili, attività commerciali e conti correnti bancari per un valore complessivo di circa 250 milioni di euro.

Giustino Parisse
Il Centro 18 dicembre 2010


Como: in carcere per droga, suicida a 31 anni. 64° del 2010

In carcere per scontare una condanna legata alla detenzione e allo spaccio di sostanze stupefacenti, si è suicidato nella sua cella del Bassone di Como. Ad attuare il disperato gesto un detenuto di 31 anni, Alessandro Luzzani, in carcere dallo scorso settembre, residente nell’Erbese (Como), trovato ormai privo di vita stamattina dagli agenti della Polizia penitenziaria. Secondo quanto si apprende, l’uomo si sarebbe suicidato mettendosi sulla testa un sacchetto in plastica, uno dei metodi maggiormente utilizzati dai detenuti che fanno questa disperata scelta. L’ultimo episodio accaduto nel carcere di Como risale al maggio scorso quando a togliersi la vita era stato un 57enne che, più volte finito in carcere, da alcuni giorni aveva iniziato uno sciopero della fame sostenendo di sentirsi perseguitato dalla magistratura.



CARCERI: GARANTE, DETENUTO SUICIDA IN PENITENZIARIO FIRENZE. 63° del 2010


(ASCA) - Firenze, 16 dic - La notte scorsa nel carcere fiorentino di Sollicciano, un cittadino magrebino di 35 anni condannato in primo grado per spaccio e che aveva il fine pena nel 2011, si e' suicidato aspirando il gas di una bomboletta nel gabinetto della cella. Lo comunica il garante per i diritti dei detenuti del Comune di Firenze, Franco Corleone.
''Il sovraffollamento - afferma Corleone - ha provocato un'altra vittima innocente. Era mezzanotte, nella cella erano in sei persone e secondo quanto dichiarato dalla Direzione, il soccorso dei compagni, della Polizia Penitenziaria e dei medici e' stato immediato ma non c'e' stato niente da fare.
Questa morte e' una risposta eloquente a chi ha dipinto il carcere come un luogo da cui si esce facilmente per legge.
Magari per la cosiddetta 'svuota carceri'. Verificheremo le cause della morte attraverso i risultati dell'autopsia - conclude il garante - ma certo questo ulteriore dramma obbliga a ripensare le condizioni di vita in un carcere illegale''.

16 dicembre 2010

Suicida detenuto a Firenze – 62° del 2010

Venerdi 10 dicembre suicida un agente penitenziario
61° Suicidio in carcere avvenuto a Carinola (Ce) il 28 novembre 2010.
Rocco D’Angelo     53 anni    
(AGI) - Napoli, 29 nov. - Un detenuto a Carinola, penitenziario nel casertano, ex collaboratore di giustizia, Rocco D'Angelo, 53enne nato a Frattamaggiore, nel napoeltano, si e' tolto la vita impiccandosi con la fettuccia della tuta da jogging che indossava.
"Le modalita' del suicidio - spiega il segretario dell'Uilpa Eugenio Sarno - fanno pensare che fosse un gesto premeditato, tant'e' che D'Angelo ha lasciato due lettere indirizzate alla moglie ed a proprio difensore. Il detenuto si trovava a Carinola per ragioni di giustizia, ma era effettivo al carcere di Mammagialla a Viterbo". In questo anno, sinora, sono 61 i suicidi in cella e circa 970 i tentati suicidi, "eta' dei quali non portati a termine per il tempestivo e determinante intervento della polizia penitenziaria", sottolinea Sarno. (AGI) Lil/Uba
BOlogna, accertamenti Procura su suicidio detenuto sloveno alla Dozza

Bologna, 30 ott. - (Adnkronos) - La pm della Procura felsinea Antonella Scandellari ha disposto una serie di accertamenti per fare chiarezza sul suicidio di Gheghi Plasnicj, un detenuto sloveno di 32 anni, avvenuto ieri mattina nel carcere bolognese della Dozza.

Il magistrato ha disposto tra le altre cose l'acquisizione della documentazione sanitaria relativa all'uomo, per capire se la terapia farmacologia che gli era stata prescritta era adeguata al suo stato di depressione, ed ha conferito l'incarico di eseguire l'autopsia.
L'uomo, che aveva precedenti penali per tentato omicidio e per altri reati, si e' impiccato verso le 11,30 ai tubi della doccia usando i lacci delle scarpe. Non era la prima volta che cercava di togliersi la vita. Lo aveva gia' fatto nel carcere di Ravenna da dove era stato trasferito a Bologna. Secondo l'Osservatorio permanente sulle morti in carcere, dopo quello di Bologna sarebbero gia' 58 i casi dall'inizio dell'anno.
OSSERVATORIO PERMANENTE SULLE MORTI IN CARCERE
Radicali Italiani, Associazione “Il Detenuto Ignoto”, Associazione “Antigone”
Associazione A “Buon Diritto”, Redazione “Radiocarcere”, Redazione “Ristretti Orizzonti”
Due suicidi in poche ore. Sale a 58 il numero delle vittime per autolesionismo nel 2010
Di Giulia Torbidoni


Due suicidi nell’arco di poche ore: a Foggia e a Bologna. Il primo è un detenuto seminfermo di mente che si è impiccato ieri sera nel carcere di Foggia. Si tratta di Giancarlo Pergola, di 55 anni, in prigione dal dicembre 2008 per matricidio. Ieri sera, verso le 19, si è impiccato con il lenzuolo nella sua cella, nel reparto precauzionale dell’istituto e il cadavere è stato trovato da un agente della polizia penitenziaria. Lo scorso 16 marzo, i giudici della corte d’assise di Foggia lo avevano condannato a 12 anni di carcere riconoscendogli la semi infermità mentale. L’uomo, la sera stessa del delitto, confessò di avere ucciso la madre perché stanco che la donna lo accusasse per la condizione economica e lavorativa. Secondo Ristretti Orizzonti, si arriva così ad ottobre, a 6 suicidi in carcere, mentre sono 57 dall’inizio del 2010: 47 si sono impiccati, 6 sono morti per asfissia con il gas delle bombolette da cucina, 3 per avvelenamento di farmaci e 1 dissanguato per essersi tagliato la gola. Per quanto riguarda la Puglia, quello di Pergola è il quinto suicidio del 2010, dopo i 2 avvenuti nell’istituto di Lecce, uno a Brindisi e uno ad Altamura. Ai 57 suicidi, però, va aggiunto il secondo suicida di queste ore. È un detenuto sloveno di 32 anni. Si è impiccato questa mattina nelle docce del carcere della Dozza di Bologna usando come cappio i lacci delle scarpe.
Eugenio Sarno, segretario generale della Uil penitenziari, che ne ha dato la notizia, ha definito “un’ecatombe” il numero crescente di suicidi in carcere. “Abbiamo molte difficoltà – ha detto – a comprendere come mai l’informazione sia predisposta a una deriva gossip e non pare interessata ad approfondire quello che ogni giorno di più appare essere ciò che è: un dramma umanitario, sanitario e sociale. Analogamente abbiamo qualche difficoltà a comprendere l’immobilismo della politica e le azzardate dichiarazione di attenzione verso l’universo penitenziario. Questi corpi dovrebbero essere macigni sulle coscienze di chi dovrebbe e potrebbe gestire e risolvere, ma non lo fa. Le 6.500 unità mancanti alla polizia penitenziaria, i 600 educatori e i 500 assistenti sociali in meno, i circa 25 mila detenuti in più, le degradate e invivibili condizioni delle nostre prigioni sono l’humus in cui prosperano disperazione, depressione e violenza”.

innocentievasioni.net
29 ottobre 2010
Detenuto di 22 anni trovato morto nel carcere di Ancona Montacuto è il 56° suicidio dall'inizio dell'anno


Si tratta della terza morte “misteriosa” da inizio anno nel carcere anconetano. Tre ragazzi poco più che ventenni, ritrovati cadavere senza segni di violenza sul corpo. Il Dap non parla di suicidi, ma di “cause naturali”.
Alberto Grande, 22 anni, è stato ritrovato morto ieri mattina nella sua cella del carcere di Montacuto ad Ancona.
Si tratta della terza vittima dentro l’istituto di pena anconetano dall’inizio dell’anno: tre detenuti giovani e non affetti da particolari patologie, le cui morti appaiono quantomeno “sospette”. Il primo caso risale allo scorso mese di maggio (non conosciamo la data precisa), quando un 27enne marocchino fu ritrovato senza vita steso sul pavimento della cella. La notizia non trapela fino ad agosto quando, in occasione dell’iniziativa “Una cella in piazza”, la responsabile del Prap regionale, Manuela Ceresani, dichiara alla stampa: “Due soli i suicidi registrati da inizio anno (nelle carceri delle Marche - n.d.r.), uno ad Ancona (Montacuto) e il secondo a Fermo”. (Il Messaggero - Cronaca di Ancona, 21 agosto 2010). Ma il Dipartimento della Amministrazione Penitenziaria, che ha ricevuto dal Prap delle Marche la comunicazione del decesso (suicidio?), classifica l’episodio come “morte per cause naturali”, come risulta dalla statistica sugli “eventi critici” in carcere aggiornata al 9 agosto 2010 e diffusa a inizio settembre (vedi pagina 8 del dossier allegato). Il pomeriggio del 25 settembre Ajoub Ghaz, detenuto tunisino di 26 anni, viene ritrovato morto nella sua cella. Dai primi rilievi sembra che abbia ingerito un mix letale di farmaci. La procura di Ancona dispone l’autopsia. “Non si esclude la tesi di un suicidio” (Resto del Carlino - Cronaca di Ancona, 26 settembre 2010) Il 27 settembre Eugenio Sarno, Segretario generale del sindacato Uil-Pa Penitenziari, dichiara all’Adnkronos: “Il suicidio del 26enne detenuto tunisino nel carcere di Ancona, che si è verificato sabato scorso, fa salire l'asticella delle autosoppressioni dietro le sbarre, nel 2010, a 50 morti".
Il 13 ottobre il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria diffonde le statistiche aggiornate riguardanti i suicidi in carcere: ad Ancona non risulta avvenuto nessun suicidio, mentre risulta quello avvenuto a Fermo (Ap), come dichiarato dalla responsabile del Prap Marche in agosto. Si tratta di Vincenzo Balsamo, che si è impiccato il 23 febbraio. (vedi pagina 5 del dossier allegato). Ieri, per la terza volta dall’inizio dell’anno, nel carcere di Montacuto un giovane detenuto muore per cause apparentemente misteriose. Il Resto del Carlino - Cronaca di Ancona, oggi scrive: “Ennesimo giallo nel carcere di Montacuto. La vittima è un ragazzo di origini napoletane, Alberto Grande, e il rinvenimento del suo cadavere è avvenuto nella tarda mattinata di ieri”. “Quando un compagno di cella ha dato l’allarme sul posto sono accorsi medico e infermiere del carcere che hanno tentato di rianimare il giovane, purtroppo invano. Grande non si è mai ripreso e una volta constatato il decesso la salma è stata trasferita all’istituto di medicina legale dell’ospedale di Torrette. Tutte in piedi le ipotesi che hanno provocato l’arresto cardiocircolatorio del ventiduenne. Gli inquirenti e le autorità carcerarie non escludono che si sia potuto trattare di un gesto volontario, magari a seguito dell’assunzione di farmaci. La cosa certa al momento è che sul corpo del giovane non sono stati trovati segni di morte violenta, ma è chiaro che soltanto l’autopsia, disposta dalla procura, chiarirà ogni dubbio”. Alberto Grande si è suicidato, assumendo intenzionalmente un mix letale di farmaci, o delle droghe?
Oppure l’arresto cardiocircolatorio che lo ha ucciso è da attribuire a “cause naturali”? Per noi rimane il fatto che un ragazzo di 22 anni, entrato sano in carcere lo scorso luglio, in carcere ci è morto. Il Dossier “Morire di carcere” (in allegato) mette a confronto le nostre rilevazioni con quelle ufficiali del Dap: la divergenza di alcuni numeri è facilmente spiegabile con casi come quelli sopra esposti, ma anche per la diversa considerazione data ai decessi che avvengono in ospedale (di detenuti che , impiccati in cella, erano stati trasportati ancora vivi – sia pure in coma – fuori dal carcere): noi li contiamo, il Dap no.
Al 13 ottobre 2010 il Dap enumera 52 casi di suicidio (per noi erano 54, ora saliti a 56, se consideriamo anche la morte di Alberto Grande). Nel 2009 il Dap ha registrato 58 suicidi in carcere e noi ne abbiamo censiti 72. Dal 2000 ad oggi a noi risultano 616 casi di detenuti che si sono tolti la vita, per oltre il 90% tramite impiccagione.
Per quanto riguarda il totale delle morti in carcere, da inizio anno ne contiamo 141 e dal 2000 ad oggi oltre 1.700.
Un paragone con la rilevazione del Dap in questo caso è impossibile, poiché l’Amministrazione Penitenziaria ha diffuso solamente i dati riguardanti i decessi per “cause naturali”, escludendo le morti per le quali la magistrature ha aperto indagini miranti ad accertare eventuali responsabilità di terze persone. Gli atti di autolesionismo tra i detenuti – che includono anche i tentativi di suicidio – sono stati 5.657 nel 2009 e 3.563 dall’1 gennaio al 9 agosto 2010 (al 13 ottobre sono diventati 4.585). Anche la Polizia Penitenziaria paga a caro prezzo le condizioni di crescente disagio e affollamento delle carceri: 3 agenti si sono uccisi nel 2010 e 6 nel 2009. Le aggressioni al personale di Polizia Penitenziaria da parte dei detenuti sono state 474 nell’anno 2009 e 348 dell’1 gennaio al 9 agosto 2010.

Fonte: http://detenutoignoto.blogspot.com/2010/10/detenuto-di-22-anni-ritrovato-morto-nel.html
23 ottobre 2010
Si impicca e muore a Pistoia in aumento i suicidi in carcere

L'uomo, che martedì scorso si era legato alla branda con delle lenzuola, non ce l'ha fatta e si è spento in ospedale. Dall'inizio dell'anno negli istituti toscani si sono registrati 141 casi: alla regione il triste primato

E’ morto in ospedale il detenuto di 35 anni che martedì 12 settembre si era impiccato nel carcere di Pistoia. L’uomo, che era in carcere dall'estate scorsa per una rapina, si è legato alla terza branda del letto a castello con delle lenzuola, mentre i compagni di cella erano assenti.
I medici avevano già dichiarato in serata la morte cerebrale del detenuto. Dalla struttura era anche uscita la notizia che avesse problemi psichiatrici, ma i familiari hanno smentito quest’ultima indiscrezione.
Dall’inizio dell’anno negli istituti toscani si sono registrati 141 tentati suicidi, come riporta il capogruppo dell’Udc in Consiglio regionale, Giuseppe del Carlo: "Se siamo la prima regione in Italia per tentati suicidi in prigione vuol dire che le iniziative all'interno dei nostri istituti penitenziari non sono sufficienti", ha commentato il consigliere.
Per Del Carlo occorre "incrementare l'assistenza psicologica" e "migliorare le condizioni di vivibilità per i detenuti". "Questo triste primato - ha proseguito - deve far riflettere le istituzioni pubbliche, in particolare la Regione, visionando la situazione carcere per carcere, a partire dalla vivibilità: nonostante siamo uno dei territori a più alta concentrazione di istituti di pena, il fenomeno dell'eccessivo sovraffollamento è un problema ormai annoso. Forme di custodia attenuate, poli scolastici penitenziari (tra l'altro a rischio chiusura), laboratori e attività teatrali probabilmente non bastano".
"L’ennesima tragedia pone come non più rinviabile la necessità che anche le istituzioni locali, si impegnino per approntare una immediata risposta alla emergenza carceraria, che a Pistoia ha raggiunto livelli non più tollerabili e pertanto chiediamo l'istituzione urgente di un tavolo di confronto". Lo scrivono in una lettera la segretaria generale della Cgil Pistoia Gessica Beneforti e la segretaria della Fp Cgil pistoiese Silvia Biagini.

Riccardo Bianchi
La Repubblica 13 ottobre 2010
Detenuto di 42 anni si impicca nel carcere di Ravenna: è il 54° suicidio dell’anno

Ad Olbia ritrovato cadavere un ergastolano di 50 anni: da inizio anno 135 i detenuti morti
Cazzola (Pdl): “Non è anche questa una odiosa pena di morte, di cui è in larga misura responsabile lo Stato?”

Carmelo Di Bartolo, 42 anni, ex collaboratore di giustizia originario di Gela (Ct), si è suicidato stamattina nel carcere di Ravenna. Il cadavere dell'uomo, che si è impiccato nella sua cella, é stato scoperto intorno alle 8. Era stato arrestato il 29 settembre per rapina. Già noto alle forze dell'ordine, aveva anche un passato da collaboratore di giustizia. Carmelo Di Bartolo era stato arrestato nel 1997. Aveva sparato al cugino, Carmelo Fiorisi, nel contro storico di Gela. Fiorisi venne ferito di striscio, mentre Di Bartolo venne arrestato la stessa sera nella sua abitazione. Venne trovato a letto ancora vestito e con la pistola sotto il cuscino. Dopo aver scontato la pena era tornato in libertà. Il 29 settembre ancora un arresto, questa volta per rapina.
Di Bartolo non è il solo detenuto che oggi si aggiunge alla lista dei “morti di carcere”, infatti ad Olbia è stato ritrovato senza vita nella sua cella il gelese Francesco Maurilio La Cognata, 50 anni, condannato all’ergastolo. Per il momento non si conoscono le ragioni del decesso, tuttavia le prime rilevazioni effettuate sul corpo fanno propendere per un decesso da attribuire a “cause naturali”.

Detenuto di 35 anni si impicca nel carcere di Poggioreale: è il 52° suicidio dell’anno
Osservatorio permanente sulle morti in carcere
Radicali Italiani, Associazione “Il Detenuto Ignoto”, Associazione “Antigone”
Associazione A “Buon Diritto”, Redazione “Radiocarcere”, Redazione “Ristretti Orizzonti”


Antonio Granata, 35enne di origini campane, arrestato il 29 settembre scorso, si è tolto la vita questa mattina impiccandosi nel carcere napoletano di Poggioreale. Appena entrato nell'istituto penitenziario l'uomo era stato allocato nel Padiglione Firenze, nel reparto “nuovi giunti”. Successivamente, notificatagli un'ordinanza di custodia cautelare per 416 bis era stato spostato nel padiglione “Livorno-Alta Sicurezza”.
A quanto si è appreso, ma le notizie sono ancora frammentate, pare che il detenuto abbia utilizzato un lenzuolo per togliersi la vita. A dare l'allarme è stato il compagno di cella che, rientrando dall'ora d'aria, ha trovato il corpo esamine. Salgono così a 52 le persone che si sono suicidate nelle carceri italiane dall'inizio del 2010.
“Una mattanza”, scrive Eugenio Sarno, segretario generale Uil Pa Penitenziari, “che il Dap e il ministero della Giustizia non sembrano capaci di arginare. Tra auto soppressioni, aggressioni, violenze, sovrappopolamento e violazione del diritto”, continua Sarno, “le nostre galere hanno perso ogni residuo di civiltà, umanità e legalità. Nonostante gli sforzi del personale, abbandonato a se stesso, nulla si può se non intervengono quelle soluzioni strutturali più volte richieste”.
Il precedente suicidio registrato a Poggioreale risale al 9 settembre scorso: un transessuale di 34 anni, il pugliese Francesco Consoli, detenuto da circa un anno, si era tolto la vita inalando del gas. Il terzo caso in pochi giorni nel carcere campano: nelle settimane precedenti un detenuto era morto assumendo un mix di farmaci (Sanax e Rivodril) introdotti fraudolentemente in cella, mentre un altro era stato stroncato da un infarto.
Carceri: detenuto di 27 anni si impicca nel carcere di Belluno
27 settembre
Belluno 27 set. (Adnkronos) - Mirco Sacchet, 27 anni, si e' impiccato in una cella d'isolamento del penitenziario di Baldeninch di Belluno. Aveva un cappio stretto al collo e l'altra estremita' di un lenzuolo strappato legata ad una sbarra della sua cella. Cosi' le guardie carcerarie di Baldeninch hanno trovato ieri mattina Mirco Sacchet, classe 1983 di Cesiomaggiore. Erano da poco passate le 6 del mattino quando e' stato lanciato l'allarme al medico di guardia permanente nella casa circondariale. Ma ogni soccorso si e' rivelato del tutto inutile dal momento che il detenuto era gia' deceduto da almeno un'ora.
Ancona, detenuto tunisino trovato morto nella sua cella
Si pensa a suicidio, procura ha disposto l'autopsia
26 settembre 2010
Un detenuto tunisino di 26 anni, Ajoub Ghaz, è stato trovato morto nella sua cella nel carcere di Ancona ieri pomeriggio. Lo scrive il Resto del Carlino nell'edizione di Ancora, precisando che le cause del decesso sono tutte da chiarire ma che si potrebbe trattare dell'ennesimo suicidio. La procura del capoluogo marchigiano ha già disposto l'autopsia sulla salma.

Detenuto si uccide con gas a Poggioreale
Pugliese, era da un anno nel penitenziario napoletano
ANSA
(ANSA) - NAPOLI, 9 SET - Suicidio nel carcere di Poggioreale, a Napoli. Secondo quanto conferma il Sappe, a togliersi la vita e' stato un detenuto transessuale. Pugliese, da circa un anno nell'istituto penitenziario di Napoli, il detenuto si sarebbe ucciso inalando del gas.
Nel mese di agosto nelle carceri italiane sono morti 11 detenuti.
Ma i mezzi di informazione si sono occupati soprattutto del cittadino italiano deceduto in un carcere francese.Alla morte di Daniele Franceschi nel carcere francese di Grasse giornali e riviste hanno dedicato 488 articoli, quasi il doppio di tutti gli articoli pubblicati sugli 11 detenuti morti nel mese di agosto nelle carceri italiane (291 articoli). Più equilibrate le agenzie di stampa: 145 “lanci” sulla morte di Franceschi e 246 sui casi degli altri 11 detenuti.
Un sistema per spostare l’attenzione sulle disastrate carceri d’Oltralpe e far così dimenticare le disastratissime condizioni delle galere di casa nostra?
Nel mese di agosto nelle carceri italiane sono morti 11 detenuti: 4 per suicidio, 3 per motivi “da accertare” e 4 per malattia. Inoltre nel carcere francese di Grasse è deceduto, in circostanze poco chiare, un cittadino italiano di 36 anni, Daniele Franceschi.
Da inizio anno il totale dei detenuti morti, tra suicidi, malattie e “altre cause” arriva così a 120; di questi 43 si sono suicidati. Negli ultimi 10 anni i “morti di carcere” sono stati 1.680, di cui 600 per suicidio.
Il “grado di interesse” dei mezzi di comunicazione verso questi casi è stato molto vario ed è parso condizionato più da ragioni di opportunità politica che non al dovere di cronaca o, più semplicemente, ad un reale “appeal” giornalistico.
Il caso più evidente è stato quello di Daniele Franceschi: le agenzie di stampa gli hanno dedicato ben 145 “lanci” e, in una sola settimana, è stato trattato in 488 articoli comparsi su giornali e riviste. Unanime l’indignazione per una morte che ricorda molto quella di Stefano Cucchi, con il forte sospetto che Daniele si stato vittima di un pestaggio mortale. Giusti anche i richiami ad una maggiore attenzione nei riguardi dei cittadini italiani detenuti all’estero, quasi 3.000 persone.
Tuttavia la sovraesposizione mediatica del caso e, parallelamente, lo scarso interesse mostrato dai media nei confronti degli 11 detenuti morti nel mese di agosto nelle carceri italiane sembra fatto apposta per spostare l’attenzione sulle disastrate carceri straniere e far dimenticare le disastratissime condizioni delle galere nostrane.
A cominciare dal fenomeno dei suicidi, che meriterebbe un approfondimento dei singoli casi, oltre alla consueta triste contabilità. Un caso su tutti: Mohamed Hattabi, ad 1 anno dal fine pena, si è impiccato nel carcere di Brindisi lo scorso 5 agosto. La moglie, arrestata per un furto di generi alimentari in un supermercato, era stata condannata a 60 giorni di carcere e i due figli della coppia affidati a una comunità per minori. In luglio gli operatori della struttura sono andati in ferie e nessuno li ha più portati a colloquio in carcere, senza nemmeno avvertire i genitori del motivo delle mancate visite. Il padre, temendo che glieli avessero tolti, si è ucciso per la disperazione. Una tragedia umana, che chiama in gioco non solo le carenze del carcere ma anche quelle dell’assistenza sociale: l’interesse giornalistico si misura negli 8 articoli che se ne sono occupati, con titoli quasi identici “Brindisi, il 40° detenuto suicida del 2010”.
Un altro versante incredibilmente trascurato è quello della malasanità carceraria:
- Mauro M., 32 anni, muore il 6 agosto nel carcere di Frosinone, dopo un arresto cardiaco. Viene “soccorso” con un defibrillatore, ma l’apparecchio non funziona perché ha le batterie scariche e nessuno ne ha curato la manutenzione (7 articoli sul caso);
- Dino Naso, 41 anni, muore il 16 agosto nel carcere dell’Ucciardone. È cardiopatico ed è costretto per 22 ore al giorno in una cella di 16 mq, che divide con altri 8 detenuti, tutti fumatori. L’uomo ha un malore, non riesce a respirare e chiede aiuto, ma la cella non viene aperta. I “soccorsi” arrivano dopo 2 ore, quando arriva all’ospedale gli diagnosticano la “morte cerebrale” (22 articoli sul caso);
- Pietro Folgeri, 44 anni, muore il 31 agosto nel carcere di Bologna. Si sente male in cella, lo portano in infermeria, dove viene “visitato” dagli infermieri, perché il medico non è presente nel reparto. Gli dicono che non è niente e lo rimandano in cella, ma nel tragitto si accascia sul pavimento e perde i sensi. Arriva il medico di turno, che può solo constatarne la morte (4 articoli sul caso).
Francia, giovane muore in carcere
Alla mamma diceva: "Mi maltrattano"
Daniele Franceschi, originario di Viareggio, era stato arrestato a marzo con l'accusa di falsificazione e uso improprio di carte di credito. Nelle lettere la denuncia di soprusi. Lo zio: "Ci vietano di vedere il corpo"
Francia, giovane muore in carcere Alla mamma diceva: "Mi maltrattano" Una veduta di Grasse
29 agosto 2010 La Repubblica
VIAREGGIO (LUCCA) - Nel marzo scorso era finito in manette con l'accusa di falsificazione e uso improprio di carta di credito in un casinò della Costa Azzurra. Cinque mesi dopo, Daniele Franceschi, 31 anni, carpentiere di Viareggio, sposato, separato e padre di un bambino di 9 anni, è morto in una cella del carcere di Grasse, nell'entroterra di Cannes, in circostanze tutte da chiarire. Lo riferiscono oggi alcuni quotidiani locali, che riferiscono anche che la famiglia di Franceschi ha ricevuto la notizia della morte, avvenuta ufficialmente per arresto cardiaco nella notte tra martedì e mercoledì scorsi, solo tre giorni più tardi.

I familiari di Franceschi sono già arrivati in Francia e sono assistiti, riferisce la Farnesina, dal consolato generale italiano di Nizza. La mamma dell'uomo, accompagnata da uno zio del giovane e dalla cugina, non ha potuto vedere la salma del figlio perché é in corso un'inchiesta. ''Mia sorella è già in Francia, ma le autorità non le permettono di vedere la salma di mio nipote prima dell'autopsia. Lei è andata comunque perché vuole essere 'vicina' al suo ragazzo''. Marco Antignano, zio di Daniele, racconta i momenti concitati e dolorosi che la sua famiglia sta vivendo dopo aver appreso, con tre giorni di ritardo, del decesso. La madre di Franceschi, Cira Antignano, riferisce il legale Aldo Lasagna, ha presentato un esposto informale alla Farnesina.

''In questa vicenda molte cose non quadrano'', ha aggiunto Marco Antignano. ''All'autopsia non potrà partecipare nessun medico di nostra fiducia, né italiano, né francese - spiega -, la motivazione ufficiale è che la procedura di nomina sarebbe stata troppo complessa. In più, i tempi si sono accorciati perché l'esame autoptico, prima fissato per martedì, è stato anticipato di un giorno, a domani''. Antignano ricorda che in questi cinque mesi il nipote aveva atteso invano il processo. ''C'erano state alcune udienze, sempre rimandate - dice -. Era complicatissimo andare a trovare mio nipote. Mia sorella era riuscita ad entrare in carcere solo
due volte, ogni volta l'avevano controllata in una maniera non solo minuziosa, ma anche umiliante. Il ragazzo era tranquillo ma parlava e scriveva di soprusi, di ore di lavoro estenuante. Recentemente, si era rifiutato di lavorare oltre il dovuto in cucina. Subito dopo, se ne era pentito temendo ritorsioni. Aveva paura che lo mettessero in una cella con qualche detenuto 'difficile'. Raccontava che ce l'avevano particolarmente con gli
italiani, forse, diceva, a causa del calcio''. Sono state fornite, inoltre, racconta lo zio, versioni discordanti sull'ultimo giorno di vita di Daniele. ''Io ho parlato con il direttore del carcere, dopo la notizia della morte, e lui mi ha spiegato che l'avevano controllato in cella alle 13,30, e Daniele stava bene. Poi, alle 17, durante il
controllo seguente, l'avevano trovato morto. All'avvocato francese che ci assiste, è stato invece detto che, siccome Daniele non stava tanto bene, l'avevano portato in infermeria e gli avevano fatto l'elettrocardiogramma. Dato che il risultato era stato negativo, l'avevano riportato in cella. Ma mi chiedo:
non era il caso di trattenerlo e controllare l'evolversi della situazione? Chiunque, anche un detenuto, ha diritto ad un'assistenza umana''.

L'uomo nel corso della sua detenzione aveva scritto diverse lettere alla madre, raccontando anche di aver subito soprusi, maltrattamenti e di non essere stato curato quando aveva la febbre molto alta. Domani è in programma l'autopsia all'istituto di medicina legale di Nizza. Franceschi era andato in vacanza in Costa Azzurra nel marzo scorso con alcuni amici. Il gruppo aveva deciso di trascorrere una serata al casinò, ma quando Franceschi si era presentato a pagare le fiche esibendo una carta di credito, gli addetti si sono accorti che qualcosa non andava e hanno chiamato la gendarmeria, che ha arrestato l'italiano.
Siracusa: detenuto 44enne in attesa di giudizio si impicca, è il 39° suicidio dall’inizio dell’anno       
Ristretti Orizzonti, 27 luglio 2010

Corrado Liotta, 44 anni, detenuto nel carcere “Cavadonna” di Siracusa, si è ucciso questa notte impiccandosi alle sbarre. Sembra che l’uomo sia morto all’istante, poiché nell’appendersi al rudimentale cappio che aveva fabbricato si è spezzato le vertebre cervicali. Fatto sta che i compagni di cella non si sono accorti di nulla ed il corpo senza vita dell’uomo è stato scoperto dall’agente di turno, che stava effettuando la conta alle 3 di notte.
Liotta era detenuto, in attesa di giudizio, nel Reparto “isolati” del carcere e già la settimana scorsa aveva commesso atti di autolesionismo, ingoiando lamette da barba. Era stato arrestato lo scorso 9 maggio dagli agenti della Questura di Siracusa, intervenuti per sedare un litigio scoppiato in un condominio: l’uomo, armato di un coltello e di un cacciavite, minacciava pesantemente delle persone chiuse all’interno di una stanza, chiedendo loro dei soldi. Da qui l’arresto, con l’accusa di lesioni e minacce, tentata estorsione e danneggiamento.
Nel 2010 nelle carceri siciliane si sono già uccisi 7 detenuti, di cui 2 nel penitenziario di Siracusa. Da inizio anno salgono così a 39 i detenuti suicidi nelle carceri italiane (33 impiccati, 5 asfissiati col gas e 1 sgozzato), mentre il totale dei detenuti morti nel 2010, tra suicidi, malattie e cause “da accertare” arriva a 109 (negli ultimi 10 anni i “morti di carcere” sono stati 1.707, di cui 595 per suicidio).

Commento del Garante dei diritti dei detenuti della Sicilia

Sen Salvo Fleres, Garante per la tutela dei diritti dei detenuti sul suicidio a Siracusa: “Questo è il settimo suicidio in Sicilia”. “A distanza di soli tre giorni, nelle carceri siciliane si è verificato il settimo suicidio dall’inizio dell’anno. Questa volta accade a Siracusa dove, il detenuto, Sig. Corrado Liotta di 44 anni, nel corso della notte si è tolto la vita. La situazione è davvero insostenibile ed il tutto avviene nel silenzio degli organi preposti.
In queste condizioni a poco valgono le esortazioni del capo del Dipartimento rivolte a tutti gli operatori penitenziari volte a risolvere l’emergenza carceri. Cosa possono fare gli operatori penitenziari in assenza di fondi e di personale, con un sovraffollamento ormai patologico e molte strutture fatiscenti? Ribadisco quanto detto solo pochi giorni fa e comunico che l’Ufficio del Garante dei diritti dei detenuti, già da adesso, si costituirà parte civile per l’individuazione di eventuali responsabili di omissioni, abusi e violazioni dei diritti dei detenuti”.
Detenuto suicida a Catania
E' il 37esimo caso nel 2010
Il detenuto, 39 anni, recluso dal 2008, aveva già minacciato di uccidersi tagliandosi la gola. La Uil: "Il personale deve rinunciare ai diritti elementari e sottoporsi a turni massacranti per reggere la baracca"
Il carcere catanese di Bicocca
CATANIA - Ancora un suicidio nelle carceri italiane: questa mattina un detenuto della casa circondariale di Catania Bicocca si è ucciso in cella mentre si stava facendo la barba, recidendosi la carotide. "E' il 38esimo caso di questo funesto 2010", ha detto il segretario generale della Uil Pa Penitenziari, Eugenio Sarno. "Abbiamo la sensazione - ha aggiunto - che nemmeno questa strage silenziosa che si consuma all'interno delle nostre degradanti prigioni scuota dal torpore una classe politica che ha, evidentemente, accantonato la questione penitenziaria. Dal 1 gennaio 38 detenuti, quattro agenti penitenziari e un dirigente generale si sono suicidati".
La Procura della Repubblica di Catania ha aperto un'inchiesta. L'uomo si chiamava Andrea Corallo, aveva 39 anni e non era recluso nel settore di massima sicurezza. Secondo quanto riferito d
a Riccardo Arena, che cura la rubrica Radiocarcere su Radio Radicale, Corallo aveva iniziato "una rumorosa protesta e minacciava di uccidersi proprio tagliandosi la gola. I tentativi degli agenti di farlo calmare sono stati inutili". Andrea Corallo era in carcere dall'aprile del 2008 e divideva la cella con altri due detenuti, che sono stati sentiti dagli inquirenti.
"Nelle nostre galere - ha spiegato ancora Sarno - si continua a morire. E' forse il caso di approfondire ed investigare? Noi diremmo anche di risolvere. Invece nulla. Tutto è rimesso alla sola buona volontà e alle evidenti capacità del personale. Ma si continuano ad ammassare persone in spazi che non ci sono". "Il personale - ha sottolineato il sindacalista - deve rinunciare ai diritti elementari e sottoporsi a turni massacranti per reggere la baracca. La questione penitenziaria, nella sua drammaticità, è anche una questione morale. Per i tanti sprechi. Per l'incapacità di risolvere. Per l'indecenza delle strutture. Per il degrado degli ambienti. Per i rischi igienico-sanitari".
"Riceviamo continui inviti da parte del Dap (Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria) - ha concluso Sarno - a non allarmare. Ma noi non allarmiamo, informiamo sulle gravi realtà, nel tentativo di scuotere le coscienze, la società e la stampa. Che, però, restano indifferenti ai drammi quot
idiani che si consumano all'interno di quelle  mura, che sempre più sono il confine tra civiltà e inciviltà".
L'allarme è condiviso anche dall'Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria): "Le proteste per le condizioni disumane dovute al sovraffollamento - ha detto il vice segretario generale Domenico Nicotra -  possono portare anche ad azioni dimostrative molto pericolose come quella di oggi. Purtroppo, questa volta, non è stato possibile salvare un'altra vita".
la Repubblica 23luglio2010
Suicidio nel carcere di Torino: 101° detenuto morto nel 2010 (34 suicidi accertati)

È morto tre giorni dopo aver tentato il suicidio nel carcere delle Vallette, Antimo Spada. Il 35enne originario di Aversa, esponente dei Casalesi di secondo piano, era stato arrestato nel 2005.

Secondo quanto si apprende, l’uomo, che doveva scontare ancora nove anni di condanna all’interno del penitenziario “Lorusso e Cotugno” si era impiccato in cella domenica pomeriggio. Era stato subito soccorso dagli agenti di polizia penitenziaria che l'avevano trasferito all’ospedale Maria Vittoria. Spada che si trovava nella settima sezione - blocco A del carcere era sottoposto a regime di alta sicurezza.

Dall’inizio del mese, oltre al suicidio di Antimo Spada, abbiamo raccolto segnalazioni di altri tre detenuti morti nelle carceri italiane: al Nuovo Complesso di Rebibbia, Roma, il 3 luglio è morto Hugo Cidade, 47 anni, argentino. Aveva una cirrosi epatica, patologia già ampiamente diagnosticata e per cui pare i medici del carcere avessero già da tempo dichiarato l'incompatibilità con il regime carcerario. Nonostante questo è rimasto in cella e vi è morto.

Tra il 7 e l’8 luglio, nel carcere di Napoli Secondigliano sono morti due detenuti italiani, sembra a causa di gravi malattie di cui erano affetti. Non sappiamo altro su di loro, né i nomi né l’età.

Con questi ultimi 4 casi salgono così a 101 i detenuti morti da inizio anno: 30 si sono impiccati, 7 sono morti per avere inalato del gas (4 di loro si sono suicidati, per gli altri 3 probabilmente si è trattato di un “incidente” nel tentativo di sballarsi), mentre 64 detenuti sono morti per malattia, o per cause ancora da accertare. In 10 anni i detenuti morti sono stati 1.699, di cui 591 per suicidio.
33 suicidi da inizio anno

Venticinque anni, un quarto di secolo. Qualche agenzia scrive che ne avesse 30. Poco cambia: s’è ammazzato in carcere e di anni ne aveva pochi. Santino Mantice, due giorni fa, si è impiccato nella sua cella nel carcere Due Palazzi di Padova. La sua pena sarebbe terminata tra 3 mesi.
Santino è il numero 33 dei detenuti che quest’anno si sono uccisi, il numero 590 dal 2000.
Solo a giugno, secondo l’Osservatorio permanente sulle morti in carcere, si sono impiccati sette detenuti e uno, in semilibertà, ha scelto di uccidersi quando ha saputo di dovere rientrare in carcere.
Il Partito Democratico ha denunciato “l’assenza di interventi”, da parte della Giunta del neo governatore leghista Luca Zaia, verso “l’emergenza carceraria” della regione. Secondo il Pd veneto, la sezione circondariale di Padova è “inadeguata: ci sono 262 detenuti a fronte di una capienza ottimale di 80 posti e una capienza tollerabile di 130. Il personale è sotto organico di 40 unità e gli operatori sanitari sono in servizio per sole 18 ore”. Per quanto riguarda la sezione penale del carcere, invece, “i detenuti sono oltre 800 mentre la capienza ottimale è di 400. Ci sono celle in cui sono rinchiuse 6-7 persone”.

Giulia Torbidoni
1 luglio 2010


(ANSA) - GIARRE (CATANIA), 29 GIU - Ennesimo suicidio nelle sovraffollate carceri italiane. La notte scorsa si e' impiccato a Giarre un detenuto comune di 37 anni. L'uomo e' stato trovato con un cappio al collo legato alle sbarre della finestra del bagno della cella. L'uomo era detenuto per rapina e avrebbe finito di scontare la sua condanna alla fine del 2012. Dall'inizio dell'anno, secondo il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, e' il trentaduesimo detenuto che si toglie la vita. Sull'accaduto ha aperto un'inchiesta la Procura della Repubblica di Catania. (ANSA).
Un marocchino di 22 anni, Y. A., si e' suicidato nella camera di sicurezza della questura di Agrigento dove era stato rinchiuso in attesa di comparire davanti al giudice per l'udienza di convalida del suo arresto. L'uomo si e' impiccato con la cintura dei pantaloni.
L'immigrato era stato arrestato due giorni fa, a Palma di Montechiaro, al culmine di una rissa, perche' si era reso responsabile dei reati di lesioni, minacce ed oltraggio a pubblico ufficiale.

Perché Y.A. si è impiccato con la propria cintura?
Luigi Manconi,  presidente di A Buon Diritto:
“Da che mondo è mondo, da che questura è questura, da che caserma è caserma, chi viene rinchiuso in una camera di sicurezza viene privato della cintura, dei lacci delle scarpe e di qualunque altro oggetto o indumento che possa prestarsi ad atti di autolesionismo e, in particolare, all’impiccagione. Se è vero quanto si apprende da fonti interne alla questura di Agrigento, Y. A., 22 anni, marocchino, si sarebbe tolto la vita in una camera di sicurezza del locale questura impiccandosi con la propria cintura. Eppure le disposizioni relative al trattenimento degli arrestati sono tassative. Perché non sono state rispettate ad Agrigento?”
Detenuto suicida a Lecce, il secondo in pochi giorni
13 giugno 2010 Nuovo suicidio nel carcere di Lecce, il secondo nel giro di pochi giorni: ieri attorno alle 15 un detenuto italiano di 55 anni, di origine salentina, con circa tre anni di pena da scontare, si è suicidato nel reparto infermeria. Sempre ieri, a Opera, nel milanese, un altro detenuto si era suicidato. A denunciare quanto accaduto a Lecce è stato il Sappe, sindacato autonomo di polizia penitenziaria, che ricorda la "drammatica situazione igienico-sanitaria derivante da un sovraffollamento che a Lecce, a fronte di 660 posti disponibili, vede la presenza di quasi 1400 detenuti". Lo stesso disagio viene vissuto in tutte le carceri pugliesi, con la popolazione detenuta che ha superato di quasi il 100% dei posti disponibili, quasi 4.400 a fronte di 2.200. Il Sappe ricorda anche che mentre nel 2008 i suicidi avvenuti nelle carceri pugliesi furono appena 2, nel 2009 si registrarono 3 decessi. E in questi primi sei mesi del 2010 si sono verificati già due suicidi a Lecce e uno ad Altamura.
Fuorni: Giovane suicida in carcere

FUORNI. Per tutti, agenti penitenziari e compagni di cella, Alessandro Lamagna era un detenuto tranquillo, che presto sarebbe uscito per buona condotta. Dal carcere di Fuorni il 34enn e è invece uscito cadavere, ieri pomeriggio, dopo essersi impiccato a una finestra.
Originario dell’hinterland napoletano, Alessandro Lamagna si era trasferito da qualche anno nel Cilento. Qui era stato arrestato per rapina, dopo aver tentato il colpo in una parafarmacia di Agropoli, a pochi chilometri dal centro cilentano in cui aveva trasferito la sua residenza. Sposato, sarebbe dovuto tornare in libertá agli inizi del 2012, ma in carcere gli avevano detto che avrebbe potuto ottenere anche prima una forma di semilibertá. Lui invece non ha retto.
Ieri, intorno alle 13.30, si è chiuso in bagno portando con sé un brandello di lenzuolo. Lo la legato alle sbarre della finestra e si è impiccato. Sono stati gli altri tre detenuti che dividevano con lui la cella a dare l’allarme quando, dopo una ventina di minuti, non lo hanno visto uscire dal bagno e hanno provato inutilmente a chiamarlo. Hanno avvisato il personale della polizia penitenziaria, ma gli agenti hanno trovato il giovane giá senza vita, asfissiato dalla corda di lenzuolo che si era stretta al collo. Inutili i tentativi di rianimarlo, affidati prima al medico della struttura carceraria e poi ai volontari del 118 arrivati dal Vopi di Pontecagnano.
E’ stato il medico legale Giovanni Zotti ad eseguire l’esame esterno e a confermare il suicidio. Poi sono stati avvisati i familiari e la salma è stata trasferita, in serata, al cimitero di Brignano. Il magistrato di turno non ha disposto l’autopsia, la dinamica è ritenuta chiara e risulta non vi fossero elementi che potessero lasciar prevedere un gesto così estremo.
Dalle testimonianze raccolte in carcere pare che il 34enne avesse avuto problemi di tossicodipendenza, e che a questo fossero legati alcuni reati contestatigli. Due anni fa era stato arrestato subito dopo una rapina in una parafarmacia di Agropoli.Con sé aveva i seicento euro che si era fatto consegnare dal titolare dell’e sercizio, intimandogli di svuotare il registratore di cassa sotto la minaccia di una pistola poi risultata giocattolo.
Aveva agito a volto scoperto, ed era stato individuato poco dopo da un carabiniere in borghese. In carcere era sembrato sereno, ma la detenzione gli aveva scavato dentro il male della depressione e ieri ha deciso di farla finita. A dicembre avrebbe compiuto 35 anni.


di Clemy De Maio
la città di Salerno 7 giugno 2010
Trentenne extracomunitario si uccide in carcere
Un detenuto extracomunitario di 30 anni si è suicidato l’altra notte impiccandosi nella cella del carcere di Lecce dov’era recluso. Lo riferisce il vice segretario nazionale dell’Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria (Osapp), Domenico Mastrulli.
Il giovane era stato arrestato per reati di droga e si è tolto la vita annodando le lenzuola del suo letto, legandole alle sbarre della stanza e infine lasciandosi sospendere dopo aver infilato il cappio artigianale al collo. A dare l’allarme sono stati i suoi compagni di cella, ma quando gli agenti di polizia penitenziaria sono intervenuti per il giovane non c’era più nulla da fare.
Secondo quanto riferito da Mastrulli, il detenuto nei giorni scorsi avrebbe manifestato insofferenza per il sovraffollamento in cella. “In media – ha detto Mastrulli, che nei giorni scorsi ha visitato il carcere di Lecce – in una cella sono ospitati 4-6 detenuti, in contrasto con le normative europee”. Attualmente nelle carceri pugliesi ci sono 4.400 detenuti, mentre l’organico di polizia penitenziaria è carente e gli agenti sono costretti a turni massacranti, secondo l’organizzazione sindacale. Per questi motivi l’Osapp annuncia che non parteciperà alla festa per il 193/o anniversario della polizia penitenziaria.
www.mondoraro.it
fonte aduc 30 maggio 2010
Detenuto morto in carcere a Sanremo, Uil denuncia: è caduto dal letto
Direttore del penitenziario smentisce, sindacato ribatte: visto cadere
25 maggio
SANREMO (IMPERIA) - Un detenuto del carcere di Sanremo, Giovanni Bonafé, di 44 anni, è morto stamani nella cella in cui si trovava. Secondo il sindacato Uil-pa Penitenziari l'uomo e' caduto dal letto a castello e altri due detenuti lo hanno visto cadere. Ma il direttore del penitenziario smentisce e parla di morte per "cause naturali" in un soggetto con Aids conclamato.

Erano circa le 5.30 quando l'uomo si sarebbe alzato dal letto cercando di prendere una boccata d'ossigeno mentre era in atto un infarto: questo quanto riferito dal direttore del carcere dopo i controlli del medico legale. Sceso dal letto, sempre secondo la ricostruzione del carcere, l'uomo si sarebbe accasciato a terra. Soccorso dai compagni di cella e poi dagli agenti, l'uomo era ancora vivo ma sarebbe morto dopo pochi istanti.

Il medico legale ha effettuato una perizia dalla quale risulterebbe che il detenuto, trovato girato sul fianco sinistro, segno caratteristico di chi ha subito un infarto, sarebbe spirato per cause naturali. Il direttore del carcere, Francesco Frontirré, smentisce quindi il sindacato. "Il medico legale - ha affermato - attribuisce la morte a un'insufficienza cardio-respiratoria acuta, in un soggetto affetto da Aids conclamato. La conclusione, dunque, è che può trattarsi di causa naturale. Il suo corpo non presentava ecchimosi o ferite che possano far pensare a una caduta". Ma il sindacato ribatte: "Il detenuto è stato visto cadere dal letto da altri due detenuti extracomunitari che hanno così riferito agli agenti penitenziari".

L'episodio riaccende la polemica sul sovraffollamento delle carceri. "Quando si insiste nell'ammassare persone in spazi incompatibili con la dignità e la vivibilità, possono capitare certe cose. E' noto a tutti che i letti a castello a tre piani sono potenzialmente pericolosi. Purtroppo siamo a commentare una morte che si poteva, si doveva, evitare", dichiara il segretario generale della Uil-pa Penitenziari Eugenio Sarno.

"La melina sul ddl-carceri denota una insensibilità di fatto alla tragedia umanitaria che si consuma nelle nostre galere. Ogni giorno - prosegue il sindacalista - ci tocca aggiornare i macabri elenchi. Più volte avevamo denunciato e lanciato l'allarme sul carcere sanremese. L'istituto conta la presenza di 367 detenuti, quando ne potrebbe contenere al massimo 209".


Detenuto s'impicca in carcere

Sarebbe uscito nell'ottobre 2011
SIRACUSA - Avrebbe finito di scontare la pena nel mese di ottobre del prossimo anno ma è stato trovato morto, impiccato, nella sua cella. L'uomo, di Afragola (Napoli), 45 anni, era detenuto nel carcere Cavadonna di Siracusa. Ieri lo hanno trovato impiccato nella sua cella del reparto accettazione dove si trovava, da alcuni giorni, proveniente dal carcere napoletano di Poggioreale. E' il ventiseiesimo detenuto che si toglie la vita in carcere dall'inizio del 2010.
Ne dà notizia Eugenio Sarno, segretario della Uilpa penitenziari. "Non potremo mai abituarci a questi rintocchi delle campane a morto - dice il sindacalista - Appena ieri abbiamo accompagnato nell'ultimo viaggio un nostro giovane collega suicidatosi, il terzo in quindici giorni. Siamo curiosi di ascoltare le parole del presidente Napolitano e del ministro Alfano. La politica e i politici hanno il dovere morale di indicare un percorso e offrire soluzioni".
La Repubblica Palermo
16 maggio 2010
Detenuto suicida a Siracusa
Detenuto bulgaro suicida a San Vittore
100 detenuti suicidi… in attesa che il “piano carceri” prenda il via
18 mesi di annunci… intanto 100 detenuti si sono tolti la vita


Con la morte di Eraldo Di Magro, 57enne, che si è impiccato questa mattina nel carcere di Como, salgono a 100 i detenuti suicidi negli ultimi 18 mesi.
Il Piano carceri è in gestazione da almeno un anno e mezzo, prova ne è il titolo di questo articolo, apparso sul Corriere della Sera il 7 novembre 2008 “Alfano: al via Piano di edilizia carceraria studiato con Matteoli”. Ma è del gennaio 2009, 16 mesi fa, l’avvio ufficiale del Piano, sempre stando ai titoli dei quotidiani: “Ionta nominato Commissario Straordinario per l’Edilizia penitenziaria” (Italia Oggi, 23 gennaio 2009); “Il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al Piano carceri” (La Repubblica, 23 gennaio 2009).
Da un anno e mezzo a questa parte il ministro Alfano e altri esponenti governativi hanno annunciato più volte l’imminente avvio del “Piano”, indicandolo come “soluzione definitiva” al problema sempre più pressante del sovraffollamento carcerario. In 18 mesi il numero dei nuovi posti-detenuto (annunciati) da costruire è progressivamente aumentato, dai 17.000 ai “21.479” dichiarati ieri dal ministro della Giustizia. Nel contempo è lievitato anche l’ammontare degli stanziamenti necessari (annunciati), da 1-1,2 miliari di euro a 1,6 miliardi di euro. Finora nulla è stato speso e nessun nuovo posto-detenuto è stato creato.
Nel novembre 2008 nelle carceri italiane erano presenti 57.000 detenuti, cioè 10.500 meno di oggi, che equivalgono a un “mezzo piano carceri” già andato in fumo (assieme a 800 milioni di euro… investimento reso vano prima ancora di essere impiegato).
Ma in attesa dell’avvio per “Piano carceri” nelle sovraffollate, indecenti e invivibili carceri italiane si sono suicidati 100 detenuti (7 tra novembre e dicembre 2008, 72 nel 2009 e 21 nel 2010). Molti lo avranno fatto per sofferenze legate a vicende famigliari, a depressione, a fattori “imprevisti e imprevedibili”, ma almeno qualcuno è stato certamente spinto a togliersi la vita da condizioni detentive divenute insopportabili, tra affollamento e mancanza di personale penitenziario (sia del “trattamento che della sorveglianza).

OSSERVATORIO PERMANENTE SULLE MORTI IN CARCERE
Radicali Italiani, Associazione “Il Detenuto Ignoto”, Associazione “Antigone”
Associazione A “Buon Diritto”, Redazione “Radiocarcere”, Redazione “Ristretti Orizzonti”
Salgono a 21 i detenuti suicidi da inizio anno (62 in totale i morti in carcere)

OSSERVATORIO PERMANENTE SULLE MORTI IN CARCERE - Radicali Italiani, Associazione “Il Detenuto Ignoto”, Associazione “Antigone”

Associazione A “Buon Diritto”, Redazione “Radiocarcere”, Redazione “Ristretti Orizzonti”.

Nel carcere di Teramo questa mattina si è ucciso Gianluca Protino, 34enne originario di San Nicandro Garganico (Fg) e detenuto nella Sezione di Alta Sicurezza dell’istituto peligno.

Protino era in carcere dal gennaio 2009, quando fu arrestato dai Carabinieri poiché trovato in possesso di 100 grammi di cocaina. Inizialmente assegnato al carcere di Lucera (Fg) era poi stato trasferito all’Alta Sicurezza di Teramo in seguito al suo coinvolgimento in un’inchiesta sulla criminalità organizzata (l’operazione “Remake”) che portò all’arresto del “boss” Gennaro Giovanditto e di altre 14 persone, tutte ritenute responsabili di traffico di stupefacenti.

Dall’inizio dell’anno salgono così a 17 i detenuti che si sono impiccati nelle carceri italiane, mentre altri 3 si sono sicuramente suicidati utilizzando il gas del fornello da camping in uso ai detenuti (vedi tabella 1). In ulteriori 3 casi (vedi tabella 2) a nostro avviso non è possibile attribuire con certezza la morte ad un’intenzione suicida (probabilmente l’intenzione era di “sballarsi” inalando del gas e la morte è stata accidentale).

Nel carcere di Teramo, che ha una capienza di 231 detenuti, oggi ce ne sono circa 400, il 25% dei quali stranieri. Negli ultimi 5 anni vi sono morti 8 detenuti, di cui 5 per suicidio (vedi tabella 3). Ma il caso che ha suscitato maggiore scalpore è stato quello di Uzoma Emeka, 32enne nigeriano morto lo scorso 17 dicembre a causa di un tumore al cervello che nessuno gli aveva diagnosticato. L’uomo era stato testimone di un (presunto) pestaggio e indicato come “il negro che ha visto tutto” in una registrazione audio, effettuata con ogni probabilità da un agente e poi diffusa all’esterno. Sulla vicenda è stata aperta un’inchiesta, che per ora ha portato al rinvio a giudizio di un detenuto (la presenta vittima del pestaggi o) con l’accusa di avere aggredito gli agenti.
27 aprile 2010
20esimo suicidio dall'inizio del 2010
Detenuto suicida in cella a Firenze Sollicciano


(AGI) - Roma, 23 apr. - Un detenuto e' morto suicida nel carcere di Firenze Sollicciano. E' il 20esimo caso dall'inizio dell'anno di suicidio in cella. L'uomo, un italiano, si e' impiccato. "Anche Sollicciano - spiega il sindacato Sappe - e' un carcere sovraffollato all'inverosimile, con oltre 960 detenuti presenti al 31 marzo scorso rispetto ai circa 500 posti letto regolamentari" .
Ancora un suicidio in cella detenuto si impicca a Rebibbia
Un collaboratore di giustizia si è tolto la vita annodando una striscia di tessuto. E' il diciannovesimo dall'inizio dell'anno
Ennesimo suicidio nelle sovraffollate carceri italiane: ieri sera, nella sezione collaboratori di giustizia del penitenziario romano di Rebibbia, si è tolto la vita Daniele Bellante. L'uomo, 31 anni, si è impiccato annodando una striscia di tessuto alla finestra della cella.
Siciliano, originario di Vittoria, Bellante era un pluripregiudicato, fino al 2009 sottoposto a sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel comune di residenza. Per essersi allontanato da Vittoria, violando così le restrizioni delle misure di prevenzione, era stato arrestato nell'ottobre dello scorso anno. E' il diciannovesimo suicidio negli istituti penitenziari italiani dall'inizio dell'anno.
Negli ultimi dieci anni (2000-2009), i detenuti suicidi nelle carceri italiane sono stati 568, mentre nel decennio 1960-69 sono stati "soltanto" 100, con una popolazione detenuta che era circa la metà dell'attuale: in termini percentuali, la frequenza dei suicidi è quindi aumentata del 300%. I motivi di questo aumento sono diversi: 40 anni fa i detenuti erano prevalentemente criminali "professionisti", spiega l'associazione Ristretti orizzonti, mentre oggi buona parte della popolazione detenuta è costituita da persone provenienti dall'emarginazione sociale, spesso fragili psichicamente e privi delle risorse caratteriali necessarie per sopravvivere al carcere.
La media europea dei suicidi in carcere è di 1 detenuto ogni 1.000 circa e l'Italia è allineata a questo dato. Però bisogna considerare che nel complesso della popolazione italiana avviene un suicidio ogni 20.000 abitanti, mentre in paesi come la Francia, la Gran Bretagna e l'Olanda si registra una frequenza pressoché doppia, quindi da noi è maggiore lo scarto tra popolazione libera e detenuti.


La Repubblica 14 aprile 2010
Detenuto sieropositivo suicida col gas nel carcere di Santa Maria Capua Vetere
Domenica sera l'uomo, un 40enne, avrebbe inalato il gas delle bombolette fornite per cucinare i cibi
CASERTA - Un altro detenuto suicida ieri, domenica sera, nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. A denunciarlo è Donato Capece, segretario generale del sindacato autonomo polizia penitenziaria Sappe. «Ancora morte in carcere, ancora un detenuto suicida. Ieri sera - si legge in una nota - nella casa circondariale campana di Santa Maria Capua Vetere si è tolto la vita un detenuto italiano di 40 anni, sieropositivo. L’uomo si è suicidato inalando il gas delle bombolette che tutti i reclusi legittimamente hanno per cucinare e riscaldare cibi e bevande, come prevede il regolamento penitenziario». «È l’ennesimo fatto drammatico - sottolinea il sindacalista - che testimonia ancora una volta l’urgente necessità di intervenire immediatamente sull’organizzazione e la gestione delle carceri, dove il numero esorbitante dei detenuti e la carenza di personale non consentono più alla Polizia penitenziaria di garantire i controlli necessari».
IL MODUS - «Il modo in cui è morto il detenuto del carcere di Santa Maria Capua Vetere - sottolinea - analogo a quello posto in essere pochi giorni fa nel penitenziario di Reggio Emilia da un altro detenuto suicida, ricorda quello di un altro ristretto morto nel carcere di Pavia qualche anno fa; episodio per cui l’ amministrazione penitenziaria fu condannata a risarcire i familiari con 150.000 euro. Riteniamoche sia giunto il momento di rivedere il regolamento penitenziario, al fine di vietare l’ uso delle bombolette di gas, visto che l’amministrazione assicura il vitto a tutti i detenuti». «Indubbiamente - prosegue il sindacalista nella sua analisi - la carenza di personale di Polizia penitenziaria e di figure professionali specializzate nonchè il costante sovraffollamento delle carceri italiani sono temi che si dibattono da tempo e sono concause di questi tragici episodi».
IL PENITENZIARIO - A Santa Maria Capua Vetere sono più di 940 i detenuti a fronte di 547 posti letto e i due terzi dei presenti sono imputati, cioè in attesa di sentenza definitiva. I detenuti stranieri sono circa il 25% dei presenti mentre le carenze di personale di Polizia penitenziaria sono stimate in circa 20/25 unità. «Bisogna - si conclude la nota del Sappe - che sulle criticità penitenziarie si intervenga quanto prima e con estrema urgenza, per evitare l’implosione del sistema. E questo chiederà il Sappe domani a Roma in un incontro programmato con il ministro della Giustizia Angelino Alfano».

(fonte Ansa)
12 aprile 2010
Decesso Khaled
Dunque alla fine Sgraighina Khaled, marocchino di 34 anni detenuto a Verona, è deceduto, ma da uomo
libero e giusto in tempo per non commettere un altro reato, ossia la permanenza sul suolo italiano dopo un
provvedimento di espulsione. Ha preferito andarsene su un letto d'ospedale, senza essere accompagnato al
confine, completamente nudo perché ricoperto in tutto il corpo dalle piaghe da psoriasi brutale ed in
evidente stato confusionale. Condizioni che sin dal primo momento sono apparse evidentemente non
compatibili con lo stato di detenzione.
In attesa dei referti medici, ci poniamo delle domande a cui siamo certi qualcuno prima o poi risponderà:
il magistrato di sorveglianza, la Ulss e perché no, magari proprio il ministro della Giustizia Angelino
Alfano.
• Khaled è stato rimandato in carcere, dopo un primo ricovero in ospedale, perché guarito ed
autosufficiente?
• il carcere, visto e considerato che lo ha accolto nuovamente in infermeria, era in grado di gestire al
meglio Khaled dopo il rientro dall'ospedale?
• il caso di Khaled, soprattutto dopo l'aggravarsi delle sue condizioni di salute, è stato segnalato all'autorità
sanitaria, giudiziaria e del carcere? E che provvedimenti sono stati presi?
• è normale tenere un detenuto per quasi un mese in infermeria, o se la gravità è tale da richiedere una
così lunga degenza si dovrebbe subito interpellare proprio il magistrato di sorveglianza e chiedere un
immediato differimento della pena?
• corrisponde al vero quanto letto sui giornali, ossia che il Magistrato non ha risposto alla richiesta della
direzione del carcere di Montorio ma ha inviato la richiesta al Tribunale di Sorveglianza di Venezia?
Non rientra nelle sue competenze, in caso di urgenza, adottare un provvedimento provvisorio?
• essendo il Servizio Sanitario unico, sia per il carcere che per l'esterno, i medici che di volta in volta hanno
curato Khaled avevano le cartelle cliniche e le informazioni condivise o partivano sempre da zero,
perdendo tempo con diagnosi magari scartate in precedenza?
• e infine ci chiediamo: potrebbe il ministro Alfano inviare i suoi ispettori, come ultimamente ha spesso
fatto, per valutare se nel caso di Khaled ci sono state irregolarità od omissioni da parte di tutte le autorità che
lo hanno gestito?
Le dichiarazioni che ci ha rilasciato ieri la garante dei detenuti, Margherita Forestan, confermano la nostra
preoccupazione ed il nostro sgomento di fronte ad una serie intollerabile di superficialità: "Il carcere è il
carcere, ed esistono paletti che devono sempre rimanere ben presenti - ha detto la garante-. Ma bisogna
scardinare i paletti e mandarli all'aria di fronte alle malattie. Il detenuto diventa un ammalato, e ancor di
più un ammalato grave, come in questo caso". "Il passaggio in infermeria deve essere un transito, per delle
cure provvisorie -continua Margherita Forestan-. Se le condizioni e le patologie precipitano è chiaro che è
impossibile lasciarlo in carcere e bisogna pensare ad una pena alternativa. In questo caso anche la direzione
ha provato ad intercedere con il magistrato di sorveglianza, senza ricevere alcun riscontro ma anzi, un
rigetto". "Le dimissioni dall'ospedale -conclude la garante dei diritti delle persone private della libertà
personale-, che sono avvenute il mercoledì, erano compatibili con il carcere? Questo mi chiedo. Ho visto
Kaled che al rientro non si reggeva nemmeno in piedi; era sostenuto dagli agenti".
Tra i volontari a conoscenza del fatto abbiamo riscontrato il fondato timore che questo episodio, per quanto
grave e preoccupante, passi in secondo piano a causa dell’allarme suicidi, che oggi hanno toccato quota 18
senza che vengano adottati interventi significativi; e che stia emergendo una diffusa tendenza della
Magistratura di Sorveglianza a non assumersi le responsabilità di provvedimenti previsti dalla legge
per i quali è competente, come in questo caso quello di una scarcerazione di fronte a condizioni di salute
tanto compromesse.
Non ritiene il Magistrato di dover dare chiarimenti?
9 aprile 2010   Comunicato dell'Associazione La Fraternita' ONLUS
Sappe, detenuto suicida a Benevento

Roma, 8 apr. - (Adnkronos) - "Un nuovo suicidio in carcere di un detenuto italiano ristretto ad alta sicurezza nel carcere di Benevento, un carcere dove sono presenti quasi 400 detenuti a fronte dei circa 240 posti letto regolamentari". A darne notizia in una nota Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, sottolineando che dall'inizio del 2010 sono 18 i detenuti che si sono tolti la vita in carcere.

"Ci preoccupa come ci preoccupa la grave rivolta di Porto Azzurro e le continue aggressioni a poliziotti penitenziari - afferma - La carenza di personale di polizia penitenziaria (ben 6mila unita') e di educatori, di psicologi e di personale medico specializzato, il pesante sovraffollamento dei carceri italiani (oltre 67mila detenuti in carceri che ne potrebbero ospitare 43mila, con le conseguenti ripercussioni negative sulla dignita' stessa di chi deve scontare una pena in celle affollate oltre ogni limite) sono temi che si dibattono da tempo, senza soluzione, e sono concause di questi tragici episodi".

Detenuto suicida nella “Casa di Lavoro” di Sulmona: è il 16° da inizio anno

Si chiamava Romano Iaria e aveva 50 anni l’uomo che la notte scorsa si è impiccato nella Sezione adibita a “Casa di Lavoro” del carcere di Sulmona (AQ). Era tossicodipendente e sieropositivo HIV, oltre a soffrire di altri gravi problemi di salute.

Nella stessa Sezione, lo scorso 7 gennaio si è impiccato il 28enne Antonio Tammaro: entrambi si trovavano reclusi non per scontare una pena ma perché sottoposti ad una “misura di sicurezza detentiva”, quella appunto dell’internamento in Casa di Lavoro. Ma le coincidenze tra i due suicidi non terminano qui: infatti sia Iaria che Tammaro si sono uccisi la notte successiva al loro rientro da un permesso trascorso con i famigliari, ai quali non avevano manifestato nessun segno di particolare disagio.

Forse, quindi, le ragioni della loro fine sono da ricercarsi proprio nelle condizioni disperanti dell’internamento nella Casa di Lavoro dove, nonostante il nome, di lavoro non ce n’è proprio e ai “normali” disagi del carcere, come il sovraffollamento (nella Sezione in cui si sono uccisi ci sono oltre 200 persone, stipate in 100 posti), si aggiungono quelli di una “pena impropria”, che viene “aggiunta” a quella comminata per la commissione di un reato se il condannato è ritenuto “socialmente pericoloso”.

Si tratta di uno strumento giuridico introdotto in epoca fascista (dove veniva largamente utilizzato anche contro gli oppositori politici) e poi rimasto come “residuo” nel nostro ordinamento: recentemente se ne è interessata l’On Rita Bernardini (Radicali-Pd), che in un passaggio nella Mozione 1-00288 ha chiesto al Parlamento di limitare l’applicazione delle misure di sicurezza ai soli soggetti non imputabili (abolendo il sistema del doppio binario) o comunque di adottare degli opportuni provvedimenti legislativi volti ad introdurre una maggiore restrizione dei presupposti applicativi delle misure di sicurezza a carattere detentivo, magari sostituendo al criterio della “pericolosità” (ritenuto di dubbio fondamento empirico) quello del “bisogno di trattamento”. La Mozione è stata in parte approvata lo scorso febbraio, ma la richiesta di limitare l’utilizzo delle misure di sicurezza è stata bocciata. E per il mantenimento delle misure di sicurezza come sono oggi “hanno votato sia il centro-destra, sia il centro-sinistra”, dichiara l’On. Bernardini.

Della Sezione “Casa di Lavoro” di Sulmona si è occupato anche l’On. Giovanni Lolli (Pd), che dopo il suicidio di Antonio Tammaro ha depositato una interrogazione al Ministro della Giustizia, per chiederne la chiusura o, quanto meno, la considerevole riduzione del numero degli internati.

Questo il testo della interrogazione “La Casa di lavoro nel carcere di Sulmona è divenuta progressivamente la più grande d’Italia - vede 205 internati ed è previsto l’arrivo di altri 200 internati nei prossimi mesi - la considerevole carenza di personale (si calcola una carenza di personale del 30 per cento dell’organico necessario) rende impossibile la convivenza della più grande Casa di Lavoro d’Italia con un carcere che vede la contestuale presenza di circuiti giudiziari (alta sicurezza, detenuti comuni, internati, internati 41-bis e collaboratori).

È evidente che l’impegno del personale in entrambe le funzioni rende impossibili le condizioni di permanenza sia di detenuti che di internati. A causa dell’elevato numero di ristretti nella struttura, infatti - prosegue la nota - il rapporto tra operatori carcerari e internati risulta difficoltoso; stante l’inidoneità della struttura, gli internati sono gestiti come detenuti e vengono concesse loro solo 4 ore d’aria nell’arco della stessa giornata le restanti 20 ore vengono trascorse all’interno delle stanze di detenzione poiché la maggioranza di essi non lavora e molti di loro iniziano a svolgere un’attività lavorativa dopo 4-5 mesi di internamento e per periodi limitati”.

Con il suicidio di Romano Iaria salgono a sedici i detenuti che si sono tolti la vita da inizio anno nelle carceri italiane. Nel carcere di Sulmona si tratta dell’undicesimo suicidio in 10 anni, fra i quali anche quello della direttrice Armida Miserere, che si tolse la vita il 19 aprile del 2003 sparandosi un colpo di pistola alla testa, e quello del sindaco di Roccaraso, Camillo Valentini, trovato nella sua cella il 16 agosto del 2004 soffocato da un sacchetto di plastica stretto alla gola da lacci per le scarpe. In tutti gli altri casi, i detenuti sono morti impiccati.

 

Detenuto suicida con gas bomboletta a Reggio Emilia

Ansa, 28 marzo 2010
Un detenuto è morto la scorsa notte nella casa circondariale di Reggio Emilia dopo aver inalato il gas della bomboletta che tutti i reclusi legittimamente detengono per cucinarsi e riscaldarsi cibi e bevande, come prevede il regolamento penitenziario. Lo ha reso noto Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del sindacato della polizia penitenziaria Sappe, precisando che l'ora del decesso risale a mezzanotte e mezza e il fatto sarebbe avvenuto durante il cambio di turno degli agenti. Il detenuto, un tossicodipendente italiano di 47 anni, è stato trovato dagli agenti durante il controllo - spiega il Sappe. Accanto al corpo c'era una busta di plastica che molto probabilmente l'uomo aveva usato per infilarci la testa durante l'inalazione del gas, come fanno di solito i tossicodipendenti.
Nella cella c'erano altri due detenuti. Ogni detenuto, secondo il regolamento, dispone di due bombolette di gas; in quella cella, quindi, c'erano sei bombolette. E' un fatto drammatico che testimonia ulteriormente la necessità di intervenire immediatamente sull'organizzazione e la gestione delle carceri, dove il numero esorbitante dei detenuti e la carenza di personale non consentono piu' alla polizia penitenziaria di garantire i controlli necessari. A Reggio, come in quasi tutti i penitenziari d'Italia, di notte, un solo agente controlla almeno due sezioni detentive, con circa 150 reclusi. Il modo in cui e' morto il detenuto del carcere di Reggio Emilia - sottolinea il sindacato - ricorda quello della persona morta nel carcere di Pavia qualche anno fa; episodio per cui l'Amministrazione penitenziaria fu condannata a risarcire i familiari con 150.000 euro. Riteniamo che sia giunto il momento di rivedere il regolamento penitenziario, al fine di vietare l'uso delle bombolette di gas, visto che l'Amministrazione fornisce il vitto a tutti i detenuti.
Detenuto malato di mente si impicca a Poggioreale: è il 14° suicidio in carcere da inizio anno
OSSERVATORIO PERMANENTE SULLE MORTI IN CARCERE
Radicali Italiani, Associazione “Il Detenuto Ignoto”, Associazione “Antigone”
Associazione “A Buon Diritto”, “Radiocarcere”, “Ristretti Orizzonti”

Angelo Russo, 31 anni, affetto da una grave forma di schizofrenia, era stato arrestato il 24 febbraio scorso febbraio con l’accusa di aver violentato una ragazza di 19 anni, mentre entrambi erano ricoverati in un Istituto di Igiene Mentale a Pozzuoli. Ieri sera si è impiccato nel carcere di Poggioreale.
Salgono a 14 i detenuti suicidi dall’inizio del 2009, mentre il carcere si riconferma ancora una volta come “ricettacolo” di ogni forma di disagio sociale: una recente ricerca, realizzata dalla SIMSPE (Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria) ha rivelato che il 10% della popolazione detenuta è affetta da malattie mentali. Si tratta di oltre 6.000 persone: 1.533 internate nei 6 OPG (Ospedali Psichiatrici Giudiziari) e le altre recluse nelle sezioni per detenuti comuni.
Russo era in carcere da meno di due settimane (formalmente indagato e non ancora rinviato a giudizio) sulla base di una presunzione di “pericolosità sociale”, che è particolarmente difficile da definire quando una persona è affetta da patologie psichiche, poiché va innanzitutto valutata la sua “capacità di intendere e volere”.
Una volta escluso il “vizio totale di mente” - che impedirebbe la celebrazione del processo e la detenzione in regime ordinario, sostituita da una “misura di sicurezza” come l’internamento in Ospedale Psichiatrico Giudiziario - il detenuto malato mentale va comunque sottoposto a cure e attenzioni particolari, anche per evitare il rischio di suicidi e autolesionismi.
Oggi il carcere, caratterizzato da sovraffollamento, carenze di personale e di risorse economiche, non è in grado di tutelare la vita e la salute dei detenuti, tantomeno di “recuperarli” alla vita sociale: il caso di Poggioreale è emblematico: ha 1.385 posti e vi sono ristretti più di 2.800 detenuti, negli ultimi 3 anni vi sono morti più di 30 detenuti, di cui 9 suicidi.
Un altro caso Cucchi
Luigi Manconi
Un altro caso Cucchi, forse peggio del caso Cucchi. Questo è il primo pensiero che viene quando ci si trova a dipanare la vicenda di violenza e di morte di Giuseppe Uva, 43 anni, per quasi tre ore in balia di un gruppo di carabinieri e poliziotti all’interno di una caserma, nella città di Varese.
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Resoconto

Luigi Manconi Valentina Calderone

Giuseppe Uva e Alberto Biggiogero vengono fermati in stato di ebbrezza verso le 3 di mattina di sabato 14 giugno 2008 da una volante dei carabinieri, mentre spostano alcune transenne bloccando l’accesso a una strada del centro di Varese. Uno dei due carabinieri all’interno della volante riconosce Uva, lo chiama per nome e inizia a inseguirlo mentre questo tenta la fuga. Alberto Biggiogero cerca di correre in aiuto di Uva, richiamato dalle grida di questo, per impedire al carabiniere di colpire l’amico.

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Cucchi e Uva, quante analogie
Luigi Manconi
Alle ore 11.10 del 14 giugno 2008 (attenzione alla data), Giuseppe Uva, 43 anni, gruista, muore nel reparto psichiatrico dell’ospedale di Circolo di Varese. Intorno alle 3 di quella stessa notte Uva e l’amico Alberto Biggiogero erano stati fermati in stato di ebbrezza da una pattuglia dei carabinieri.
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Denuncia di Alberto Biggiogero


Un detenuto si suicida a Padova
Osservatorio: è il tredicesimo suicidio dall'inizio dell'anno

(ANSA) - ROMA, 7 MAR - Un detenuto trentenne si e' suicidato oggi nel carcere di Padova. Era recluso nella sezione protetta perche' aveva manifestato forte disagio. E' il tredicesimo suicidio in carcere dall'inizio del 2010, riferisce l'Osservatorio permanente sulle morti in carcere. 'Ormai e' un bollettino di guerra, ogni giorno ci sono tentativi di suicidi, molte volte sventati dalla professionalita' della polizia penitenziaria, e aggressioni', dice Giovanni Battista Durante, Segretario generale aggiunto del Sappe. 'Quella di Giuseppe Sorrentino e' una morte annunciata, era malato da tempo, soffriva di una grave forma di depressione che lo aveva portato a estraniarsi sempre di piu' dalla realta' che lo circondava. A nulla sono valsi i nostri sforzi per tirarlo fuori dal carcere, un luogo dove un malato grave com'era lui non doveva stare': e' con dolore che l'avv. De Concilio racconta la storia del detenuto morto suicida nel carcere di Padova. 'Avevamo fatto numerose istanze di sospensione della pena - racconta - chiesto il ricovero in ospedale, il trasferimento ad un carcere piu' vicino alla famiglia, che risiede nel salernitano, ma nessuno ci ha ascoltato'. 'Anzi un mese e mezzo fa il direttore sanitario del carcere di Padova in una relazione su Sorrentino scrisse 'il detenuto non e' malato, finge''.(ANSA).
12 detenuti suicidi in nemmeno due mesi: è davvero impossibile fare prevenzione?
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Con la morte di Roberto Giuliani nel carcere di Rebibbia salgono a 12 i detenuti suicidi nel 2010.

Nei primi due mesi del 2009 ce ne furono soltanto 4 (nonostante a fine anno si sia registrato il record storico dei suicidi in carcere) e ugualmente negli anni precedenti i “numeri” di gennaio-febbraio sono stati contenuti (5 nel 2008, 2 nel 2007, 7 nel 2006), mentre in genere in “picco” si verifica a marzo-aprile, in concomitanza con la stagione primaverile, che evidentemente acuisce la sofferenza della detenzione.

Con la necessaria premessa che ogni caso di suicido contiene fattori di imponderabilità, poiché deriva da situazioni e scelte personalissime, con il nostro lavoro, la paziente raccolta delle storie personali di detenuti suicidi,  le testimonianze di persone detenute e di operatori penitenziari su questi temi, stiamo cercando di comprendere meglio le motivazioni che spingono un detenuto a togliersi la vita.
11° suicidio
Si tratterebbe di Rocco Nania, in carcere per tentato omicidio del vicino di casa. Un detenuto di 42 anni, del quale non è stata resa nota l’identità, si è impiccato nella sua cella del carcere di Vibo Valentia. A renderlo noto, con un comunicato, è il segretario generale della Uilpa Penitenziaria, Eugenio Sarno. L’uomo, originario di Taurianova, ha scritto una lettera ai familiari e, dopo avere appeso il proprio accappatoio alla finestra della cella in modo da impedire la visuale, si è tolto la vita. Il personale è immediatamente accorso ma non ha potuto fare altro che constatare il decesso dell’uomo, che sarebbe uscito dal carcere nel 2012.

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Due detenuti suicidi in un solo giorno, a Padova e a Fermo
:
salgono a 10 i carcerati che si sono tolti la vita da inizio anno
- 22 febbraio 2010, ore 15.30: nel carcere di Brescia si suicida un detenuto tunisino di 26 anni
- 23 febbraio 2010, ore, 17.00: nel carcere di Fermo si suicida Vincenzo Balsamo, di 40 anni
- 23 febbraio 2010, ore, 23.45: nel carcere di Padova si suicida Walid Aloui, di 28 anni
Ottavo detenuto suicida nel 2010: oltre la denuncia, la ricerca di possibili soluzioni
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23 febbraio 2010
Il suicidio nel carcere di Brescia di un detenuto tunisino di 27 anni ha riportato l’attenzione sulla drammatica condizione di vita nelle carceri italiane, dove sono stipati più di 66.000 detenuti (negli ultimi due anni sono aumentati di ben 18.000) a fronte di circa 44.000 posti.
La situazione della Casa Circondariale di Brescia è emblematica: ha una “capienza regolamentare” di 206 posti, ma i detenuti sono 510, di cui 305 stranieri (dati Dap riferiti al 19 febbraio scorso). Questo significa che ogni detenuto ha a disposizione uno spazio in cella inferiore ai 2 mq, spazio nel quale trascorre 20-22 ore al giorno, durante le quali cerca di dormire, di nutrirsi, di lavarsi… e di non impazzire. Un accatastamento di corpi reso possibile dalla disposizione “a castello” delle brande, fino a 3 o anche 4 piani.

L’affollamento delle celle determina un aumento dei suicidi?
L’affollamento significa condizioni di vita peggiori: per mancanza di spazi di movimento, di intimità, di igiene e salute, etc., quindi è tra le possibili ragioni della scelta di uccidersi. Va anche detto che il 30% circa dei suicidi avviene mentre il detenuto è da solo, perché in cella di isolamento o perché i compagni sono usciti per “l’ora d’aria”.

La frequenza dei suicidi tra i detenuti è cambiata nel corso degli anni?
Negli ultimi dieci anni (2000-2009) i detenuti suicidi nelle carceri italiane sono stati 568, mentre nel decennio 1960-69 sono stati “soltanto” 100, con una popolazione detenuta che era circa la metà dell’attuale: in termini percentuali, la frequenza dei suicidi è quindi aumentata del 300%.
I motivi di questo aumento sono diversi: 40 anni fa i detenuti erano prevalentemente criminali “professionisti” (che mettevano in conto di poter finire in carcere ed erano preparati a sopportarne i disagi), mentre oggi buona parte della popolazione detenuta è costituita da persone provenienti dall’emarginazione sociale (immigrati, tossicodipendenti, malati mentali), spesso fragili psichicamente e privi delle risorse caratteriali necessarie per sopravvivere al carcere.

La frequenza dei suicidi nelle carceri straniere è la stessa che in Italia?
La media europea dei suicidi in carcere è di 1 detenuto ogni 1.000 circa e l’Italia è allineata a questo dato. Però bisogna considerare che nel complesso della popolazione italiana avviene un suicidio ogni 20.000 abitanti, mentre in Paesi come la Francia, la Gran Bretagna e l’Olanda si registra una frequenza pressoché doppia, quindi da noi è maggiore lo scarto tra popolazione libera e detenuti.

Cosa sta facendo l’Amministrazione Penitenziaria?
Lo scorso 25 gennaio il DAP ha emanato la Circolare GDAP-0032296-2010 “Emergenza suicidi: istituzione unità di ascolto Polizia Penitenziaria”, con la quale dispone che in ogni carcere venga formato un gruppo di 4 - 5 Ufficiali o Sottufficiali di Polizia Penitenziaria, da avviare a un percorso di formazione al termine del quale dovrebbero essere in grado di gestire delle “Unità di ascolto” per la prevenzione dei suicidi. Gli Psicologi Penitenziari e anche alcuni Sindacati della Polizia Penitenziaria hanno vivacemente protestato contro questa decisione, evidenziando da un lato che già ora i poliziotti sono in numero insufficiente ad assolvere le funzioni loro assegnate e dall’altro che si creerebbe una commistione indebita tra professionalità diverse.
Anche il volontariato è stato chiamato a collaborare e, proprio domani, nella sede del DAP di Largo Daga si svolgerà un incontro tra Sebastiano Ardita (Direzione generale dei detenuti e del trattamento) e una rappresentanza delle Associazioni, con in agenda l’avvio di un monitoraggio nazionale delle iniziative di prevenzione dei suicidi messe finora in atto dai singoli Istituti di pena.

Quali prospettive?
Il primo obiettivo rimane la riduzione dell’affollamento delle celle, che consentirebbe un miglioramento delle condizioni di vita dei detenuti e, con ogni probabilità, una diminuzione dei suicidi. Non può essere conseguito affidandosi unicamente al programma di edilizia penitenziaria: se i detenuti continuano ad aumentare con questi ritmi (18.000 in più negli ultimi due anni) il rischio è che dopo aver speso 1 miliardo e mezzo di euro e creato 20.000 nuovi posti ci si ritrovi al punto di partenza. Per questo è importante puntare sulle misure contenute nella bozza del Disegno di legge “Alfano” sulla detenzione domiciliare nell’ultimo anno di pena e la “messa in prova” per chi ha commesso reati punibili fino a tre anni.
Sulle iniziative per la prevenzione “diretta” dei suicidi serve chiarezza: non si possono ottenere risultati a “costo zero”. Negli Stati Uniti negli anni 80 fu creato un Ufficio “ad hoc” per la prevenzione dei suicidi in carcere, con uno staff di 500 persone incaricate della formazione del personale penitenziario in tutti gli Stati: in 25 anni i suicidi tra i detenuti si sono ridotti del 70%.
In Italia esiste da più di 20 anni la cosiddetta “Circolare Conso”, che prevede la creazione dei “Presidi Nuovi Giunti” per dare un immediato supporto ai detenuti all’ingresso in carcere (il 25% dei suicidi avviene, infatti, nei primissimi giorni di detenzione). Ma di questi “Presidi”, a tutt’oggi, ne sono attivi pochissimi, perché mancano gli psicologi per farli funzionare.
Non si può certo chiedere agli agenti di sopperire alla mancanza di psicologi (anche se - nella quotidianità del carcere e a loro volta in numero insufficiente - devono spesso fare le veci del medico, dell’educatore  e quant’altro… dato che tutte le figure professionali sono in sotto-organico clamoroso). È possibile, invece, investire maggiormente nella formazione della Polizia Penitenziaria (di tutti, non solo di 4-5 operatori ogni istituto) sul versante della relazione e della comunicazione con i detenuti, non pretendendo di certo che siano delegati a fare “prognosi” sul rischio che una persona si suicidi.


Spoleto, detenuto si impicca in cella. E' il settimo suicidio in carcere in venti giorni
Perugia, 20 gen. - (Adnkronos) - Un detenuto di 29 anni, Ivano Volpi, si è suicidato impiccandosi nel reparto di infermeria del carcere di Spoleto, in provincia di Perugia. Il giovane era detenuto da pochi giorni. Si tratta del settimo suicidio in carcere dall'inizio dell'anno.


"Questo episodio - ha spiegato all'ADNKRONOS Francesco Morelli dell'Osservatorio Permanente sulle morti in carcere - non fa che confermare che il periodo più a rischio per un detenuto sono i primi giorni di detenzione. Su circa 1500 casi presi in esame, circa un quarto dei suicidi è avvenuto nella prima settimana in carcere e spesso sono persone alla prima detenzione. Si tratta di shock post traumatico da stress. Per tentare di evitare che casi come questi si ripetano è necessario - ha spiegato Morelli - incrementare il numero degli psicologi".
Sesto detenuto suicida in soli 15 giorni: senza interventi di prevenzione ed una diversa politica penale non c’è “piano carceri” che tenga.



Con la morte di Mohamed El Aboubj, ritrovato esanime nel bagno della sua cella nel carcere di San Vittore salgono a 6 i detenuti suicidi dall’inizio dell’anno: una frequenza mai registrata prima.

Mohamed El Aboubj era stato condannato in primo grado a 6 mesi di carcere per aver partecipato alla “rivolta” avvenuta 5 mesi fa nel Centro di Identificazione ed Espulsione (CIE) di Via Corelli.

Tra un mese sarebbe stato scarcerato, probabilmente senza che arrivasse la sentenza definitiva, quindi dopo aver “scontato” in custodia cautelare una vera e propria “anticipazione della pena”.

L'avvocato Mauro Straini - legale di El Aboubj - ha commentato ad Apcom la morte del suo assistito spiegando che "nel 2009 in Italia si è registrato un record di suicidi tra i reclusi, 72 casi, e in questo primo scorcio dell'anno si sono già verificati alcuni casi. Invece di discutere solo in merito alla costruzione di nuovi penitenziari - ha aggiunto il legale - bisognerebbe ripensare seriamente al senso della pena e della custodia cautelare che andrebbe applicata soltanto in casi estremi ridimensionando la facilità con la quale viene disposta oggi".

6 detenuti suicidi in soli 15 giorni (1 morto ogni 60 ore, in media): una frequenza mai registrata prima, a fronte della quale non c’è alcun “piano carceri” che tenga, anche perché gli interventi recentemente annunciati dal ministro Alfano non prevedono alcun rafforzamento dell’attività “trattamentale” verso i detenuti, quindi l’assunzione di psicologi, educatori, assistenti sociali.

Si edificheranno nuove celle (“se” e “quando” si edificheranno), si assumeranno nuovi agenti di polizia penitenziaria (“se” e “quando” si assumeranno), in modo da poter “contenere” e “sorvegliare” fino a 80.000 detenuti. Che possano arrivare vivi al termine della pena - possibilmente conservando anche un po’ di salute fisica e mentale - non sembra essere tra le preoccupazioni di chi governa (il Paese e le carceri).
Osservatorio permanentre sulle morti in carcere - Radicali Italiani, Associazione “Il Detenuto Ignoto”, Associazione “Antigone”, Associazione “A Buon Diritto”, “Radiocarcere”, “Ristretti Orizzonti”
DETENUTO SUICIDA A MASSA, IL QUINTO DA INIZIO 2010
(ANSA) - ROMA, 14 GEN - Quinto suicidio nelle carceri italiane dall'inizio dell'anno: Abellativ Sirage Eddine, 27 anni, detenuto extracomunitario nel reparto infermeria del carcere circondariale di Massa, si e' impiccato la notte scorsa con un lenzuolo annodato al tubo della doccia.
In due settimane, dunque, sono gia' cinque i detenuti che hanno deciso di farla finita nelle sovraffollate carceri italiane per le quali ieri il Consiglio dei Ministri ha dichiarato lo stato di emergenza: il 2 gennaio, ad Altamura (Bari) si e' u
ciso Pierpaolo Ciullo, 39 anni; tre giorni dopo si e' impiccato nel carcere Buoncammino di Cagliari Celeste Frau, 62 anni; il 7 gennaio, infine, si sono suicidati Amato Tammaro, 28 anni, nel supercarcere di Sulmona, e Giacomo Attolini, 49 anni, nel penitenziario di Verona.(ANSA).

Carceri: detenuto suicida a Verona
Il quarto dall'inizio del 2010

(ANSA) - ROMA, 8 GEN - Quarto suicidio nelle carceri italiane dall'inizio dell'anno:Giacomo Attolini,49 anni,detenuto comune nel carcere di Verona, si e' impiccato. Ha utilizzato una maglietta legata alle sbarre della finestra del bagno in cella. L'uomo si e' tolto la vita nella tarda sera di ieri. In 8 giorni e'il quarto detenuto che si e' suicidato: il 2 gennaio e' avvenuto ad Altamura (Bari): tre giorni dopo nel carcere Buoncammino di Cagliari e ieri sera, nel supercarcere di Sulmona.
Detenuto suicida a Sulmona
Si e' impiccato nella sua cella, aperta inchiesta
07 gennaio, 22:59

(ANSA) - SULMONA (L'AQUILA), 7 GEN - Un detenuto del supercarcere di Sulmona si e' impiccato nella sua cella. Il cadavere e' stato scoperto dagli agenti di custodia.

Non e' stato rivelato il nome del detenuto che, si e' appreso, aveva 28 anni ed era del napoletano. Sulla vicenda il sostituto procuratore della Repubblica di Sulmona, De Siervo, ha avviato un'inchiesta. Il supercarcere di Sulmona, che ospita anche detenuti del 41 bis, e' noto come il 'carcere dei suicidi', per le numerose morti avvenute negli anni scorsi.
62enne si toglie la vita nel carcere di Cagliari: è il secondo detenuto suicida in 5 giorni

Celeste Frau, 62 anni, condannato a 12 anni di carcere per una rapina commessa nel 2007, si è ucciso ieri nel carcere “Buoncammino” di Cagliari.

Frau, che di mestiere faceva il rottamaio, aveva diversi precedenti penali, ma non aveva mai dovuto confrontarsi con una condanna così pesante e, sconfortato dall’idea di dover trascorrere gli ultimi anni della sua vita in una galera, ha preferito darsi la morte.

Celeste Frau era in cella con altri tre detenuti. Che non vedendolo uscire dal bagno si sono allarmati. Quando si sono affacciati, hanno visto il suo corpo penzolare dalla finestra. Aveva annodato le lenzuola. Non ha lasciato un biglietto né, che risulti, ha mai manifestato con alcuno intenti suicidi.

La vittima era una vecchia conoscenza del direttore di Buoncammino, Gianfranco Pala. Che definisce la sua morte “imprevista ed imprevedibile”. Frau, riferisce Pala, “aveva passato buona parte della sua vita in galera e non era depresso. Aveva un ottimo rapporto con i detenuti e con gli agenti. Semmai aveva problemi cardiaci e per questo era seguito con particolare attenzione dai medici”. Aggiunge, Pala, che i compagni di cella sono rimasti molto colpiti.

Il suo avvocato, Erika Dessì si dice “affranta”. “Ero fermamente convinta della sua innocenza, ha commentato ieri. “Frau è stato condannato perché a casa sua sono stati trovati alcuni gioielli della rapina. Ma il suo telefono all'ora della rapina aveva agganciato una cella di Assemini, dove risiedeva. Dopo la pubblicazione della sentenza mi sarei battuta in cassazione per farlo assolvere”.

Sposato e padre di sei figli, Frau ha fatto parlare di sé non solo in relazione ad episodi di “cronaca nera”: nel 1994 è ancora detenuto a Cagliari, dove sconta una condanna di 2 anni e 6 mesi, quando suo figlio Stefano, 21enne, muore in un incidente stradale. Celeste chiede un permesso per partecipare ai funerali del figlio: il giudice glielo concede, ma dispone che ci vada in manette e scortato dai Carabinieri. L’uomo rifiuta il permesso e si appella alle autorità civili e religiose perché lo sostengano nella richiesta di dare l’ultimo saluto al figlio senza l’umiliazione delle manette.

L’Osservatore Romano si occupa del suo caso con un articolo dal titolo “Una giustizia senza cuore” e l’Ordine degli avvocati di Cagliari presenta un protesta formale in Tribunale, ma la decisione del giudice non cambia.

Con la morte di Celeste Frau salgono a 21 i detenuti morti negli ultimi 8 anni nel carcere di Cagliari: 11 si sono suicidati, 4 sono deceduti per malattia e per altri 6 è stata aperta un’inchiesta giudiziaria mirante all’accertamento delle cause della morte.

Per quanto riguarda i suicidi di detenuti “over 60”, con quello di Frau negli ultimi otto anni se ne contano 26, di cui 3 ultrasettantenni. Di certo le condizioni detentive, caratterizzate da un cronico sovraffollamento e dalla carenza di personale, anche sanitario, penalizzano in maniera particolare i detenuti anziani che avrebbero bisogno di spazi e assistenza adeguate (sono oltre 2.500 gli “over 60” e 450 di loro hanno più di 70 anni).
Osservatorio permanente sulle morti in carcere - 7 gennaio 2009
Carcere 2010: a Cagliari il secondo suicidio
Celeste Frau, 62 anni, condannato a 12 anni di carcere per una rapina commessa nel 2007, si è ucciso ieri nel carcere “Buoncammino” di Cagliari.
Frau, che di mestiere faceva il rottamaio, aveva diversi precedenti penali, ma non aveva mai dovuto confrontarsi con una condanna così pesante e, sconfortato dall’idea di dover trascorrere gli ultimi anni della sua vita in una galera, ha preferito darsi la morte.
Celeste Frau era in cella con altri tre detenuti. Che non vedendolo uscire dal bagno si sono allarmati. Quando si sono affacciati, hanno visto il suo corpo penzolare dalla finestra. Aveva annodato le lenzuola. Non ha lasciato un biglietto né, che risulti, ha mai manifestato con alcuno intenti suicidi.La vittima era una vecchia conoscenza del direttore di Buoncammino, Gianfranco Pala. Che definisce la sua morte “imprevista ed imprevedibile”. Frau, riferisce Pala, “aveva passato buona parte della sua vita in galera e non era depresso. Aveva un ottimo rapporto con i detenuti e con gli agenti. Semmai aveva problemi cardiaci e per questo era seguito con particolare attenzione dai medici”. Aggiunge, Pala, che i compagni di cella sono rimasti molto colpiti.

Il suo avvocato, Erika Dessì si dice “affranta”. “Ero fermamente convinta della sua innocenza, ha commentato ieri. “Frau è stato condannato perché a casa sua sono stati trovati alcuni gioielli della rapina. Ma il suo telefono all'ora della rapina aveva agganciato una cella di Assemini, dove risiedeva. Dopo la pubblicazione della sentenza mi sarei battuta in cassazione per farlo assolvere”.

Sposato e padre di sei figli, Frau ha fatto parlare di sé non solo in relazione ad episodi di “cronaca nera”: nel 1994 è ancora detenuto a Cagliari, dove sconta una condanna di 2 anni e 6 mesi, quando suo figlio Stefano, 21enne, muore in un incidente stradale. Celeste chiede un permesso per partecipare ai funerali del figlio: il giudice glielo concede, ma dispone che ci vada in manette e scortato dai Carabinieri. L’uomo rifiuta il permesso e si appella alle autorità civili e religiose perché lo sostengano nella richiesta di dare l’ultimo saluto al figlio senza l’umiliazione delle manette.

L’Osservatore Romano si occupa del suo caso con un articolo dal titolo “Una giustizia senza cuore” e l’Ordine degli avvocati di Cagliari presenta un protesta formale in Tribunale, ma la decisione del giudice non cambia.

Con la morte di Celeste Frau salgono a 21 i detenuti morti negli ultimi 8 anni nel carcere di Cagliari: 11 si sono suicidati, 4 sono deceduti per malattia e per altri 6 è stata aperta un’inchiesta giudiziaria mirante all’accertamento delle cause della morte.

Per quanto riguarda i suicidi di detenuti “over 60”, con quello di Frau negli ultimi otto anni se ne contano 26, di cui 3 ultrasettantenni. Di certo le condizioni detentive, caratterizzate da un cronico sovraffollamento e dalla carenza di personale, anche sanitario, penalizzano in maniera particolare i detenuti anziani che avrebbero bisogno di spazi e assistenza adeguate (sono oltre 2.500 gli “over 60” e 450 di loro hanno più di 70 anni).

(Osservatorio permanente sulle morti in carcere)

 

Carcere 2010: primo suicidio
Detenuto di 39 anni muore suicida nel carcere di Altamura (Ba)
Dopo che il 2009 ha fatto registrare il numero più alto di suicidi in carcere della storia italiana (72), il 2010 sembra essere iniziato all’insegna della medesima “emergenza”: infatti sabato 2 gennaio, nel carcere di Altamura (Ba) è morto Pierpaolo Ciullo, 39 anni, detenuto per reati di droga. Si sarebbe ucciso asfissiandosi con il gas.

Il giovane è stato rinvenuto, ormai senza vita, ai piedi del letto nella sua cella, dove sembra fosse da solo; vicino al corpo un fornello da campeggio, alimentato da una bombola di gas, di quelli in dotazione ai detenuti. A nulla sono serviti i soccorsi del personale della Casa Circondariale. L’ipotesi del suicidio non è stata ancora confermata ufficialmente, ma sembrerebbe al momento la più probabile.

Pierpaolo Ciullo, originario della Provincia di Lecce, era arrivato da poco nell’Istituto Penitenziario di Altamura, proveniente dalla Casa Circondariale di Lecce. Da quanto si è appreso avrebbe chiesto spontaneamente di essere trasferito, perché nel carcere leccese vi era un rapporto difficile con gli altri detenuti e per lui la situazione era diventata insostenibile.

Nel piccolo carcere di Altamura, dove a fronte di 52 posti “regolamentari” i detenuti presenti sono 90, erano anni che non si verificava un suicidio. Nel complesso delle carceri pugliesi, invece, i detenuti sono oltre 4.300 (la capienza è di 2.535 posti) e nel 2009 si sono verificati 3 suicidi (a Foggia, all’IPM di Lecce e a San Severo), mentre i tentativi di suicidio sono stati circa 80. Nel 2008 i suicidi erano stati 2 ed i tentativi di suicidio circa 60.

Aversa: morte misteriosa dentro il carcere psichiatrico
Il referto del medico legale parla di "soffocamento da rigurgito", ma il magistrato ha disposto l’autopsia. Pierpaolo Prandato, 45 anni, originario di Albaredo (Ve), è spirato la notte del 21 dicembre nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa, dov’era rinchiuso da un anno e mezzo.
23 dicembre 2009 :
  • Il 70° detenuto suicida è morto proclamandosi innocente… e se lo fosse stato davvero?
  • Rebibbia, si suicida killer dei Mazzarella
  • Immigrati, tensione al Cie di Ponte Galeria

Immigrati, tensione al Cie di Ponte Galeria
Situazione tesa all'interno del centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria, a Roma. Questa mattina, nel giro di pochi minuti, un immigrato algerino si è ferito con un rasoio mentre un tunisino ha tentato, invano, di darsi fuoco. L'algerino M. A., 25 anni proveniente dal carcere di Velletri, si trova da cinque mesi nel cie in attesa del riconoscimento da parte del suo paese di origine.

Questa mattina si è colpito più volte un braccio con una lametta per protestare contro il fatto che un connazionale che sarebbe entrato nel centro dopo di lui sarebbe stato fatto giù uscire. Il trentenne marocchino A M., invece, si trova da tre mesi e mezzo al cie ed ha provato a darsi fuoco con un accendino.

L'uomo non vuol essere rimpatriato in Marocco e chiede, invano, di poter uscire dal centro per trasferirsi in Francia, dove dice di avere dei parenti. Attualmente a Ponte Galeria sono ospitate 263 persone, 151 uomini e 112 donne. soprattutto fra gli uomini, la presenza è in deciso aumento, al punto che il settore maschile è quasi pieno.

«Le norme in tema di immigrazione a causa della lentezza delle identificazioni, non è più una eventualità ma una certezza la possibilità, per gli ospiti, di trascorrere sei mesi nel centro», denuncia i garanti dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni: «A questo, a Ponte Galeria, si aggiunge anche la criticità delle condizioni di permanenza aggravata, negli ultimi giorni, dall'interruzione della collaborazione tra croce rossa e asl sull'assistenza sanitaria. A Ponte Galeria tutto sarà fuorchè un bel natale».

23 dicembre 2009
Rebibbia, si suicida killer dei Mazzarella
Ciro Spirito, collaboratore di giustizia, si è tolto la vita nel carcere romano. Disposta l'autopsia

NAPOLI - Ciro Giovanni Spirito, 35 anni, il collaboratore di giustizia suicidatosi oggi nel carcere romano di Rebibbia, era detenuto in quanto ritenuto un killer del clan camorristico dei Mazzarella. L’uomo è stato trovato impiccato all’alba di oggi, con la cintura dell’accappatoio allo stipite di un armadietto. Sul posto è arrivato il magistrato di turno Andrea Mosca, che ha avviato accertamenti per stabilire le cause del suicidio. Spirito, a quanto si è appreso, non ha lasciato messaggi per spiegare il gesto. Domani il magistrato affiderà l’autopsia ad un medico legale.

LA STORIA - Spirito, insieme con il boss Vincenzo Mazzarella, di 53 anni, fu arrestato nel 1999 a Nizza dalla Squadra Mobile di Napoli in collaborazione con agenti di polizia francesi. I due, come ricostruisce l'Ansa, furono sorpresi in un lussuoso residence dell’ hotel Siracuse a Villeneve Luobet. Mazzarella e Spirito finirono in manette con l’accusa di associazione per delinquere di stampo camorristico. A Spirito, in particolare, si contestava anche l’omicidio di Egidio Cutarelli, avvenuto il 16 febbraio 1998, davanti al carcere di Poggioreale a Napoli. Il delitto avvenne nell’ ambito dello scontro tra gli esponenti del clan Mazzarella e quelli della «Alleanza di Secondigliano». Nella sparatoria morì anche il padre di Vincenzo Mazzarella, Francesco. L’agguato era stato organizzato dai killer dell’«Alleanza di Secondigliano» contro Vincenzo Mazzarella che quel giorno doveva essere scarcerato.


23 dicembre 2009
La Repubblica
Il 70° detenuto suicida è morto proclamandosi innocente… e se lo fosse stato davvero?
Plinio Toniolo, 55 anni, artigiano, ex assessore del Comune di Nove (Vi) è il settantesimo detenuto che si toglie la vita dall’inizio dell’anno: si tratta del numero più alto di suicidi in carcere mai registrato in Italia.

Toniolo è il quarto detenuto che muore suicida nella Casa Circondariale di Vicenza negli ultimi 4 anni: il 24 novembre 2008 si uccise Abdelmijd Kachab, algerino di 22 anni;  il 12 aprile 2007 Carlo Maruzzo, di 38 anni e il 6 ottobre 2005 Simon Lleshaj, albanese di 36 anni.

L’uomo era stato arrestato domenica per un mandato di cattura europeo. Le autorità tedesche lo accusavano di fatti molti gravi: atti sessuali su minorenne. Ieri, dopo l'interrogatorio di garanzia, nel quale ha cercato strenuamente di spiegare che quelle accuse erano folli, perché lui di mani addosso a bambini e bambine non ne ha mai messe né aveva mai pensato di metterle, è rientrato in cella. E si è tolto la vita.

Il dramma è stato scoperto intorno alle 16.30. Le guardie penitenziarie hanno dato l'allarme al 118, ma all'arrivo dei sanitari del Suem non c'è stato più nulla da fare, Toniolo era già morto per soffocamento.

Toniolo era stimato sia come artigiano decoratore sia come uomo. Ex assessore del Comune, ha operato una vita nel settore del volontariato e delle opere sociali, a stretto contatto con la parrocchia. Una persona specchiata, viene descritta in paese, che si è sempre spesa per gli altri. Per questo l'artigiano non sarebbe riuscito a reggere quell'accusa infamante.

Da quanto è stato possibile ricostruire, i carabinieri della compagnia di Bassano avevano ricevuto il mandato di cattura europeo spiccato dal tribunale di Berlino. Non avevano potuto fare altro che arrestare Toniolo e accompagnarlo in carcere. Lui si era detto fin dal primo momento sconvolto dell'accusa. Lo stesso ha fatto ieri, quando è stato interrogato dal giudice della Corte d'Appello di Venezia, competente per i casi di arresto ordinato da altri paesi dell'Ue. Toniolo si è difeso, ma quando ha saputo che le manette a suo carico erano state convalidate non avrebbe retto ed avrebbe deciso di farla finita.

Non sapremo mai se Plinio Toniolo era davvero innocente, ma di certo sappiamo che ha usato il suo corpo, la sua vita, nell’estremo tentativo di essere ascoltato e creduto. Come Bruno Vidali, che si è ucciso il 14 novembre scorso nel carcere di Tolmezzo dopo aver inutilmente “gridato” per mesi la sua innocenza, e come tanti altri prima di loro.

Premettendo che ogni decesso dietro le sbarre rappresenta di per sé un fatto inaccettabile per la civiltà del paese e per le nostre coscienze, viene da chiedersi quanti dei detenuti che muoiono ogni anno avrebbero potuto essere fuori dal carcere e, probabilmente, essere ancora vivi.

La custodia cautelare in carcere dovrebbe rappresentare l’eccezione e non una sorta di “anticipazione della pena”, mentre i detenuti in attesa di giudizio sono più numerosi dei condannati (34mila circa contro 31mila).

Le morti sono più frequenti tra i carcerati in attesa di giudizio, rispetto ai condannati, in rapporto di circa 60/40: mediamente, ogni anno in carcere muoiono 90 persone ancora da giudicare con sentenza definitiva e le statistiche degli ultimi 20 anni ci dicono che 4 su 10 sarebbero stati destinati ad una assoluzione, se fossero sopravvissuti.

In allegato la serie storica (2000-2009) dei suicidi e tentati suicidi in carcere e alcune storie di detenuti che si sono suicidati proclamandosi innocenti.
22 dicembre 2009 
Un altro suicidio misterioso?
Luigi Manconi: “Alfonsina Toriello: ‘Pesava poco più di quaranta chili, aveva quasi certamente un tumore, ma veniva solo imbottito di psicofarmaci e non prendeva più le medicine per la cirrosi epatica. Non si reggeva in piedi: qualcuno deve spiegarmi come sia possibile che in quelle condizioni sia riuscito ad arrampicarsi alla grata e legarsi quella cinta al collo’. Se questo ultimo suicidio viene considerato ‘misterioso’ dalla sorella di Marco Toriello, che si è tolto la vita tre giorni fa nel carcere di Salerno, è a causa della soffocante e crescente opacità del sistema penitenziario, dove domina ormai un regime di omissione di soccorso e di frequente abbandono terapeutico. Analogamente a quanto accaduto nel carcere di Teramo, abbandonato dagli uomini e da Dio, ‘nemmeno un prete per chiacchierare’: anche il cappellano manca da molti mesi. Per questo appare ancora più indecente il sospiro di sollievo, che si avverte in alcuni ambienti dell’amministrazione e dei sindacati della polizia penitenziaria, per il fatto che Uzoma Emeka, detenuto nigeriano, sia morto ‘solo’ per tumore cerebrale. Dunque, la sua morte non è immediatamente collegabile al fatto di essere stato tra i testimoni del pestaggio avvenuto in quel carcere alcune settimane fa, per il quale il comandante è stato sospeso dall’incarico. Il risultato dell’autopsia rischia, così, di far dimenticare due circostanze altrettanto inquietanti: 1) il malore che ha portato alla morte del detenuto era stato preceduto, due giorni prima, da un altro grave episodio, al quale non aveva fatto seguito alcun provvedimento sanitario né alcuna forma di assistenza specialistica; 2) dopo il malore del venerdì mattina, alle 8.30, si sono aspettate molte ore (4 o 5) prima di disporre il ricovero in ospedale. Si è avuta cosi la 172esima morte in carcere nel corso degli ultimi 12 mesi; e lo stesso giorno si è registrato il 69esimo suicidio del 2009 (sempre che anche quest’ultimo non sia ‘misterioso’). È il numero più alto di suicidi (eguagliato solo nel 2001) degli ultimi due decenni: e si ricordi che in carcere ci si toglie la vita 17-18 volte più di quanto si faccia fuori dal carcere. Su tutto ciò il silenzio del capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Franco Ionta, risulta assordante e tragicamente bizzarro. Immaginiamo che sia in tutt’altre faccende affaccendato o che, esausto per l’eccessivo carico di lavoro, abbia deciso di godersi in anticipo le ferie natalizie. Gli auguro tanta, tanta, serenità.”
Carcere di Teramo, muore il «negro»
Il detenuto testimone del pestaggio
Di lui parlava in un nastro anonimo mandato ai giornali il capo dei secondini: «Il negro» ha visto tutto

MILANO - Un detenuto, Uzoma Emeka rinchiuso nel carcere di Castrogno, è morto venerdì scorso in circostanza misteriose nell'ospedale di Teramo. Nigeriano, 32 anni, condannato a due anni per spaccio di stupefacenti, l'uomo aveva assistito il 22 settembre al pestaggio di un altro detenuto. In quell'occasione scoppiarono le polemiche perché un nastro anonimo, che parlava delle violenze, fu affidato alla stampa: «Non si massacrano così i detenuti in sezione, si massacrano sotto... il negro (Uzoma Emeka) ha visto tutto». Queste parole, dette da Giuseppe Luzi, capo delle guardie carcerarie ad un sottoposto, furono registrate da qualcuno e inviate al quotidiano locale La Città. Luzi fu sollevato dall'incarico dal ministro della Giustizia Alfano. Ora, a distanza di tre mesim arriva il decesso di Uzom. La procura ha aperto un'inchiesta anche su questa morte e secondo il quotidiano La Stampa, che lunedì mattina riportava la notizia, i giudici hanno disposto che l'autopsia del giovane nigeriano sia filmata.

MANCONI - Sentitosi male alle 8.30 mentre era al telefono con la moglie, Uzoma Emeka, è stato ricoverato in ospedale nel pomeriggio quasi cinque ore dopo ed è morto. «Non sappiamo, ma in ogni caso è certo che a Teramo si è verificato l’ennesimo caso di ’abbandono terapeutico’», commenta in una nota Luigi Manconi, presidente dell’associazione A buon diritto. «Ora, va da sé - aggiunge - si parla di ’morte per cause naturali’: ma sappiamo che oltre il 50% dei decessi in cella è classificato come dovuto a cause da accertare». Autolesionismo, abusi, morti improvvise, overdose presentate come suicidi, suicidi presentati come overdose, mancato aiuto, assistenza negata, «è un vero e proprio regime di omissione di soccorso - dice Manconi - quello che governa il sistema penitenziario italiano. Sullo sfondo di questo tragico avvenimento, l’ultimo di una lunga teoria di morti o inspiegate o sospette, c’è la vicenda del ’negro ha visto tutto’, del ’massacro’ involontariamente confessato, dei testimoni che esitano a parlare. Forse non ci sono ’misteri’ nel carcere di Teramo, ma certamente c’è un bubbone che va eliminato».

I DATI - Con il detenuto nigeriano morto nel carcere di Teramo le morti in carcere nel 2009 toccano quota 172: viene così superato il triste record del 2001, che aveva segnato con 171 detenuti morti, il numero più alto di morti in carcere nella storia della Repubblica. I dati sono dell’Osservatorio permanente sulle morti in carcere. Negli ultimi 10 anni, nelle carceri italiane, sono morte 1.560 persone, di queste 558 si sono suicidate. Per la maggior parte si trattava di persone giovani, spesso con problemi di salute fisica e psichica, spesso tossicodipendenti.
Corriere della Sera 21 dicembre 2009
Nuovo suicidio in carcere: eguagliato il “record” nella storia della Repubblica
Marco Toriello, 45 anni, tossicodipendente, gravemente ammalato, venerdì scorso si è ucciso impiccandosi nella sua cella del carcere di Salerno. Si tratta del sessantanovesimo recluso che si toglie la vita dall’inizio dell’anno. Viene così eguagliato il triste “record” del 2001: il numero più alto di detenuti suicidi nella storia della Repubblica. Il totale dei detenuti morti nel 2009 sale così a 171.

Anche per Marco, come in altri casi recenti, i famigliari non credono al suicidio e vogliono che la magistratura intervenga, disponendo un’indagine. E se è vero che ogni nuova morte in carcere si presta ad alimentare sospetti e polemiche (e i parenti hanno il sacrosanto diritto di chiedere e ottenere una verità certa), l’attenzione alla singola vicenda non deve far dimenticare che le “morti di carcere” rappresentano sempre e comunque una sconfitta per la società civile.

Negli ultimi 10 anni nelle carceri italiane sono morte 1.560 persone, di queste 558 si sono suicidate. Per la maggior parte si trattava di persone giovani, spesso con problemi di salute fisica e psichica, spesso tossicodipendenti.

Ma è davvero scontato ed inevitabile che i detenuti muoiano, seppur giovani, con questa agghiacciante frequenza di 1 ogni 2 giorni? No, assolutamente no!

I morti sarebbero molti meno se nel carcere non fossero rinchiuse decine di migliaia di persone che, ben lontane dall’essere “criminali professionali”, provengono piuttosto da realtà di emarginazione sociale, da storie decennali di tossicodipendenza, spesso affette da malattie mentali e fisiche gravi, spesso poverissime.

Oggi il carcere è pieno zeppo di queste persone e il numero elevatissimo di morti ne è conseguenza diretta: negli anni 60, come dimostra la ricerca allegata, i suicidi in carcere erano 3 volte meno frequenti di oggi, i tentativi di suicidio addirittura 15 volte meno frequenti…  e non certamente perché a quell’epoca i detenuti vivessero meglio.

Oggi il 30% dei detenuti è tossicodipendente, il 10% ha una malattia mentale, il 5% è sieropositivo hiv, il 60% una qualche forma di epatite, in carcere ci sono paraplegici e mutilati, a Parma c’è una sezione detentiva per “minorati fisici”… e si potrebbe continuare.

Le misure alternative alla detenzione vengono concesse con il contagocce: prima dell’indulto del 2006 c’erano 60.000 detenuti e 50.000 condannati in misura alternativa; oggi ci sono 66.000 detenuti e soltanto 12.000 persone in misura alternativa.

Più della metà dei detenuti sono in attesa di giudizio, mentre 30.500 stanno scontando una condanna (vedi allegato): di questi quasi 10.000 hanno un residuo pena inferiore a 1 anno e altri 10.000 compreso tra 1 e 3 anni.

Molti di loro potrebbero essere affidati ai Servizi Sociali, anziché stare in cella: ne gioverebbero le sovraffollate galere e, forse, anche la conta dei “morti di carcere” registrerebbe una pausa.
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68° suicidio
Martedì scorso è morto nel carcere di Alessandria, ufficialmente suicidatosi (molte ombre suggeriscono che così potrebbe non essere) Ciro Ruffo, di 35 anni.  È il 68° suicidio dall’inizio dell’anno: un numero tragicamente prossimo a eguagliare e sopravanzare quel “69”, primato negativo dei detenuti che si sono tolti la vita (nel 2001) nel corso dell’ultimo ventennio.
La morte di Stefano Cucchi, il giovane romano ucciso di botte durante la sua breve prigionia, ha contribuito, nel suo orrore, ad accendere una tenue luce sul sistema penitenziario italiano, sulle sue prassi, sulle sue brutalità. E sulla sua totale inefficacia rieducativa. Questo inizio di attenzione è contrastato da una retorica giustizialista e securitaria feroce, come questo paese non aveva mai sperimentato. La sua costruzione non è casuale e, contrariamente a quanto si crede, non risponde solo alle esigenze del mercato dell’informazione e del consenso elettorale, né è “semplice” espressione di una deriva culturale. Se il fattore sicurezza è diventato l’ossessione privata e collettiva dell’Italia degli ultimi anni, molto lo si deve a un “panpenalismo” diretto a colpire la marginalità, la povertà, il disagio sociale: ovvero, diretto a sanzionare le espressioni devianti delle crescenti diseguaglianze sociali. È per questo che le macabre cifre ricordate poco sopra, come pure il dato (anch’esso record) dell’affollamento penitenziario, poco intaccano la virulenza del discorso pubblico sulla pena. Il discorso che vede nella punizione esemplare, nel “chiudere dietro le sbarre e buttare la chiave” la soluzione di ogni piccolo o grande male. La retorica giustizialista e securitaria serve anche a mettere in secondo piano le storture della pena, l’inumanità della vita in molte carceri: se la “colpa” è sempre “assoluta” (come quando si equipara, nel ddl sul “processo breve”, l’immigrazione irregolare ai reati di mafia o terrorismo), allora nessun trattamento crudele sembrerà eccessivo rispetto allo sdegno per il reato commesso; allora chi sta in carcere, per quanto possa mai passarsela male, per quante violenze fisiche e psichiche possa mai subire, se l’è comunque cercata. In questo senso, l’ansia di sicurezza – e il suo corollario: l’ansia di punizione – servono a nascondere l’incapacità della nostra società di recuperare chi sbaglia. E basta fare visita a un carcere qualsiasi per scoprire che chi sbaglia è quasi sempre un soggetto non garantito, povero, marginale. A conferma del fatto che quel carcere dove si continua a morire è, sempre più, un sistema classista.
Ieri è avvenuto il 68° suicidio in carcere dall’inizio dell’anno: siamo sempre più vicini al massimo storico, che risale al 2001 (69 casi). Il totale dei detenuti morti nel 2009 sale a 169.
Nel carcere “San Michele” di Alessandria è stato ritrovato morto Ciro Ruffo, 35 anni, detenuto per reati di criminalità organizzata che aveva da poco iniziato a collaborare con i magistrati.

Ciro Ruffo, proveniente dal carcere di Ariano Irpinio, era arrivato al “San Michele” lunedì sera, quindi poche ore prima di morire.

Sabato scorso aveva chiamato la moglie dicendole: “Devo darti una bella notizia: sono arrivate le carte del trasferimento, le aspettavo da quindici giorni. Da lunedì sono più vicino a te, ci vedremo più spesso”.

La moglie dichiara: “La direttrice mi ha comunicato che lo hanno trovato impiccato, ma non è vero. Ho visto il corpo all’obitorio del cimitero di Alessandria: ha il naso rotto, un livido sotto l’occhio destro, tanti altri lividi sulla schiena, sulla pancia, in faccia. Ha perso sangue dagli occhi e dalle orecchie. È stato pestato”.



Dall’inizio dell’anno questo è il terzo suicidio che avviene nella Casa di Reclusione di Alessandria (dove sono ristretti 384 detenuti, per una capienza regolamentare di 263 posti): il 26 aprile scorso si è tolto la vita Franco Fuschi, 63 anni, ex agente segreto, in carcere per traffico di armi, mentre il 17 gennaio è morto Edward Ugwoj Osuagwu, 35 anni, nigeriano coinvolto in vicende di droga.



Ma la morte di Ciro Ruffo presenta alcune strane analogie anche con quella avvenuta lo scorso 17 novembre nel carcere di Palmi (Rc), dove Giovanni Lorusso, 41 anni, è stato ritrovato cadavere con un sacchetto di plastica infilato in testa e riempito di gas: entrambi i detenuti provenivano dal carcere di Ariano Irpino (Av) ed erano appena arrivati in un nuovo istituto. Inoltre, a detta dei parenti, non avevano alcun motivo apparente né avevano mai manifestato l’intenzione di suicidarsi. Infine, entrambi i corpi, restituiti alle famiglie, risultano “segnati” da ferite.
Dossier a cura di Valentina Calderone e Luigi Manconi
EDITORIALE
Secondo Ristretti orizzonti, la più autorevole fonte di informazione sul sistema penitenziario italiano, oltre il 50 % delle morti che avvengono in carcere si devono a “cause da accertare”. Sia chiaro: non si vuol dire, con ciò, che quelle morti siano tutte sospette. Si intende segnalare, piuttosto, come nel carcere si realizzi una sorta di ricorrente “abbandono terapeutico”. La deficitaria assistenza sanitaria, resa ancora più fragile dal crescente sovraffollamento, non permette – nonostante l’impegno di molta parte degli operatori sanitari – cure e terapie adeguate. Non solo: appena qualche giorno fa un agente di polizia penitenziaria è stato rinviato a giudizio per omissione di soccorso, a proposito della morte di Aldo Bianzino. ...

FRANCO SERANTINI

Colloquio di Oreste Pivetta con Corrado Stajano
Sarebbe oggi vicino ai sessant'anni.  Era nato a Cagliari il 16 luglio 1951, morì a Pisa il 7 maggio del 1972, dopo lunga agonia, ammazzato dai colpi di manganello, dai pugni, dai calci di alcuni agenti della Celere di Roma, dall'indifferenza di medici, carcerieri, magistrati... "Il posto dove fu colpito a morte è sul Lungarno Gambacorti di Pisa, tra via Toselli e la via Mazzini...". Così comincia il libro di Corrado Stajano, "Il sovversivo", dove si racconta "vita e morte dell'anarchico Serantini". Riletto quasi trentacinque anni dopo la pubblicazione e trentasette dopo quei fatti di Pisa dà la sensazione tremenda di una cronaca d'oggi o solo di pochi mesi fa: sembra d'essere a Genova nei giorni del G8, Franco Serantini pare Federico Aldrovandi o assomiglia, ancora più vicino a noi, a Stefano Cucchi. "Una morte questa di Stefano - dice ora Corrado Stajano - che sarebbe passata nel silenzio, se non ci fosse stata una sorella combattiva, se non ci fosse stata quella famiglia che ha avuto il coraggio di opporsi.

MARCELLO LONZI
Marcello Lonzi muore nel carcere delle Sughere, Livorno, l’11 luglio 2003. Basta guardare le foto su internet  per riconoscere sul suo corpo  inequivocabili segni di percosse.


GIOVANNI LORUSSO

Giovanni Lorusso muore a Palmi il 17 novembre 2009. Stava scontando una condanna a 4 anni e 5 mesi di reclusione per il furto di uno zaino a Rimini, la recidività e altre aggravanti hanno determinato questa pena sproporzionata.


ALDO BIANZINO

Aldo Bianzino muore nel carcere di Perugia il 14 ottobre 2007. Era stato arrestato tre giorni prima, insieme alla moglie Roberta gravemente malata, dopo il ritrovamento nel loro giardino di alcune piante di marijuana.


NIKI APRILE GATTI

Niki Aprile Gatti muore nel carcere di Sollicciano, Firenze, il 24 giugno 2008. Il giorno dopo la convalida dell’arresto viene trovato impiccato nel bagno della sua cella.

MANUEL ELIANTONIO
Manuel Eliantonio muore nel carcere di Marassi, Genova, il 25 luglio 2008. Aveva appena compiuto 22 anni. Dinamica non definita e patologia non identificata è la causa del decesso.



Morire, vivere

Alessandro Leogrande
Come in molti, in queste settimane, mi sono trovato a confrontare la morte di Stefano Cucchi con quella di Federico Aldrovandi.
SONDRIO; DETENUTO SI UCCIDE IMPICCANDOSI (ANSA) - SONDRIO, 27 NOV - Un detenuto, di cui al momento non e' stato reso noto il nome, si e' tolto la vita, da quanto si e' appreso, impiccandosi: e' accaduto, ieri sera, nel carcere di Sondrio. A dare l'allarme al 118 sono stati gli agenti di polizia penitenziaria, ma quando il personale sanitario e' intervenuto sul posto non c'era piu' nulla da fare.
Il suicidio - pare che l'uomo abbia usato o una piccola sciarpa o la cintura dell'accappatoio - e' avvenuto poco prima delle 20.
Roma, detenuto morto a Regina Coeli 26 novembre 2009
Il 32enne soffriva di anoressia
Un detenuto è morto apparentemente per cause naturali nel centro clinico del carcere romano di Regina Coeli.  La vittima, il 32enne Simone La Penna, era in carcere per reati legati alla droga. Lo rende noto il garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni. L'uomo è stato trovato morto nel suo letto. Soffriva di anoressia nervosa e, stando alle analisi del sangue, aveva una carenza di potassio.
Torinese muore in carcere a Cuneo. La famiglia: «Non è un malore»
www.cronacaqui.it, 26 novembre 2009

«Voglio sapere come è morto mio nipote. Se è stato picchiato, se è stato ucciso da qualcuno». A parlare è Graziella Marchese, 71 anni, nonna di Alessio Scarano, 24 anni, torinese, deceduto nella serata di martedì nel carcere di Cuneo dove, sabato scorso, proveniente dalle Vallette, era stato trasferito.
«Da quello che ci hanno comunicato dalla prigione - spiegano la nonna e lo zio del ragazzo, Roberto Fusaro - Alessio si era coricato sulla branda della sua cella dopo aver partecipato ad una partita di calcio nel campetto del carcere. Poi, quando gli agenti si sono avvicinati, lo hanno trovato cadavere. Ci hanno detto che è morto per cause naturali ma lui stava bene, non aveva alcun problema fisico. Per noi questa morte è un mistero e vogliamo vederci chiaro».
La famiglia si è rivolta all’avvocato Roberto Brizio che ha nominato un perito di parte che questa mattina parteciperà all’autopsia, disposta dal magistrato, sul corpo del povero giovane. Dal carcere di Cuneo confermano la morte sospetta: «Secondo un primo referto, il decesso sarebbe sopraggiunto per cause naturali. In ogni caso è stata avviata un’inchiesta interna al penitenziario e si attendono i risultati dell’autopsia».
Ma, sempre secondo la versione ufficiale, il giovane non sarebbe stato trovato cadavere: «Quando il personale di servizio si è avvicinato per somministrargli una terapia, il ragazzo era ancora vivo, ansimava e si è tentato di rianimarlo, anche se inutilmente».
Alessio Scarano era finito dietro le sbarre nel giugno scorso e avrebbe dovuto scontare una pena di 11 mesi per alcune sentenze passate in giudicato, le ultime si riferivano al furto di autoradio perpetrato nel 2004 in alcuni parcheggi del centro città.
Il ragazzo aveva trascorsi da tossicodipendente ma, come sostengono la madre, Maria Teresa Fusaro e la nonna, «Da almeno un anno era uscito dal tunnel della droga, specie dopo il ricovero presso la comunità Arcobaleno all’interno del carcere torinese». Dunque, il giovane non sarebbe dovuto rimanere in prigione ancora per molto: «A maggio sarebbe uscito - dice lo zio - e, a questo punto, io mi chiedo perché sia stato trasferito a Cuneo».
Portato in quel penitenziario senza avvisare i parenti: «I perché su questa morte sono tanti - aggiunge Claudia, un’amica di famiglia - a cominciare proprio dal trasferimento in un carcere di massima sicurezza che era stato costruito per rinchiudere i brigatisti e che, invece, viene utilizzato anche per i poveracci. Senza contare, poi, che Alessio era ormai a fine pena».
Nessuno sapeva, tant’è che lunedì scorso la madre del giovane si è presentata alle Vallette per incontrare il figlio e solo quando è arrivata lì ha saputo che Alessio era a Cuneo. «Noi, per ora, non accusiamo nessuno - dice la nonna - ma abbiamo dei sospetti e non riusciamo ad accettare una morte così, senza un perché».
L’ultima notizia di Alessio vivo, la famiglia l’ha ricevuta poche ore prima della comunicazione della sua morte, nel pomeriggio di martedì, quando alla nonna è stato recapitato un telegramma proveniente dalla casa circondariale cuneese e spedito lunedì: «Ciao nonna, per favore telefona a mamma e dille che mi hanno portato a Cuneo. Baci nonna, ti voglio bene. Alessio».
Scarti sociali - Rassegna stampa
Luigi Manconi
In carcere ci si toglie la vita 15-17 volte più di quanto si faccia fuori dal carcere. Nel corso del 2009 i suicidi sono stati già 61: se tale ritmo dovesse continuare, avremmo alla fine dell’anno il più alto numero di suicidi degli ultimi due decenni.

Ci si ammazza, in carcere, con tutte le modalità che fantasia e disperazione suggeriscono: fornelletto a gas, chiodi e pezzi di vetro, autosoffocamento, impiccagione. A quest’ultimo metodo ha fatto ricorso Diana Blefari.

La domanda semplice, quasi elementare, è: perché mai si trovava nel carcere di Rebibbia e non in una struttura psichiatrica protetta? Si intende: una struttura da cui non potere evadere e in cui scontare il suo ergastolo, ma curata per i gravi problemi psichici che, da molto tempo, aveva manifestato. E che decine di perizie medico-legali avevano documentato. Al punto che, quando mi trovai – tra il 2006 e il 2008 – ad avere la responsabilità politica del sistema penitenziario, sollecitai la sua assegnazione a un regime detentivo che ne garantisse la “sorveglianza a vista 24 ore su 24”.

Dunque, altro che suicidio annunciato. E’ stato un atto dichiarato, proclamato, per così dire atteso.

Come in tanti altri casi, dove i reiterati tentativi di suicidio non ottengono una vigilanza sufficiente a sventare l’ultimo, quello definitivo.

E così, nel corso di appena una settimana, dal sistema penitenziario italiano sono arrivate tre terribili notizie: oltre a quella su Diana Blefari, la via crucis di Stefano Cucchi e quell’incredibile dialogo nel carcere di Teramo, dove il comandante da istruzioni a un sottoposto su come “picchiare” i detenuti in assenza di testimoni.

In tutti questi casi, c’è un tabù che fatica a emergere: ed è l’idea che ciò possa accadere perché le vittime, alla resa dei conti,  sono degli scarti sociali.

E’ ovvio: la coscienza democratica, di destra e di sinistra, mai si pronuncerà in questi termini, ma – a ben vedere – a questo tende l’orientamento di senso comune che, dopo il primo momento di emozione, sembra dominare.

Stefano Cucchi: tossicomane, epilettico, piccolo spacciatore, forse sieropositivo; Diana Blefari: quella che pedina Marco Biagi e contribuisce attivamente al suo omicidio.

Il primo socialmente inerme ed esposto alla marginalità, la seconda inequivocabilmente colpevole di un crimine efferato. Siamo sicuri, ma proprio sicuri – è questo il dubbio che si insinua nella mentalità collettiva – che meritino tutte le garanzie e tutti i diritti che spettano a quegli irreprensibili che noi siamo? La risposta è scontata, ma non per questo meno faticosa da elaborare e, soprattutto, da sostenere fino in fondo. Ogni vita in sé merita il massimo di tutela e quella tutela ha da essere ancora più salda quando la possibile vittima, a prescindere dal suo passato e da suo curriculum penale, è affidata alla custodia dello Stato. Da quel momento, quella vita dev’essere sacra per chi (lo Stato e i suoi apparati) la riceve nelle proprie mani.

Non solo. Il sistema delle garanzie è indivisibile: ridurre un diritto di Diana Blefari significa accettare un processo che porta, fatalmente, alla riduzione di un diritto equivalente per il più incensurato e integrato dei cittadini.

Dunque, come hanno affermato uomini saggi, la qualità di una democrazia la si verifica all’interno delle sue galere.

Diciassette anni, si impicca nel carcere minorile di Firenze
Aveva diciassette anni, veniva dal Marocco, si è impiccato ieri pomeriggio con un lenzuolo nella doccia del carcere minorile di Firenze, dove era detenuto in attesa di giudizio per tentato furto: il suo nome non lo conosciamo, sappiamo che prima dell’arresto viveva in un paese in Provincia di Lucca, Aulla, dove lavorava come operaio. È stato arrestato il 3 agosto scorso, mentre cercava di rubare degli orologi esposti in una vetrina della stazione ferroviaria.
Yassin morto per ingiustizia
Franco Corleone

Bernardini, sciopero della fame dopo suicidio altro detenuto
(AGI) - Roma, 18 nov. - “Iniziero’ dalla mezzanotte di oggi uno sciopero della fame, chiedendo a tutta la comunita’ penitenziaria di lottare insieme: non c’e’ bisogno di protesta, ma di proposta per dare uno sbocco nonviolento, intelligente e ragionevole alla rivolta che sentiamo dentro di noi quando le leggi fondamentali dei diritti umani sono ignorate e calpestate”. Lo dichiara la radicale Rita Bernardini, membro della Commissione Giustizia della Camera, dopo la notizia, diffusa da Ristretti Orizzonti, dell’ennesimo suicidio in carcere. “Questa volta - ricorda Bernardini - si tratta di un minorenne, diciassette anni, marocchino che si e’ impiccato ieri pomeriggio con un lenzuolo nella doccia del carcere minorile di Firenze. Era dentro per dal 3 agosto tentato furto, in attesa di giudizio”. Bernardini aggiunge inoltre: “non vorrei che questa tragica notizia passasse sotto silenzio come e’ accaduto per altri stranieri che si sono tolti la vita nelle patrie galere. Nella stragrande maggioranza dei casi sono proprio gli extracomunitari e i romeni ad essere letteralmente abbandonati: per loro non c’e’ un adeguato diritto di difesa perche’ sono poveri, non ci sono quasi mai misure alternative al carcere perche’ spesso non hanno nemmeno un’abitazione dove scontare gli arresti domiciliari, sono allontanati dai luoghi dei loro affetti familiari perche’ per loro e’ piu’ facile essere oggetto di ’sfollamenti’ dalle carceri del centro-nord a quelle del sud”. I deputati radicali quindi depositeranno nelle prossime ore una mozione di indirizzo al Governo “sulla drammatica situazione delle carceri che sara’ sottoposta alla firma di tutti gli schieramenti politici. Crediamo - conclude Bernardini - che sia uno strumento di ‘governo’ per invertire la rotta illegale e senza speranza che ogni giorno di piu’ prende la gestione degli istituti penitenziari, con il carico di sofferenza e di abbandono in cui vive tutta la comunita’ penitenziaria, detenuti, direttori, agenti, educatori, medici e infermieri, psicologi e assistenti sociali”. (AGI)
Sta per tornare libero, non lo avvisano, si uccide
BARESE CONDANNATO A RIMINI STAVA PER LASCIARE LA CELLA A PALMI (ANSA) - RIMINI, 19 NOV - Era gia' stato formalmente scarcerato, ma nessuno glielo aveva comunicato, e in quelle che sarebbero state le sue ultime ore di prigionia si e' tolto la vita in carcere. E' accaduto martedi' scorso nel carcere di Palmi (Reggio Calabria), secondo quanto riporta oggi il Corriere di Rimini: l'uomo infatti, 41, anni, di Bari, era stato condannato nel capoluogo romagnolo nell'agosto 2008 per il furto di uno zaino in spiaggia.
Gli erano stati comminati 4 anni e 5 mesi di pena per una serie di aggravanti fra cui la recidiva specifica, la dichiarazione di delinquente abituale e il fatto che si trovasse in Romagna in violazione delle misure di sorveglianza alle quali era sottoposto. Andati a vuoto i tentativi di ottenere gli arresti domiciliari in una comunita' di recupero, il barese era disperato e si e' tolto la vita in cella con il fornellino del gas. Ma il provvedimento di scarcerazione era gia' arrivato da piu' di 24 ore negli uffici del penitenziario, grazie alla richiesta dell'avvocato Martina Montanari che era stata accolta dalla Corte d'Appello di Bologna.
Ora i familiari del detenuto suicida chiedono chiarezza e giustizia. Perche' quel provvedimento di scarcerazione non e' stato notificato al loro congiunto? (ANSA).
Siena: detenuto di 59 anni stroncato da un infarto (ANSA) - FIRENZE, 17 NOV - Un detenuto di 59 anni, recluso nella sezione di alta sicurezza del carcere "Ranza" di Siena  è morto ieri pomeriggio, stroncato da un infarto. Pietro Costa, di Siterno (Reggio Calabria) stava scontando una pena (sarebbe dovuto uscire nel 2015) per gravi reati. Erano da poco passate le 13 quando dal primo piano dove si trova la sezione di alta sicurezza è scattata la richiesta di soccorso. In questa parte di Ranza sono rinchiusi circa 100 detenuti a fronte di una popolazione carceraria che supera le trecento unità. Pietro Costa è stato colpito da un improvviso malore mentre era nella sua cella che divide con con un altro detenuto. E’ stato proprio quest’ultimo, quando l’ha visto accasciarsi a terra privo di sensi, a dare l’allarme. Sono immediatamente accorsi gli agenti penitenziari in servizio con i sanitari del carcere, ma quando sono arrivati per il Costa ormai non c’era più nulla da fare. Una crisi che non gli ha lasciato scampo come è stato successivamente accertato dal medico. (ANSA)

La cella ne ha già uccisi 146

Valentina Ascione
All’indomani del suicidio della brigatista Diana Blefari Melazzi, mentre il caso di Stefano Cucchi continua a deflagrare in tutta la sua assurdità, si accende inevitabilmente l’attenzione sul mondo delle carceri e sull’umanità dolente che popola i circa duecento istituti sparsi sul territorio italiano. Un universo silente, troppo spesso dimenticato perché percepito come lontano, se non addirittura avulso, dal mondo che gira veloce dall’altra parte delle sbarre. Eppure la popolazione carceraria ha superato da poco le 65 mila unità, sfondando quel tetto indicato come “limite di tollerabilità”, ammesso che sia possibile fissare scientificamente un punto oltre il quale le mura di una galera non riescono più a sostenere la pressione dei corpi e un corpo a sopportare la riduzione dello spazio vitale. Alcune storie hanno la capacità di squarciare, magari per poco, il velo di silenzio che oscura lo svolgersi quotidiano della vita dei detenuti, perché il protagonista è noto alle cronache, come nel caso di Diana Blefari, o perché c’è una famiglia che coraggiosamente ingaggia una battaglia per la verità, come sta accadendo per Stefano Cucchi, mostrando al Paese le immagini della barbarie. Per i pochi casi che finiscono sotto i riflettori, però, ce ne sono moltissimi altri che restano nell’anonimato o finiscono presto nel dimenticatoio.  Nel dossier di Ristretti Orizzonti, “Morire in carcere”, si legge che negli ultimi dieci anni negli istituti di pena italiani sono morti 1500 detenuti e che i suicidi sarebbero più di un terzo. Dall’inizio del 2009 si sono già contati 146 morti, di cui 60 suicidi e i restanti dovuti a morte naturale o a cause non chiare. Chissà come è stata catalogata la morte di Sami Mbarka Ben Gargi, il tunisino 42enne detenuto nel carcere di Pavia, che a settembre scorso si è lasciato morire di stenti, dopo quasi due mesi di sciopero della fame, per protestare contro  la condanna per violenza sessuale. Quella di Nicky Gatti Aprile è stata archiviata come suicidio, anche se la madre non ha mai creduto a questa ipotesi . Il giovane è morto nel giugno del 2008, a soli 26 anni, nel carcere di Sollicciano, dove si trovava con l’accusa di truffa informatica. Tutti gli interrogativi su questa morte sospetta, che la madre di Nicky, Ornella, crede essere omicidio, sono raccolti in un blog, così come quelli relativi alla vicenda di Stefano Frapporti. Lo scorso 21 luglio il muratore 48enne di Rovereto viene fermato per un'infrazione stradale da due carabinieri in borghese mentre va in giro in bicicletta e viene arrestato perché  sospettato di spaccio. Pure lui, come Stefano Cucchi, non uscirà mai vivo dal carcere: a poche ore dal fermo i secondini lo trovano impiccato nella sua cella. Anche questa storia è piena di punti oscuri, i familiari di Stefano non riescono a darsi pace e reclamano giustizia. E ieri è tornata a farsi sentire la madre di Marcello Lonzi, per chiedere al ministro Alfano di guardare su internet le foto del cadavere di suo figlio e darle finalmente le risposte che insegue da oltre sei anni. Marcello era recluso nel penitenziario di Livorno per tentativo di furto è lì è stato trovato morto il 12 luglio del 2003. La prima indagine stabilì che si trattava di morte per cause naturali, ma i segni sul corpo e sul viso del ragazzo, rilevati anche dall’autopsia, sollevavano forti dubbi su questa conclusione. La mamma, Maria Ciuffi, è convinta che il giovane morì in seguito a un pestaggio avvenuto in cella, la procura ha aperto una nuova indagine nella quale risultano indagati un detenuto e tre agenti della polizia penitenziaria con l'accusa di omicidio colposo. “Non parlo solo per me – ha spiegato la donna - ma per tutte quelle madri che non hanno avuto lo stesso trattamento riservato al caso Cucchi”. La recente morte del 31 romano sembra infatti aver scoperchiato un vaso di pandora. “Perché non si parla anche delle «strane» morti di cittadini romeni in Italia?” - chiede il Partito Identità Romena che lancia un appello affinché non venga dimenticato la “strana morte avvenuta nella Caserma dei carabinieri di Montecatini del cittadino romeno Sorin Calin”, avvenuta a pochi mesi di distanza da quella di Cristian Lupu, a Frosinone, “uscito cadavere da altra stazione dei Carabinieri”. “Non si può mettere alla gogna mediatica una intera comunità per fatti di cronaca e poi tacere quando sono i cittadini romeni ad essere vittime di situazioni incresciose ed incredibili”, chiosano. Quella dei pestaggi sembra essere una piaga sempre più profonda. E’ di soli pochi giorni fa la denuncia del quotidiano La Città di Teramo di violenze nel carcere Castrogno: la registrazione di una conversazione tra agenti, recapitata da mano ignota al direttore del quotidiano, getta sull’istituto abruzzese il sospetto di una prassi del pestaggio ormai consolidata. Ecco alcuni frasi impresse sul nastro: "Non lo sai che ha menato al detenuto in sezione?". "Io non c'ero, non so nulla". "Ma se lo sanno tutti?". "In sezione un detenuto non si massacra, si massacra sotto". "Abbiamo rischiato una rivolta perché il negro ha visto tutto".  Il dialogo a due voci, secondo quanto scritto da La Città, condurrebbe ad un comandante di reparto degli agenti di Polizia Penitenziaria di Castrogno ed sovrintendente che il giorno del presunto pestaggio del detenuto, sarebbe stato di turno come capo-posto, ossia come coordinatore delle quattro sezioni in cui sono ospitati i circa 400 detenuti. Il Comandante Luzi ha confermato alla parlamentare radicale Rita Bernardini - autrice di un’interrogazione sul caso, che ieri s’è recata in visita ispettiva a Teramo - che la voce del nastro è la sua. “Però - riferisce la deputata – ha spiegato che le sue parole sono state estrapolate rispetto ad un contesto diverso da quello che si immagina”. Anche se l'istituto versa in pessime condizioni e il personale è nettamente sottodimensionato, durante la visita i detenuti di Castrogno non hanno fatto riferimento a pestaggi o violenze. Intanto la magistratura indaga.

Gli Altri

Detenuto di Usellus in permesso muore per overdose sulla nave
la nuova sardegna

Un uomo di 46 anni, Giacomo Deiola, di Usellus, in provincia di Oristano, è morto per un’overdose (probabilmente di eroina) a bordo di un traghetto della Tirrenia. L’uomo, che era detenuto nel carcere di Isili, aveva ottenuto un permesso per buona condotta, ma neanche i familiari sanno perché si sia imbarcato sulla nave per Civitavecchia.  A trovare il corpo riverso in uno dei bagni del traghetto appena giunto in porto sono stati gli addetti alla pulizie, che hanno informato il comandante, il quale ha chiesto l’intervento della polizia marittima. Nel bagno è stata trovata una siringa sporca di sangue e tutto l’occorrente per iniettarsi la droga, quasi sicuramente eroina, anche se per averne la conferma sarà necessario attendere gli esami tossicologici già disposti dal magistrato.
Accusato di resistenza a pubblico ufficiale e lesioni, aveva patteggiato sei mesi. Era stato arrestato quando i militari della stazione di Gonnosnò avevano organizzato un posto di blocco lungo la strada provinciale all’uscita di Baradili. A poca distanza una Cinquecento aveva fatto inversione di marcia e i carabinieri si erano insospettiti. Era stato lanciato l’allarme via radio e la sala operativa della compagnia di Mogoro aveva fatto arrivare nella zona le altre pattuglie. Nel giro di qualche minuto l’auto in fuga era stata raggiunta: poco prima dell’ingresso di Usellus. I carabinieri avevano intimato l’alt, ma il conducente non si era fermato e la sua auto si era scontrata con quella dei militari. Alla guida della Cinquecento c’era Giacomo Deiola, arrestato con l’accusa di resistenza a pubblico ufficiale e lesioni, perché nello scontro i militari hanno riportato qualche contusione.
Quelle morti sospette in carcere "Trenta vittime in sette anni" Roberto Bianchin
Mauro aveva solo 33 anni quando morì in carcere. «Arresto cardiocircolatorio», fu la motivazione ufficiale. Ma quando suo padre, Giuseppe, vide la salma, impallidì. Il corpo di Mauro Fedele era pieno di lividi. Aveva la testa fasciata, e segni blu di percosse, come se fosse stato colpito con un ferro di cavallo, sul collo, sul petto, sui fianchi e all´interno delle cosce. «Lo hanno riempito di botte», protestò il padre, presentando una denuncia per omicidio.
Comincia a farsi strada il sospetto che il caso Cucchi non sia l´unico nelle carceri italiane, dove sono morti 1.531 detenuti dal 2000 ad oggi, 150 solo quest´anno, di cui 63 suicidi. Tra questi, secondo l´associazione "Ristretti Orizzonti", che sul problema ha realizzato un dossier, "Morire di carcere", ci sono 30 casi "sospetti" negli ultimi sette anni, che richiederebbero «un approfondimento nelle sedi opportune».
In 11 casi di questa Spoon River carceraria, i detenuti «per cause naturali» presentavano segni di percosse e di lesioni. Morti per infarto con la testa spaccata, morti per suicidio con ematomi e contusioni in varie parti del corpo, costole spezzate, milze e fegati spappolati, lesioni ed emorragie interne. «Le cause di troppi decessi non sono mai state accertate con precisione», dice Luigi Manconi, presidente dell´associazione "A buon diritto", che punta il dito contro «l´opacità del carcere che impedisce di guardarci dentro» e «troppi comportamenti non rispondenti a correttezza e al rispetto delle regole». «In carcere ci si ammazza 15 volte di più di quanto non accada fuori», accusa.
Come Mauro Fedele, morto il 30 giugno 2002 nel carcere di Cuneo, un altro giovane, Manuel Eliantonio, 22 anni, perse la vita il 25 luglio 2008 in quello di Genova. Suicidio, dissero, col gas butano respirato da una bomboletta da campeggio. Sua madre, Maria, mostra le lettere che il figlio le aveva scritto dalla prigione: «Qui mi ammazzano di botte almeno una volta alla settimana». «Lo hanno pestato a sangue, ucciso, e stanno cercando di coprire tutto», accusa la donna.
L´anno prima, il 15 ottobre 2007, Aldo Bianzino, 44 anni, venne trovato morto nella sua cella nel carcere di Perugia. Era stato arrestato un giorno e mezzo prima, dopo che gli avevano trovato cento piante di marijuana in giardino. Aneurisma, la causa del decesso. Ma i medici legali riscontrarono «evidenti lesioni viscerali di indubbia origine traumatica». Due costole rotte, lesioni alla milza, distacco del fegato, emorragia cerebrale. Per la famiglia, la prova di un «pestaggio mortale». Sul caso c´è un´inchiesta in corso.
Habteab Eyasu, 36 anni, eritreo, riuscì invece a impiccarsi ferendosi da solo, nella sua cella del carcere di Civitavecchia, il 14 maggio 2006. Nelle foto scattate all´ospedale si vede che Habteab ha una ferita in fronte e una grande macchia rossa di sangue dietro la nuca. «Chi si suicida non ha queste ferite in faccia», accusa la zia, Sara Tseghe Paulous. Ma l´inchiesta della Procura ha chiuso il discorso, stabilendo che Habteab si è impiccato. Come avvenne per Stefano Guidotti, 32 anni, impiccatosi alle sbarre del bagno nel carcere romano di Rebibbia il 1° marzo 2002, che presentava delle ferite al volto «inconciliabili con l´ipotesi del suicidio».
Andrea Fabris, 34 anni, è stato invece trovato esanime sul pavimento della cella che condivideva con altri due detenuti nel carcere di Venezia, il 31 maggio 2005. Sembrava una morte naturale, Andrea era tossicodipendente, senonché sul suo corpo sono state riscontrate numerose ecchimosi. La Procura ha aperto un´inchiesta. Un altro tossicodipendente, Antonio Schiano, 36 anni, morì per cause non precisate nel carcere romano di Regina Coeli, il 24 ottobre 2005. Secondo il garante per i diritti dei detenuti, l´uomo era arrivato in carcere con un referto dell´ospedale Sant´Eugenio che certificava «politraumi a suo carico».
All´ospedale di Barletta, il 1 luglio 2004, morì Vincenzo Milano, 30 anni, per le ferite riportate durante la sua cattura, come Maurizio Scandura, 28 anni, deceduto il 27 novembre 2002 in una camera di sicurezza della questura di Roma. Mentre un romeno di 40 anni fu trovato riverso a terra nella sua cella del carcere di Civitavecchia, il 25 novembre 2003, con profonde ferite al capo. Dissero che si era scagliato più volte contro la parete. Anche Marcello Lonzi, 29 anni, sarebbe morto per «collasso cardiaco», il 1° ottobre 2003 nel carcere di Livorno, dopo essere caduto battendo la testa. Ma la madre parlò di omicidio: «Il corpo di mio figlio era coperto di lividi».
La Repubblica 16 novembre 2009

Detenuto suicida nel carcere di Tolmezzo: è il 63° che si toglie la vita nel 2009
I Radicali annunciano uno sciopero della fame per la drammatica situazione delle carceri

Segnalazione del decesso di un detenuto anche dal carcere di Isili (Ca)

Un detenuto di 47 anni si è suicidato ieri pomeriggio nel carcere di Tolmezzo (UD). Era da poco arrivato nell’Istituto tolmezzino, proveniente dal carcere di “Santa Maria Maggiore” a Venezia.

Condivideva la cella con altri due detenuti, ma avrebbe approfittato dell’ora “di socialità” per togliersi la vita. Un paio di giorni fa aveva fatto il colloquio con la figlia.

Sentito telefonicamente, il Comandante del carcere ha confermato il suicidio all’On. Rita Bernardini (Radicali-PD), che dichiara “Dal Congresso Radicale, parte l’appello a tutta la comunità penitenziaria, affinché ci faccia e si faccia fiducia, di avere ed essere speranza. Come ha detto Marco Pannella nel suo intervento, inizieremo nei prossimi giorni uno sciopero della fame sulla drammatica situazione carceraria. Per quanto mi riguarda  chiedo che venga immediatamente insediata una commissione di indagine sulle morti in carcere, che ha già registrato l’accordo della Presidente della Commissione Giustizia Giulia Bongiorno, della capogruppo del PD in Commissione Donatella Ferranti e del deputato del PDL, membro della Commissione Giustizia, Gaetano Pecorella”.

Dalla Sardegna, intanto, è arrivata la segnalazione della morte di un detenuto nella Casa di Reclusione di Isili, in circostanze che ancora devono essere chiarite.

Da parte nostra, ribadiamo la necessità e l’urgenza di un “Osservatorio permanente sulle morti in carcere”. Bisogna che tutti, chi ci lavora dentro e chi le guarda da fuori, siano convinti che le carceri devono essere trasparenti, e che una società che, quando punisce, sa anche essere mite, attenta e rispettosa dei diritti  dei condannati è senz’altro una società più sicura.

A far parte di questo Osservatorio devono essere chiamate persone che hanno prestigio, competenza e voglia di regalare un po’ del loro tempo all’obiettivo di ridare dignità alle galere.


Ristretti.it
15 novembre 2009

"Un detenuto non si picchia in sezione"

"Queste cose si fanno sotto... Abbiamo rischiato la rivolta, perché il negro ha visto..."
di GIUSEPPE CAPORALE

"Un detenuto non si picchia in sezione" Audio shock dal carcere di Teramo
TERAMO - "Abbiamo rischiato una rivolta perché il negro ha visto tutto. Un detenuto non si massacra in sezione, si massacra sotto...". Parole dal carcere di Castrogno a Teramo, parole registrate all'interno di uno degli uffici degli agenti di polizia penitenziaria. Frasi spaventose impresse in un nastro. Ora questo audio è nelle mani della Procura della Repubblica di Teramo che ha aperto un'inchiesta sulla vicenda. Sono parole che raccontano di un "pestaggio" ai danni di un detenuto, quasi come fosse la "prassi", un episodio che rientra nella "normalità" della gestione del penitenziario. Un concitato dialogo tra un superiore e un agente che svelerebbe un gravissimo retroscena all'interno di un carcere già alle prese con carenze di organico e difficoltà strutturali.

Il nastro è stato recapitato al giornale locale La Città di Teramo, ed è scoppiata la bufera. Il plico era accompagnato da una lettera anonima.

In merito alla vicenda la deputata Radicale-Pd Rita Bernardini, membro della commissione Giustizia, ha presentato un'interrogazione al ministro Alfano.
La deputata chiede al ministro Alfano se ritenga di dover accertare "se questi corrispondano al vero e di promuovere un'indagine nel carcere di Castrogno di Teramo per verificare le responsabilità non solo del pestaggio di cui si parla nella registrazione, ma anche se la brutalità dei maltrattamenti e delle percosse sia prassi usata dalla Polizia Penitenziaria nell'istituto".
Proprio questa mattina la Bernardini ed il segretario Generale della Uil Pa Penitenziari, Eugenio Sarno, faranno visita al carcere.

Intanto la Uil chiede chiarezza e verità anche a tutela della professionalità e dell'impegno quotidiano della polizia penitenziaria di Teramo.

"Noi possiamo solo affermare - sottolinea la segreteria regionale - che la violenza gratuita non appartiene alla cultura dei poliziotti penitenziari in servizio a Teramo che, invece, pur tra mille difficoltà hanno più volte operato con senso del dovere, abnegazione e professionalità. Ciò non toglie che la verità vada ricercata con determinazione e in tempi brevi. Noi vogliamo contribuire a questa ricerca impedendo, nel contempo, che si celebrino processi sommari, intempestivi e impropri".

Anche il notevole sovraffollamento è causa di forti tensioni. L'istituto potrebbe contenere al massimo 250 detenuti, ne ospita circa 400. Un solo agente per sezione deve sorvegliare, nei turni notturni, anche più di 100 detenuti; un flusso di traduzioni che determina l'esaurimento di tutte le risorse disponibili.

La Repubblica (2 novembre 2009)

"Regina Coeli, quel detenuto rischia di morire"

L´ex sottosegretario alla Giustizia "Deve essere curato in un centro specializzato"


MARINO BISSO
CARLO PICOZZA

Un detenuto bisognoso di trasfusioni, rischia di morire perché, essendo testimone di Geova, rifiuta quel tipo di trattamento, in ragione della propria fede. La cura alternativa, pure praticabile a Roma - denuncia Luigi Manconi, presidente dell´associazione "A buon diritto", già sottosegretario alla Giustizia -, rischia di essere irraggiungibile perché in corsia sembra esserci il tutto esaurito, complice il contingentamento dei letti per l´influenza A.
«La motivazione», per Manconi, «appare poco credibile: sembra nascondere, piuttosto, un comportamento discriminatorio nei confronti di chi si trova privato della libertà». Il paziente-detenuto è affetto da un´ulcera al retto, che provoca «consistenti perdite di sangue». «Ed è costretto a restare nella medicheria di Regina Coeli», dice Manconi che lancia un allarme: «Potrebbe morire proprio per l´impossibilità di essere ricoverato in un ospedale cittadino, dove ricevere un trattamento, diverso dalla trasfusione, capace di assicurargli l´innalzamento dei valori ematici».
«Se il paziente ha perso molto sangue», spiega Giancarlo Isacchi, ordinario di Immunoematologia a Tor Vergata, «il carcere, certamente, non è il luogo più adatto per curarlo: esistono centri dove un paziente anemico che non abbia bisogno di un intervento chirurgico, può recuperare globuli rossi attraverso la somministrazione di farmaci capaci di favorire la sintesi di emoglobina, contrastando l´anemia. Un trattamento di questo tipo può essere eseguito in ogni centro adeguatamente attrezzato».
«Se invece il paziente testimone di Geova avesse bisogno di un intervento chirurgico», continua Isacchi, «questo può essere eseguito, attraverso il recupero del suo sangue durante l´operazione. In questo caso occorre avvalersi di centri idonei che a Roma, fortunatamente, sono presenti quasi in tutti gli ospedali». «Consiglierei ai dirigenti del carcere», indica Isacchi, «di chiedere una consulenza di un ematologo e di rivolgersi, se non lo hanno ancora fatto, a uno dei numerosi reparti specialistici presenti a Roma».
«Per fortuna, oggi», aggiunge, «a un paziente testimone di Geova è possibile garantire un buon risultato in un intervento chirurgico anche complesso, pure in presenza di livelli bassi di emoglobina e senza ricorrere alla trasfusione di sangue».
«Un problema ben più complesso», ancora Isacchi, «si presenterebbe per i pazienti con anemie congenite, come la talassemia: si tratta di patologie per le quali la trasfusione è l´unica terapia salvavita».

La Repubblica 13 novembre 2009
12 novembre 2009
Luigi Manconi presidente di A Buon Diritto già Sottosegretario alla Giustizia:
“Apprendo che un detenuto del centro clinico di Regina Coeli, affetto da ulcera rettocolitica, che determina consistenti perdite di sangue si trova attualmente nell’impossibilità di essere ricoverato in un ospedale cittadino dove ricevere un trattamento alternativo alla trasfusione, capace di assicurargli l’innalzamento dei valori ematici. Il detenuto rifiuta la trasfusione in quanto testimone di Geova che, in ragione della propria fede, non ammette quel tipo di trattamento terapeutico. A Roma, più di una struttura sanitaria ha la possibilità di effettuare trattamenti alternativi alle trasfusioni ma – si dice – che oggi in quelle strutture non c’è possibilità di accoglienza in quanto tutte messe a disposizione dei possibili malati della pandemia H1 N1. La cosa appare poco credibile e, dunque, sembra configurare piuttosto un atteggiamento discriminatorio nei confronti di chi si trovi privato della libertà.”

«Legato al letto in manicomio Così hanno ucciso mio figlio»
PARMA — Giuseppe Saladi­no, detto Geppo, 32 anni, elet­tricista, tossicomane in cura al Sert e ladruncolo, crollato di schianto in una cella del car­cere di Parma, dove era stato portato poche ore prima, ave­va il terrore della galera. Scri­veva lettere disperate alla ma­dre Rosa e alla fidanzata Anna­lisa, lui condannato a un anno e 2 mesi per aver scassinato al­cuni parchimetri del centro: «Aiutatemi, ho paura, qui c’è gente terribile, assassini, rapi­natori, mi sento guardato, non riesco a dormire...».

Era sempre sul chi vive: «Ho preso l’abitudine di anda­re per ultimo a fare la doccia, aspetto che gli altri siano usci­ti, speriamo...». E quando poi l’avevano trasferito dal carce­re di Parma all’ospedale psi­chiatrico di Reggio Emilia, dia­gnosticandogli «uno scom­penso psichico in disturbo psi­cotico », il terrore era diventa­to panico.

«Mi raccontava — afferma il legale della famiglia, Letizia Tonoletti — che lo tenevano 'contenuto', cioè legato, oltre a sottoporlo ad un trattamen­to di psicofarmaci. L’hanno cu­rato come se fosse un pazien­te psichiatrico, ma lui non lo era e per questo avevo chiesto di ricoverarlo in un ospedale civile, ma inutilmente...».

Ottenuti gli arresti domici­­liari, Geppo è evaso. Solo po­che ore (l’hanno ripreso subi­to), sufficienti però, così ipo­tizzano gli inquirenti, per tor­nare al vecchio vizio della dro­ga: una dose, magari anche piccola, ma che potrebbe esse­re stata fatale per un organi­smo già debilitato dagli psico­farmaci.

Non ci sono ancora indaga­ti nell’inchiesta per omicidio colposo aperta dal pm Rober­ta Licci. E nemmeno risposte sull’improvvisa scomparsa di Geppo. I verbali della questu­ra parlano di «overdose da stu­pefacenti ». La direzione del carcere di Parma di «arresto cardiaco». Il legale della famiglia è inve­ce convinto che «i medicinali prescritti all’ospedale psichia­trico, che Giuseppe ha conti­nuato regolarmente a prende­re anche dopo aver lasciato la struttura, abbiano avuto un peso nel decesso». L’unica pi­sta che sembra scartata è quel­la del pestaggio o dei maltrat­tamenti.

L’attenzione degli inquiren­ti è concentrata sull’iter carce­rario al quale è stato sottopo­sto il giovane per capire se era compatibile con il suo stato di tossicodipendenza: dall’effetti­va necessità del trasferimento all’ospedale psichiatrico, alla congruità della terapia di psi­cofarmaci, fino ad eventuali la­cune o sottovalutazioni da par­te della componente sanitaria. La madre del ragazzo, Rosa Martirano, non si dà pace, ne ha per tutti: «Mio figlio era sa­no, me l’hanno ridato morto. Non era un assassino, solo un ladro di polli... Mi devono spiegare perché l’hanno man­dato in quel manicomio (l’ospedale psichiatrico di Reg­gio, ndr.), è lì che me l’hanno rovinato: quando l’ho rivisto era sempre intontito, assente, terrorizzato...».

Le ultime ore di Geppo so­no un mix di incoscienza e in­genuità. Il 6 ottobre scorso, dopo aver scontato una parte della pena, ottiene gli arresti domiciliari. Arriva a casa e do­po un’ora ecco comparire la sua fidanzata Annalisa. I due abbandonano l’appartamen­to, non si sa quanto consape­voli di commettere il reato di evasione. Quando tornano, ci sono i poliziotti ad aspettarli. Geppo viene prima portato in questura e poi di nuovo in car­cere. Nella notte muore. Il mondo della politica, già scos­so dal caso Cucchi, torna ad in­terrogarsi. I radicali chiedono al ministro Alfano un’ispezio­ne nel carcere di Parma. La Cgil parla di «situazione intol­lerabile ». I dipietristi annota­no amari: «La morte di Cucchi non è servita a niente».


Francesco Alberti
Corriere della Sera 12 novembre 2009


Arrestato a Parma, muore in cella
di Francesco Alberti
Era stato fermato con l’accusa di furto dai parchimetri, è morto in car­cere meno di 24 ore dopo l’arresto. La Procura di Parma ha aperto un’in­chiesta per omicidio colposo per fa­re luce sul caso di Giuseppe Saladi­no, 32 anni, rinchiuso in carcere ve­nerdì scorso ma deceduto nella not­te in seguito a un malore. «Voglio sa­pere tutto — ha detto la madre in un’intervista a Tv Parma — in carce­re è entrato un figlio sano e avrei vo­luto ricevere un figlio sano».
uindici ore in carcere e una folla di perché. Un giovane di 32 anni morto senza che ci sia un apparente motivo. Una madre che accu­sa: «Era sano, me l’hanno ri­dato senza vita». Un’inchie­sta per omicidio colposo con­tro ignoti, per ora. Un carce­re, quello di via Burla a Par­ma, che si ritrova all’improv­viso sotto i riflettori. Troppo presto, ancora, per fare analo­gie con il terribile caso di Ste­fano Cucchi: comunque una bruttissima vicenda, aperta a qualsiasi sviluppo, tutta da decifrare.

Giuseppe Saladino aveva 32 anni, non era uno stinco di santo, ma nemmeno un delinquente incallito. Qual­che mese fa, era stato con­dannato ad un anno e due mesi di reclusione dopo esse­re stato pizzicato mentre fa­ceva incetta di monetine in alcuni parchimetri del cen­tro storico. Una condanna esemplare, come si dice in questi casi, con l’unica conso­lazione di poterla scontare a casa, agli arresti domiciliari, sotto gli occhi della madre, Rosa Martorano. Tutto è fila­to liscio fino a venerdì scor­so quando, a metà pomerig­gio, Giuseppe, non renden­dosi forse conto della gravità del gesto, è uscito di casa: di fatto, per il codice penale, si è trattato di una evasione.

La sua passeggiata però è stata di breve durata. Sorpre­so da una pattuglia della poli­zia e riconosciuto, è stato im­mediatamente portato nel carcere di via Burla. Addio domiciliari, per lui. Erano le 17 di venerdì quando le por­te del penitenziario si sono chiuse alle sue spalle. Quindi­ci ore dopo, alle 8 di sabato, in casa della madre Rosa è squillato il telefono. All’altro capo del filo c’era il direttore del carcere: voce bassa, tono di circostanza. Racconta la donna ai microfoni di Tv Par­ma: «Il direttore mi ha detto che Giuseppe era morto, che era stata una cosa improvvi­sa, inspiegabile, mi pare ab­bia parlato di un malore. Poi ha aggiunto che aveva volu­to telefonarmi di persona perché aveva preso in simpa­tia il mio ragazzo e perché sa­peva che siamo brave perso­ne... ». Parole, ovviamente, che non possono bastare ad una madre.

La donna, infatti, si è im­mediatamente rivolta ad un avvocato, deciso a fare luce: «Voglio sapere, voglio che tutto venga chiarito, non può succedere una cosa del genere». Il lavoro del legale Letizia Tonoletti, alla quale si è rivolta Rosa Martorano, parte da un assunto («Il ra­gazzo, quando è entrato in carcere, era sano») e da un in­terrogativo («Cosa è succes­so in quel breve lasso di tem­po? »). Due periti, uno nomi­nato dalla famiglia, l’altro dal sostituto procuratore Ro­berta Licci, avranno il compi­to di risalire alle cause del de­cesso, prima tappa di un per­corso investigativo che pun­ta a ricostruire nei dettagli quelle maledette 15 ore tra­scorse dal giovane nel carce­re di via Burla. L’autopsia è già stata eseguita, i risultati si conosceranno nei prossi­mi giorni.
Corriere della Sera 11 novembre 2009

Parma, 32enne morto in carcere: il legale della famiglia parla di abuso di farmaci

PARMA (11 novembre) - Potrebbe essere morto per un abuso di farmaci, forse per dosi sbagliate, Giuseppe Saladino, il trentaduenne di Parma spirato nella notte fra il 6 e il 7 ottobre in una cella del carcere emiliano poche ore dopo l'arresto. A dirlo è il legale della famiglia del giovane, avv.Letizia Tonoletti, che per il momento sembra escludere l'ipotesi dei maltrattamenti. La morte di Saladino è il secondo caso in pochi giorni nel carcere di via Burla. Il 27 ottobre si era suicidato in cella Francesco Gozzi, 52 anni, affiliato alla cosca Latella di Reggio Calabria. L'uomo stava scontando l'ergastolo in regime di 41 bis e si è tolto la vita impiccandosi con una corda fatta di lenzuoli.

Il giovane, condannato a maggio a un anno e due mesi per avere scassinato alcuni parchimetri, aveva ottenuto gli arresti domiciliari ma «il pomeriggio del 6 ottobre - racconta Rosa Martorana, madre del giovane - era uscito per un quarto d'ora in strada per salutare la ragazza», trovando al ritorno a casa la polizia. A quel punto erano scattate nuovamente le manette ed il trasferimento in carcere. Qui, però, dopo poche ore è sopraggiunta la morte.

«La mattina alle otto mi hanno telefonato - spiega la madre - Era il direttore del carcere che mi ha detto: suo figlio è morto per arresto cardiaco. Giuseppe quel giorno però stava bene: non era vivace come al solito, ma stava bene». Il trentaduenne aveva da tempo problemi di tossicodipendenza. Era in carico al Sert di Parma dove andava a farsi somministrare il metadone. Il 21 luglio però era stato trasferito, su disposizione del giudice Mastroberardino, all'ospedale psichiatrico di Reggio Emilia. La diagnosi: stato di agitazione con scompenso psichico in disturbo psicotico. Dopo un mese il ritorno nel carcere di Parma, e il 6 ottobre la decisione del giudice Lo Moro di concedergli gli arresti domiciliari, dove però è rimasto solo poche ore.

«Voglio giustizia, mi devono dire cosa è successo - ripete la madre - Era stato condannato per un piccolo furto: mio figlio non aveva mai commesso reati gravi come rapine o spaccio. Era un ladro di polli e ora me l'hanno ammazzato. Nel verbale che mi ha rilasciato la polizia, che è venuta a perquisire la casa il giorno dopo la morte di Giuseppe, c'è scritto: a seguito dell'avvenuto decesso per assunzione di stupefacenti. Ma come fanno a dirlo? E se fosse così, e non è così, perchè non lo hanno curato prima di metterlo in cella?».

«Inizialmente il medico legale non aveva riscontrato segni di percosse sul corpo», spiega l'avvocato, anche se la madre parla di due ematomi sul cadavere del figlio, una sulla fronte e uno sulla tempia, grandi come una moneta di un euro. Durante il riconoscimento la stessa madre ed il cognato avrebbero poi notato un rivolo di sangue uscire dalla bocca del giovane, probabilmente dovuto alla posizione del corpo al momento del decesso. Il personale carcerario, secondo il legale, si sarebbe accorto della morte di Saladino solo intorno alle 6 o alle 7 della mattina. Anche il compagno di cella non si sarebbe accorto di nulla e sosterrebbe di aver visto muovere il trentaduenne durante la notte.

La Procura di Parma dovrà capire, con l'autopsia eseguita dal medico legale Cristiano Bertoldi, alla presenza del perito della famiglia Roberto Marruzzo, se il giovane avesse assunto droga nelle ore precedenti alla morte, in particolare se lo abbia fatto nel pomeriggio quando ha incontrato la ragazza (anche lei tossicodipendente) fuori dalla propria abitazione dove era agli arresti domiciliari. «Si sarebbe anche potuto procurare l'eroina prima di tornare in carcere, ma in caso di overdose sarebbe morto nel giro di pochi minuti», dice l'avv.Tonoletti.
Il Messaggero.it 11 novembre 2009


Parma, procura indaga su morte di detenuto


(AGI) - Parma, 11 nov. - Era stato arrestato nel pomeriggio di venerdi': poi, venti ore dopo, durante la notte e' morto in carcere. La Procura di Parma ha aperto un fascicolo contro ignoti. Si indaga per omicidio colposo. Il pm Roberta Ricci ha disposto l'autopsia, per altro gia' conclusa. I risultati sono attesi per i prossimi giorni. La madre del giovane ha nominato un avvocato e un perito che ha assistito all'esame autoptico: "voglio sapere la verita' - ha detto ai microfoni di Tv Parma - voglio sapere cosa e' successo a mio figlio".
La vicenda riporta alla mente il caso Cucchi, il giovane morto a Roma, la storia tragica di Giuseppe Saladino, trentadueenne di Parma morto nel carcere di Viale Burla.
Saladino, che era stato condannato per aver rubato soldi nel parchimetro, era stato condannato ad un anno e due mesi per furto con scasso da scontare ai domiciliari: ma Saladino era stato sorpreso a passeggiare in strada. Quindi, nuovamente arrestato, e' stato portato in carcere. Qui, pero', nella notte si e' sentito male ed e' morto.
Pochi giorni fa la Procura di Parma aveva aperto un'altra inchiesta per l'ipotesi di istigazione al suicidio di un detenuto che stava scontando l'ergastolo e si era tolto la vita.


Detenuto morto a Parma: Rita Bernardini (Radicali - Pd)presenta interrogazione
e ribadisce l'urgenza di un'indagine conoscitiva sulle morti in carcere

Roma, 11 novembre

La deputata radicale Rita Bernardini, componente della Commissione Giustizia, ha presentato un’interrogazione al ministro della Giustizia Alfano sulla morte, avvenuta venerdì scorso,  del detenuto 32enne nel carcere di Parma, sulla quale la Procura ha aperto un fascicolo con l’ipotesi di omicidio colposo.

Rita Bernardini si è rivolta al ministro per sapere quale sia la ricostruzione ufficiale dei fatti; se risulti agli atti il quadro clinico del detenuto; se non si possano riscontrare elementi e profili di illegittimità da parte di chi ha disposto il fermo e se non ritenga necessario e urgente prevedere un’ispezione ministeriale presso la struttura dove è avvenuto il fatto.

La deputata radicale, infine, è tornata a ribadire al ministro l’urgente necessità di avviare un’indagine conoscitiva sui decessi che avvengono tra i detenuti delle carceri italiane, inclusi i suicidi, per verificarne le cause reali e scongiurarne di nuovi.



SEGUE TESTO DELL’INTERROGAZIONE

Al ministro della Giustizia

Premesso che

-          l’agenzia di stampa Ansa il giorno 10 novembre 2009 riportava la seguente notizia:

“PARMA, 32ENNE MUORE IN CELLA. IL PM: "OMICIDIO COLPOSO" (ANSA) - BOLOGNA, 10 NOV - La Procura di Parma ha aperto un fascicolo, ipotizzando l'omicidio colposo, per la morte di Giuseppe Saladino, 32 anni, un giovane di Parma trovato senza vita nella cella dov'era rinchiuso da meno di un giorno. Il giovane è morto la notte di venerdì, la prima che passava in carcere dopo essere stato fermato nel pomeriggio dalle forze di polizia: nonostante la condanna a un anno e due mesi per furto con scasso (aveva razziato alcuni parchimetri) da scontare ai domiciliari, era stato sorpreso a passeggiare in strada. Qui però nella notte si è sentito male ed è morto. È stata già compiuta l'autopsia disposta dalla pm Roberta Licci e i risultati sono attesi per i prossimi giorni. La madre del giovane ha nominato un proprio legale, l'avvocato Letizia Tonoletti, e un perito che ha assistito all'esame autoptico. «Voglio sapere tutto quello che è successo in carcere», ha dichiarato a Tv Parma la madre del giovane, Rosa Martorana: «In carcere è entrato un figlio sano e avrei voluto ricevere anche in uscita un figlio sano».”



Per sapere

-          quale sia la ricostruzione ufficiale dei fatti segnalati dalle fonti giornalistiche;

-          se risulti agli atti il quadro clinico del detenuto;

-          se non si possano riscontrare elementi e profili di illegittimità da parte di chi ha disposto il fermo;

-          se non ritenga necessario e urgente prevedere un’ispezione ministeriale presso la struttura dove è avvenuto il fatto;

-          se infine il ministro non ritenga urgente avviare un’indagine conoscitiva sui decessi che avvengono tra i detenuti delle carceri italiane, inclusi i suicidi, per verificarne le cause reali e scongiurarne di nuovi.

Stefano Frapporti, suicida in circostanze sospette a Rovereto il 21 luglio 2009
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Ecco un frammento dal blog: blogfrapportistefano.blogspot.com

«Io non scordo Stefano». Con questa frase impressa su una serie di striscioni che nel tardo pomeriggio di ieri (21 ottobre 2009) sono sfilati per le vie del centro, i familiari, gli amici e i sostenitori di Stefano Frapporti hanno voluto ricordare quanto è accaduto tre mesi fa. Il gruppo che si è ritrovato in piazza Loreto era composto da una settantina di persone, di tutte le età. Una voce al microfono ha raccontato del giorno in cui, a poche ore dal suo arresto il muratore di Isera si è tolto la vita in carcere. Ancora una volta i manifestanti hanno messo in luce, anche attraverso i volantini distribuiti ai passanti, i tanti dubbi che nutrono su quanto è successo. Ancora una volta chiedono «perché?». Camminando sotto la pioggia si sono fermati in largo Posta, all'incrocio di corso Rosmini e poi giù, quasi fino al palazzo di Giustizia, facendo spazientire anche qualche automobilista costretto a fermarsi. A chiudere il corteo il solito striscione:«Perché non accada mai più».

L'Adige, 22 ottobre 2009

 

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Osservatorio sulla contenzione
a cura di Grazia Serra

  
   

   
    a cura di Francesco Gentiloni

" Il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri"
Voltaire

 


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