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Carceri, scandalo ignorato
Luigi Manconi
Grazie all’ostinatissima mobilitazione dei Radicali e allo sciopero della fame e della sete di Marco Pannella si è arrivati finalmente, ieri, alla convocazione di una seduta straordinaria del Senato sul tema del sistema della giustizia e dell’esecuzione della pena. Questione cruciale, come si vedrà, ma lo scarso, o nullo, interesse mostrato finora dai mass media, l’esile presenza di senatori nell’aula e, soprattutto, il contenuto dell’intervento del ministro della Giustizia, Francesco Nitto Palma, adombrano il rischio di una discussione fine a se stessa, incapace di assumere impegni precisi e adottare politiche concrete e destinata a risolversi in un omaggio rituale a un dramma che assume, via via, i contorni di una emergenza umanitaria. Eppure tutto ciò non era, e forse tuttora non è inevitabile. Poco meno di due mesi fa si era svolto, ancora al Senato un importante convegno promosso dagli stessi Radicali. Qui era accaduto qualcosa di effettivamente nuovo, grazie in particolare a Giorgio Napolitano. Dalla più alta autorità dello Stato provengono parole sempre connotate, anche sotto il profilo più strettamente semantico, da moderazione e prudenza. Una simile cifra, che è di cultura e di  stile, qualifica il discorso pubblico dell’attuale Capo dello Stato. Il quale, tuttavia, sa che la  moderazione non è incompatibile con lo sdegno e che, quando necessario, la moderazione esige lo sdegno. In quella occasione Napolitano ha fatto ricorso a un vocabolario appunto sdegnato, in cui echeggiava una certa ira consapevole, a proposito dei luoghi di esecuzione della pena nel nostro paese. E così ha definito “estremo orrore” la situazione degli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg), dove sono internati gli imputati di reato considerati “incapaci di intendere e di volere”. E ha qualificato come “eufemistico” il pudibondo termine (“sovraffollamento”) col quale si segnala che in spazi destinati ad accogliere 45mila individui, vengono stipati a forza (e come, se no) oltre 67mila esseri umani.  Di fronte a ciò, Napolitano ha fatto ricorso a un termine inappellabile: “imbarbarimento”, richiamando tutti ad affrontare quella che considera una “prepotente urgenza” e una “emergenza assillante”. L’importanza di quel richiamo e la riprovazione morale che evoca sono tanto maggiori in quanto fanno seguito, come si è detto, alla più circostanziata critica del sistema della pena mai esposta da una così alta autorità. E in quanto – ecco il punto - quel richiamo non ha ottenuto, a tutt’oggi, alcun concreto risultato. E questo sembra dimostrare inequivocabilmente che quella prepotente urgenza non è affatto condivisa dalla gran parte del ceto politico e del sistema dell’informazione. La seduta del Senato di ieri ne è stata una conferma. In particolare, il Guardasigilli, ha svolto un intervento che è apparso fuori sincrono: ossia come scandito su un ritmo incommensurabilmente più lento di quel processo di “imbarbarimento” così autorevolmente denunciato. È vero che Nitto Palma ha dedicato, finalmente, una certa attenzione alla situazione degli Opg dove – tragedia nella tragedia - si consuma la sorte di 215 soggetti tuttora internati “nonostante sia stata clinicamente accertata l’assenza di pericolosità sociale”. Ed è stato importante il suo ragionamento sull’eccesso del ricorso alla custodia cautelare, spesso tanto insensata quanto totalmente superflua. Basti pensare che su circa 90mila persone che transitano per il carcere nel corso di un anno, oltre 21mila vi restano da uno a tre giorni. Ma sul piano delle strategie per ridurre il sovraffollamento e rendere più civile il carcere, il ministro è stato cauto fino alla reticenza. Per affrontare il problema di una popolazione detenuta, che supera di oltre 20mila unità la capienza regolamentare, il ministro ha richiamato la realizzazione negli ultimi tre anni di 440 nuovi posti (e non sappiamo quanti siano stati effettivamente occupati, considerata la grave carenza di personale); e ha promesso la “prossima apertura del carcere di Gela, essendosi risolto il problema della condotta d’acqua”. Ma si tratta di un istituto la cui progettazione risale al 1959 (avete letto bene: 1959): e questo dà un’idea plastica di quali siano i tempi, quelli trascorsi e probabilmente quelli futuri, di attuazione dei fantasmagorici “piani-carcere annunciati”. Ma, ciò che soprattutto manca, è una strategia di riforme strutturali. Eppure Nitto Palma aveva fatto ben sperare, insistendo nelle scorse settimane sull’esigenza di una politica di de-penalizzazione: ovvero di riduzione del numero di atti e comportamenti, violazioni e infrazioni oggi classificati come fattispecie penali. E’ la strada che il migliore pensiero giuridico, “di destra” come “di sinistra”, da Carlo Federico Grosso a Carlo Nordio, indica come quella indispensabile per affrontare efficacemente sia le principali disfunzioni del sistema della giustizia, che le più crudeli contraddizioni del sistema della pena. Di ciò, nella relazione del ministro della Giustizia, non c’è più traccia (il dibattito proseguirà martedì prossimo: si può ancora sperare?). La spiegazione è forse semplice: le buone intenzioni del ministro si sono sgretolate davanti a una maggioranza di centrodestra che non rinuncia in alcun modo a leggi-manifesto, come quella sulla recidiva e quella sulle sostanze stupefacenti. Normative che hanno costituito il principale strumento di acquisizione di consenso elettorale presso settori di popolazione che il succedersi degli allarmi sociali ha sottoposto a stress e reso ansiosi.
il Messaggero 22 settembre 2011
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