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Spadaccia, un carcere lungo una vita
di Daniela De Robert

 

Erano anni duri in carcere quando Gianfranco Spadaccia – dirigente radicale, parlamentare per tre legislature, già garante dei diritti dei detenuti per il comune di Roma - vi mise piede per la prima volta. Erano i tempi delle proteste violente e delle rivolte, quando la riforma penitenziaria muoveva i primi passi.

Spadaccia non entrò come parlamentare, né come volontario. Il suo fu un ingresso coatto: arrestato il 13 gennaio del 1975 per procurato aborto a seguito della sua dichiarazione di corresponsabilità, in quanto segretario del Partito Radicale, nelle attività con la clinica del dottor Giorgio Conciani dove si praticava l’interruzione volontaria di gravidanza, allora non legale.

“Fui arrestato, portato in commissariato e poi a Regina Coeli per qualche giorno. Poi fui trasferito a Firenze al carcere di Santa Teresa prima e delle Murate poi. Si temeva per la mia incolumità”. È così che il futuro Garante dei diritti dei detenuti del Comune di Roma ha conosciuto il mondo prigioniero. Dall’interno, dall’altro punto di vista, quello sbagliato.

Di quei giorni ricorda naturalmente l’impegno politico, che lo aveva portato dietro le sbarre – “erano giornate molto dense e piene”, dice –, ma anche i suoi compagni di galera, i detenuti normali, quelli che non ricevono le visite dei parlamentari: rapinatori, truffatori, ladri. Persone che lo hanno accolto, che gli hanno spiegato l’importanza dell’attività fisica per chi sta in carcere, come passeggiare in uno spazio limitato, come affrontare la vita prigioniera, e con i quali condivideva la cena, quando era invitato a mangiare (ma in galeottese si preferisce dire “fare socialità”) in qualche cella vicina.

“Alle Murate – racconta Spadaccia - cominciai a rendermi conto di cosa sia il carcere. Le strutture erano fatiscenti. Si trattava spesso di vecchi conventi male adattati alla nuova funzione. Oggi qualcosa è certamente cambiato, con strutture più nuove: A Firenze c’è Sollicciano, a Roma Rebibbia Nuovo Complesso, a Milano Opera, a Torino Lorusso e Cutugno”.

L’impatto con i compagni di cella, lo abbiamo detto, fu buono. Erano detenuti comuni. “I più simpatici – ricorda Gianfranco Spadaccia – erano i truffatori. Ne ricordo uno che era specializzato in truffe al Vaticano. Veniva dalla sinistra cristiana, frequentava la parrocchia, quindi conosceva molto bene il mondo cattolico dall’interno. Poi ha deciso di fare il truffatore. A Bari si presentò come vescovo ortodosso. Aveva gli abiti, la carta intestata, tutto quello che serviva: “Li ho fatti piangere - ci diceva - ridendo”. Ricorda anche la vicenda di un uomo della Lucania. Era in lite con dei parenti per una questione di terreni confinanti. Un giorno fu minacciato e lui, che era una guardia giurata, sparò uccidendo. La moglie per stargli vicino vendette tutto, case e terreni, e si spostò con i due figli.

Quel primo contatto con il carcere, visto da dentro, anche se da una posizione privilegiata per l’attenzione dei media e del mondo politico, ha segnato profondamente Spadaccia. “Fu proprio in quei giorni che presi i primi contatti alla base della battaglia portata avanti anche con Adelaide Aglietta che portò alla smilitarizzazione degli agenti di custodia, avvenuta poi nel 1990. Erano a un livello di frustrazione inimmaginabile. I problemi di allora in parte sono rimasti: carenza di organico, orari pesantissimi, il mancato pagamento degli straordinari. La frustrazione è ancora oggi molto forte, come dimostrano i tanti suicidi di cui si comincia a parlare.”.

Poi, una volta uscito, si ritrovò in prima fila durante una serie di rivolte. “Con il fatto che ero stato in carcere e che ero segretario del partito radicale diverse volte i direttori degli istituti o il Ministero mi chiamarono: i detenuti chiedono di parlare con lei –mi dicevano. Andai a Torino alle Nuove, a Campobasso dove ci fu una rivolta con una guardia presa in ostaggio, alle Murate a Firenze alle fine del 1976 dove entrai utilizzando il diritto ispettivo in quanto parlamentare. Erano rivolte che nascevano per le condizioni di invivibilità delle carceri”. Nel 1980 durante il caso D’Urso ci fu la rivolta al carcere di Trani, con le BR che chiedevano la liberazione di alcuni “prigionieri politici” e la chiusura del carcere dell’Asinara. In quei giorni ammazzarono il generale dei carabinieri Enrico Galvaligi. Fu una situazione molto difficile”.

Sono anche gli anni della riforma dell’ordinamento penitenziario e già si cominciava a intravedere, racconta ancora Spadaccia, un cambiamento di atteggiamento anche tra i funzionari. Da allora alcune cose sono cambiate.

Il bilancio che tira Spadaccia è positivo. “Non c’è paragone con il passato. Rispetto al carcere di allora oggi c’è sicuramente meno violenza. Al tempo delle rivolte è seguito un lungo periodo di pace penitenziaria grazie all’introduzione della Legge Gozzini che è stata ed è un importantissimo strumento di governo delle carceri. Poi va detto che gradatamente, ma sempre più marcatamente, sono cambiati gli agenti, non solo per l’innalzamento del livello culturale ma anche perché sono stati protagonisti - con la battaglia per la smilitarizzazione del corpo - di un cambiamento e quindi si sono modificati anche i rapporti con i detenuti”. Adesso, però secondo Spadaccia c’è un ritorno indietro negli istituti penitenziari. “Non sono attrezzati per fare fronte ai nuovi poveri, cioè agli extracomunitari e ai romeni. Il cambiamento portato dalla Gozzini tra i detenuti ai quali veniva offerta la possibilità di ricominciare con i permessi premio e con le misure alternative, ma anche con le attività culturali in carcere e la scuola, oggi è in crisi. Con gli stranieri tutto è più difficile. Mancano i mediatori culturali e c’è il rischio che le misure alternative siano solo per chi ha fuori relazioni familiari e sociali”.

Tra le cose del carcere che non vanno oggi c’è anche il 41bis. “Una realtà di tortura – dice Spadaccia – anche se in Italia questo reato non è punito dal codice penale. Capisco le ragioni di sicurezza, ma così si tengono delle persone in situazione di morte civile”.

E se ieri l’urgenza era fermare la violenza e riformare il corpo della polizia penitenziaria, oggi le urgenze sono – secondo Gianfranco Spadaccia – l’aumento del numero degli educatori, la scuola e il lavoro.

“Senza educatori la riforma penitenziaria è vuota. E oggi sono troppo pochi. Riguardo alla scuola non bisogna tagliare le classi e gli insegnanti, come succede oggi. La riforma penitenziaria, la Gozzini e la Simeoni-Saraceno sono tre riforme che partono dal punto di vista della nostra Costituzione secondo la quale il carcere deve offrire occasioni a chi non le ha avute nella vita. Poi spetta al detenuto cogliere l’opportunità oppure no. Ma offrire questa possibilità significa togliere alla criminalità un possibile soggetto, restituendolo alla società civile perché lo faccia poi crescere. E questa non è un’utopia, ma una realtà. Ma oggi mancano le aule, mancano i libri di testo, mancano gli insegnanti”. Infine c’è il lavoro. “Il lavoro domestico che offre il carcere, con la riduzione dei bilanci, è diventato assolutamente irrisorio. Così i detenuti sono nelle mani di chi ha disponibilità economica in carcere, il che spesso significa della criminalità organizzata. Il lavoro vuol dire anche misure alternative. E noi sappiamo che la recidiva scende dal 70% al 17% tra chi ha usufruito di misure come la semilibertà”.

Ma il problema del carcere, come si sa, non è solo nel carcere. “Bisogna capire che il carcere duro non giova alla sicurezza e non vuol dire certezza della pena. È esattamente il contrario”.

Prossimi Avanzi di galera :

Nicola Boscoletto, Angiolo Marroni, Raffaella Durano, Francesco Ceraudo, Leda Colombini, Sandro Margara, don Sandro Spriano, Franco Corleone …

 

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Numero dei detenuti presenti su 43084

61.481 detenuti
il 7/2/2014


Osservatorio sulla contenzione
a cura di Grazia Serra

  
   

   
    a cura di Francesco Gentiloni

" Il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri"
Voltaire

 


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