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Quando il garantismo non basta


Elvio Fassone

Peppino Di Lello


Della vicenda di Battisti conosco soltanto quello che hanno riportato i giornali, e quindi il mio giudizio deve essere prudente. Su un punto, però, si dovrebbe convenire senza incertezze: Battisti non è stato condannato per delitti politici e quindi, sotto il profilo legale, non può essere definito un “perseguitato politico”. Egli è stato condannato da una corte indipendente per quattro omicidi, in danno di un orefice, di un commerciante e di due poliziotti. A scanso di pretese giustificazioni di natura non giuridica, è bene ricordare che per tre omicidi Battisti è stato condannato in qualità di concorrente, ma in uno quale autore diretto. Che egli li abbia commessi in conseguenza dei suoi convincimenti ideologici non è sufficiente per attribuire agli omicidi la qualità di “delitti politici”, secondo l’art. 8 del codice penale, secondo la giurisprudenza ed anche secondo il senso comune: sarebbe troppo semplice trasformare le proprie personali pseudo-motivazioni in giustificazioni con valore legale.

Nemmeno sembra si possa parlare di processo non “giusto”, in quanto celebrato senza che egli fosse presente: un conto è la contumacia, un conto la latitanza. Battisti non c’era semplicemente perché si era sottratto ad un provvedimento di cattura. Né risulta che i suoi difensori abbiano addotto, e tanto meno visto riconoscere, questo tipo di eccezione davanti ad alcuna Corte internazionale.

Un altro punto pacifico è costituito dalla decisione del Tribunale supremo brasiliano, competente a valutare le domande di asilo politico, sotto il profilo, appunto, della “politicità” dei delitti in esame: questo organo si era espresso, sia pure a maggioranza, in termini negativi, ribadendo che la condanna era stata pronunciata per delitti comuni, e che pertanto poteva essere concessa l’estradizione.

A questo punto - secondo le cronache - il ministro della giustizia brasiliana, Tarso Genro, avrebbe rifiutato la consegna di Battisti per un duplice ordine di motivi: perché, a suo giudizio, si trattava comunque di delitti politici, e perché in ogni caso Battisti correva pericolo per la sua vita: infatti in Italia sarebbero attivi “apparati di repressione illegali” e Battisti “potrebbe essere perseguitato per le sue opinioni politiche”. Quanto alla prima motivazione, è sperabile che vi sia qualche imprecisione, altrimenti occorrerebbe dubitare che in Brasile sia operante la distinzione dei poteri, dal momento che la giurisdizione si era già espressa sul punto. E quanto alla seconda, è dubbio che si possa parlare di persecuzione a proposito di una sanzione per delitti comuni, legalmente irrogata, della quale si chiede semplicemente l’esecuzione.

Non meno perplessi si rimane leggendo le “fonti” dalle quali sarebbe stata ricavata l’opinione che l’Italia è un Paese in cui i condannati rischiano la pelle a causa di apparati illegali. L’accusa è di una pesantezza e di una gravità che esigerebbero attenta documentazione. Invece essa scaturisce niente meno che dall’“imparziale” voce del difensore di Battisti, non corredata da alcun atto, se non dall’opinabile opinione di Francesco Cossiga, a detta del quale il governo italiano vorrebbe mettere le mani su Battisti “per una motivazione unicamente politica”. Quasi che fosse politica l’ovvia esigenza di un governo di non restare inerte di fronte all’impunità di un pluri-omicida.

Che nelle vicende di estradizione giochi una forte componente politica è cosa risaputa. Ma questa volta la politica, per quanto “sovrana”, non fa una bella figura.


La mancata estradizione di Cesare Battisti ripropone alcune questioni garantiste sulle quali, per “pudore”, esitiamo ad intervenire. Innanzitutto c’è lo scoglio del giudizio in contumacia che quasi tutti gli ordinamenti penali di altri Stati ignorano perché non sembra possibile giudicare un imputato che non può difendersi personalmente. Noi invece lo facciamo prescindendo persino dal tanto decantato articolo 111 Cost. che sicuramente non prevede il contraddittorio con una parte assente. Sarebbe opportuno e legittimo prevedere la presenza necessaria dell’imputato o una sua dichiarazione di consenso al dibattimento in sua assenza, con il conseguente inizio del decorso della prescrizione dalla accertata presenza dell’imputato o dalla sua dichiarazione di consenso di cui sopra. Per gli imputati già condannati in contumacia e catturati, inoltre, si dovrebbe prevedere un nuovo processo, secondo, come mi sembra, l’orientamento della Corte di Strasburgo.
C’è, poi, il problema del “concorso morale”, retaggio della difficoltà della prova per gli imputati partecipi dell’associazione ma non partecipi al fatto criminoso oggetto del giudizio. La formula (quasi) magica del “non poteva non sapere o non volere” non regge perché, appunto, l’imputato poteva effettivamente non sapere o non essere consenziente. Il “semplice” concorso nella programmazione di una serie di delitti non dovrebbe ritenersi sufficiente per una dichiarazione di responsabilità per uno dei delitti commessi e per il quale, come detto, l’imputato non partecipe poteva non essere d’accordo o non essere informato.
Innocentievasioni dovrebbe procurarsi copie dei provvedimenti di rigetto delle richieste di estradizioni emesse da Stati quali la Spagna o la Francia che rilevano queste abnormità del nostro sistema.
Dobbiamo ricordare infine che, nello spazio giuridico dell’EU, vige il principio del riconoscimento reciproco della sentenze tra gli Stati membri, basato sulla affidabilità garantista dei loro sistemi giudiziari. Nonostante ciò, la Francia, per esempio, si rifiuta di consegnarci i terroristi lì rifugiati per varie ragioni come quelle sopra indicate ed anche per ragioni puramente umanitarie. Basta pensare alla vicenda della Petrella per capire come pure la condizione umana di un imputato possa rientrare tra i vincoli garantisti che uno Stato si impone.
Sono tempi duri gli attuali nostri, con il garantismo sempre più relegato tra i ciarpami della storia e con una legislazione sempre più crudele con i deboli e sempre più svincolata dalla Costituzione: speriamo che passi, ma la “nuttata” sarà lunga.

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