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Sillabario dal carcere

a cura del laboratorio di scrittura di Rebibbia N.C.
Autori: Alessio, Gianluca, Roberto84, Ruggero53, Tommaso Marsella, Ubares

 

Il carcere è un mondo a parte, dove la peculiarità del linguaggio testimonia la stratificazione nel tempo del modo con cui la società concepisce la pena detentiva: abbondanza di diminutivi  dal suono grazioso (domandina, scopino, saletta...), parole inesistenti nel dizionario (spesino, portavitto...) o desuete (mercede), termini scientifici crudi (trattamento), espressioni curiose (ora d'aria). Parole che rivelano un mondo contraddittorio: da una parte luogo d'infanzia dove i soggetti sembrano fare le cose per gioco, dall'altra luogo di cura per individui affetti da malattia. In ogni caso, un mondo dove il linguaggio rispecchia la mancanza di autonomia del singolo e la dipendenza dall'autorità, ma anche la spersonalizzazione e la perdita di dignità. Quindi l'esatto contrario dell'esercizio della responsabilità, che dovrebbe essere invece il presupposto della reintegrazione nella collettività.

Nel nostro Sillabario non si troverà una rappresentazione completa del carcere, ma dei brevi racconti che prendono spunto da momenti o episodi (vissuti o riferiti) di vita dentro.


AREA VERDE

[Dal vocabolario: Superficie circoscritta del terreno ricoperta di vegetazione. Es.: i giardini pubblici di una città]

In numerosi istituti esiste l'area verde (detta anche aria verde): uno spazio con alberi e verde, attrezzato con gazebo, scivoli, altalene, destinato al colloquio con i familiari, soprattutto se ci sono bambini.

  • 1. Borgo nostro

La luce che mi arrivava in faccia dalla finestra in fondo alla stanza è stato il segno di benvenuto con cui l'ufficio cappellani mi ha accolto nel primo giorno del mio nuovo incarico. Era eccitante ritrovarsi dopo tanto tempo in un ambiente distante anni luce dalla miseria e dal grigiore della cella, in cui mi ero abituato a veder scivolare via gli ultimi due anni del mio tempo, come se non mi appartenessero, inutili. I sensi impigriti da tutti quei mesi d'inattività reagivano a un insieme di stimoli che in passato non avrei nemmeno notato, era come sentirsi scorrere sotto la pelle una scarica d'energia che risvegliava una alla volta le cellule del mio corpo. Tutto sembrava meraviglioso e nuovo ai miei occhi abituati a guardare il soffitto per ore e ore. La porta aperta sul corridoio, il continuo via vai di persone con il loro vociare mi tenevano compagnia mentre le dita riprendevano timidamente confidenza con la tastiera del computer.

Poco alla volta, quel tempo che mi scorreva attorno è tornato a essere mio: un tempo normale di lavoro e impegni da rispettare, che mi restituiva almeno in parte la quotidianità del vivere. Così anche lo scorrere dei pensieri, finalmente libero del freno dell'ozio, è tornato a farsi intenso e a determinare almeno in parte le mie azioni. Con essi la luce che filtrava dalla finestra stiepidendomi il viso nelle mie mattine alla scrivania ha assunto altri colori, si è fatta via via più intensa come  volesse richiamare la mia attenzione su quella parte di mondo che c'era al di là del vetro.

Borgo nostro la chiamano, sta scritto anche su una targa di pietra messa all'ingresso. Alcuni raccontano sia una delle cento piazze di Roma, investita di tale carica da un sindaco del quale nessuno ricorda il nome. Non so se questa storia sia vera, quello che so però è che non è una semplice piazza quella su cui si affaccia la finestra del mio ufficio. E' molto ma molto di più: una porta su sentimenti che all'interno di queste mura si fanno più intensi, un affaccio privilegiato sui "ciao" e gli "a presto" che ogni giorno vengono pronunciati da uomini, donne e bambini alle prese con un groviglio di sensazioni e passioni con cui è difficile venire a patti, momenti difficili da descrivere con semplici parole, proprio per l'intensità di cui sono capaci e che solo chi li ha vissuti sulla propria pelle è capace di riconoscere.

Quanti uomini ho visto tormentarsi le mani nell'attesa che dal cancello di ferro arrivassero i propri cari! Uomini apparentemente impassibili con gli occhi lucidi per l'abbraccio di un figlio che si è fatto ancora un po' più alto. Uomini che non riescono a star fermi perché è il loro primo colloquio senza la barriera di un tavolo, o che sembrano essersi abituati a tutto questo e fanno finta che sia una semplice routine, ma prima di venire qui si sono preparati con cura, sbarbati come fosse un giorno di festa, messi i vestiti migliori, perché quell'ora non potrà mai essere semplice routine! Ecco un altro gruppo di familiari che entra, sorrisi che si distendono al semplice sfiorarsi delle mani, abbracci che si vorrebbe non finissero mai.

Ma ho visto anche qualcuno andar via con le mani affondate nelle tasche, ingobbito, lo sguardo scuro e la convinzione stampata sul viso che quella sarebbe stata l'ultima volta. Qualcuno ha persino gridato ed è scappato, per tornare subito dopo sui suoi passi a chiedere perdono, nel tentativo di opporsi con tutte le sue forze a una separazione ormai insanabile. Per fortuna questo non capita spesso, i sorrisi, le grida dei bambini, i baci sono la normalità. Tavoli preparati per mangiare tutti insieme in una casa fatta d'aria e speranze, palloni colorati rincorsi almeno per un'ora da padri e figli, parole dette con il sorriso sulle labbra a madri preoccupate per vederle andar via almeno un po' più tranquille.

Questo vedo dalla mia finestra e vedo anche il lavoro di un vecchio amico che volontariamente tiene in ordine quest'universo dal movimento continuo. Tommaso c'è sempre, cappello giallo calato sulla fronte e capelli grigi pettinati alla Crusty il clown. In un via vai continuo spande in ogni angolo dell'area verde la sua ironia, mentre sistema un tavolo alla volta, pulisce, asciuga, fa scomparire come per magia le cartacce e gli avanzi di colloqui appena conclusi, restituendo ai nuovi arrivi un posto in cui stare. Dalla sua postazione, scruta l'orizzonte come una vedetta, sempre pronto a un saluto o a raccontare a chi la richiede qualcuna delle sue storie stravaganti.

Non so com'era quando ha messo piede qui dentro la prima volta, certo le rughe che si porta sul viso, il sorriso malinconico che gli vedo fare spesso e il modo ironico con cui parla di se stesso ti fanno pensare che di strada ne ha dovuta fare tanta per arrivare fin qui e chissà quanti problemi ha dovuto affrontare, quanti rospi ha dovuto ingoiare, facendo finta subito dopo che in fondo va bene anche così, preparandosi con quel suo sorridere al prossimo tratto di strada.

Adesso se ne sta lì a strofinare il suo panno per asciugare i tavoli e le sedie imperlate della pioggerellina di questa mattina d'inverno. Piove, ma per lui non sembra un problema.

Chissà come sarà il giorno in cui finalmente verrà restituito alla sua libertà? Triste no, quello mai: un amico che torna libero porta con sé anche una piccola parte di ognuno di noi e questo pensiero non può che farci sentire felici. Ma forse ne parleremo con una punta di malinconia, come quando a casa si ricordano le gesta di un vecchio zio che non si fa vedere da un po', e trovando una cartaccia o un tavolo sporco in questo Borgo nostro penseremo sorridendo a come quest'universo era sempre in ordine proprio grazie a lui.

  • 2. Gli affetti degli altri

Da una finestra della mia classe si vedono i parenti venuti al colloquio con i loro cari, alcuni seduti sotto un gazebo, altri in piedi. Una mattina erano venuti i parenti di Massimo, un amico di cella. Infatti lui si era svegliato presto, si era fatto la barba e poi si era vestito in modo elegante, per quanto si possa essere elegante in carcere. Io gli avevo preparato il caffè da portare al colloquio, lui aveva preso bicchieri, tovaglioli e merendine, mettendo il tutto in una busta di carta marrone adibita esclusivamente ad uso colloqui.

C'era anche Franco, un altro compagno di cella, stava parlando con la madre e il padre; dopo un po' s'è messo a giocare con la figlia di sette anni. Sembravano contenti e allegri per quell'ora passata insieme. Però, quando Massimo e Franco sono rientrati in cella subito dopo il colloquio, erano tristi e frustrati, non so il perché, magari per qualcosa che si sono detti, oppure perché il tempo che hanno a disposizione è poco.

Un altro giorno un compagno di classe, che stava facendo l'aria verde, si è avvicinato a quella stessa finestra e mi ha presentato la sua famiglia. La madre mi ha chiesto come andava e io le ho risposto che, a parte la solitudine che mi rende triste, per il resto andava tutto bene. Quando se ne sono andati ho pensato che le avevo detto che tutto andava bene, ma non era vero, in realtà mi sentivo spento perché io non faccio colloqui e tanto meno l'aria verde. Quando mi immagino all'aria verde a parlare con i miei genitori, mi viene da piangere perché penso che, vedendo la mia famiglia dopo tanto tempo, desidererei che non finisse mai quella maledetta ora di colloquio; quindi anch'io, al mio ritorno in cella, sarei turbato e triste perché capisco quanto l'attesa fino al prossimo colloquio ti possa nervoso e teso. A questo si aggiungerebbe anche l'ansia di essere chiamati al colloquio, perché uno non sa mai con certezza se il familiare è venuto oppure ha avuto qualche problema nel venire, o nell'entrare, chi lo sa? Credo che problemi simili se li pongano tutti, perché i giorni dei colloqui sono i momenti più attesi della settimana. Momenti di vita e di pace, per i quali già dalla sera precedente uno si prepara mentalmente, per presentarsi al colloquio con tranquillità e serenità, così da avere un rapporto tranquillo e sereno con il proprio parente o partner.

 

BILANCETTA

[Non esiste nel vocabolario. Diminutivo/Vezzeggiativo di Bilancia: Strumento per la misurazione del peso di un corpo]

E' una delle prime parole strane che ho appreso quando sono arrivato in carcere. Non si tratta di una bilancia di piccole dimensioni, ma di un piccolo armadio nella cella, dove ogni detenuto può mettere le sue cose. L'origine del nome è probabilmente dovuta al fatto che nell'armadietto gli indumenti e oggetti non possono superare un certo peso.


COLLOQUIO

[Dal vocabolario: Abboccamento, conversazione tra due persone o più (ma sempre poche), di solito su argomenti di qualche importanza]

I detenuti hanno diritto a 6 ore mensili di colloquio con familiari o congiunti (della durata di 1 ora o più ore accorpate).

  • Dalla sera prima

L'attesa del colloquio comincia la sera prima. "Domani vedrò mia moglie e le mie figlie, speriamo che tutto vada bene". Cerco di dormire pensando ai loro volti sorridenti e a quello che dirò loro, sperando di non dimenticare nulla, ma tanto so che non si riesce mai a ricordarsi tutto. Meglio farmi un pro-memoria. Mi alzo dal letto e mi metto a scrivere: 1) Come stai con i soldi? 2) Hai detto all'avvocato di quella causa? 3) Vai da Antonio e digli che... 4) A scuola come va la pupa? 5) Zia ti ha chiamato? Ecc. Così almeno non dimentico nulla. Ora posso dormire tranquillo.

Ore 6:00, gli occhi si aprono da soli, è tutto buio. Cavolo! Tra 2 ore aprono e mi devo fare la doccia, speriamo che sia calda. Si sarà svegliata anche Claudia, ma no, è ancora troppo presto per lei. Mi alzo e mi faccio il caffè, poi berrò il tè e farò colazione. Mi guardo allo specchio, più volte, cerco l'espressione giusta per andare al colloquio, non voglio che si preoccupino. Allora, il sorriso, così va bene. Lo sguardo è sereno? Mah, così così. Ma forse è l'ansia dell'attesa...

Ore 8:30, ma quando aprono? che devo fare la doccia!

Ore 8:45, inizio a sentire freddo con l'accappatoio addosso. Un compagno di cella mi dice: "Luca, ma che fai là da un'ora? Ancora devono aprire!"

"Sì vabbè, dai, non rompere", gli rispondo con un sorriso.

La guardia apre e corro a farmi la doccia. Quando torno in cella comincia la grande lotta: cosa mi metto? Questi calzoni e... la maglia grigia. No, metto questi altri invece, mi stanno meglio addosso. E pure la maglia... quella rossa è più carina? Ma sì dai, va bene questa!

"Davide, vedimi un attimo: come sto?".

"Com'un fregnone! Ma dai, che stai bene, sì, sei bello e pronto!"

Bene. Ora c'è solo da aspettare... Magari già stanno qui fuori. Comincio a passeggiare in 2 metri quadrati, facendo su e giù... Ma quando chiamano? Le orecchie sono vigili, pronte a cogliere ogni voce che arriva dal corridoio.

Stefano mi chiede se voglio il caffè. "Sì... anzi no... Bah, fa' come ti pare".

"Ehi, ma sei intrattabile oggi".

"Dai, Ste', lo sai che c'ho il colloquio, sto in ansia... Scusami se so' sgarbato... Però, su, non rompere..."

Ore 11:40. Sento la guardia chiamare il mio nome. I pensieri vanno a 3000. Allora: il caffè l'ho preparato, le merendine pure... Ecco, vado.

Scendo all'area verde, consegno il cartellino. Attesa, altra attesa: circa un'ora e mezza! Passeggio freneticamente... Eccole! le vedo entrare. E il mondo dove vivo scompare.

Le abbraccio felice e prendo in braccio la piccolina. Tiro fuori il foglietto e comincio a dire a Claudia le cose che mi ero appuntato. Intanto prendiamo il caffè, le bambine scartano le merendine, lei mi racconta qualcosa della settimana: "Va tutto bene", mi dice. Il tempo di un sorriso, un abbraccio, un bacio e senti la guardia chiamare la fine del colloquio.

E comincia l'attesa del prossimo incontro. E' incredibile quanto è lungo questo tempo: la settimana non passa mai, i minuti diventano mesi, le ore anni... E quando finalmente vedi i tuoi cari, un'ora sembra ridursi a un minuto.

 

DOMANDINA

[Dal vocabolario: Diminutivo di " domanda", quesito /richiesta scritta]

La domandina è il modulo 393 dell'Amministrazione Penitenziaria, col quale i detenuti possono comunicare le loro esigenze all'Amministrazione. Si imbuca in un apposito contenitore dal quale lo scrivano del reparto la preleva e la consegna al capoposto di giornata che, dopo averla visionata, la timbra controfirmandola e la porta di persona alla Direzione che, a sua volta, decide di autorizzare o no la richiesta. In altre carceri è l'agente di sezione che, durante la conta serale, ritira dalle celle domandine e posta.

Si fa la domandina per ogni cosa, a cominciare dall'acquisto di prodotti nella lista del sopravitto: vestiario, detersivi, profumeria, farmaci extra o beni alimentari non previsti nella spesa ordinaria, ecc.; ma anche per telefonare ai parenti a casa, parlare con l'avvocato, ovviamente a spese proprie, chiedere un colloquio con l'educatore, l'assistente sociale, il cappellano; oppure per ordinare libri in biblioteca, recuperare un oggetto al casellario, avere il modulo del telegramma da spedire, ecc... Si fa pure per far uscire dal carcere e far arrivare ai propri cari, in particolare figli, dei prodotti costruiti dai detenuti: piccoli oggetti prevalentemente di legno, come violini in miniatura, barchette, macchinine sul modello della Ferrari e carrettini siciliani, nonché scudetti vari con i simboli delle squadre di calcio (la Roma, l'Inter ecc.). Tutti questi piccoli lavori artigianali sono fatti dai detenuti con il materiale comprato da loro stessi (sempre tramite domandina) e sono un momento di orgoglio e di soddisfazione, nonché di aggregazione e di conforto. Lo sconforto e la delusione si avvertono, invece, quando l'assistente penitenziario addetto alla verifica dell'autorizzazione delle domandine trasmesse dice all'interessato che la sua domandina non c'è: "non è pervenuta", molto probabilmente si è smarrita, "riprovi la prossima settimana!".

Insomma, senza domandina non si può avere nulla, perché il detenuto può solo chiedere e aspettare di ottenere, e non c'è nulla che possa essere dato per acquisito: ogni volta, anche più volte, si deve ripetere la richiesta, che può essere accettata o respinta, a seconda del responsabile di turno, o ignorata o persa. E' l'emblema di un sistema che nega l'assunzione di responsabilità e rende dipendenti dall'autorità: una parola "graziosa" da asilo infantile.

 

MERCEDE

[Dal vocabolario: Retribuzione, salario, paga. / Ricompensa, premio]

E' la retribuzione per il tipo di lavoro che si svolge all'interno del carcere. Si chiama così perché si tratta di un lavoro "atipico" che svolge una funzione fondamentale tra gli elementi del trattamento rieducativo. Comunque non può essere inferiore ai due terzi del trattamento economico previsto dai contratti collettivi di lavoro per attività similari. Alla mercede viene detratta, per i detenuti definitivi, una quota, non superiore ai 2/5, per le spese di  mantenimento in carcere.

Se si escludono i pochi lavori che si fanno con delle cooperative esterne, gli altri vengono svolti per poche ore al giorno e la paga è scarsa. Arrivati a metà mese già bisogna fare domandina per svincolare un po' di soldi dal fondo. Ma, attenzione, i soldi non possono circolare, neanche 1 euro, sarebbe motivo di rapporto, vengono sempre depositati sul libretto personale.

 

NUOVO GIUNTO

[Espressione peculiare del carcere]

Si chiama in questo modo la persona appena arrestata, che deve essere immatricolata e poi alloggiata. Esiste un Servizio Nuovi Giunti, un'attività di accoglienza che prevede visita medica, colloquio e presidio psicologico. Già la definizione mette in evidenza che si è entrati in un mondo diverso, in cui ha inizio l'adattamento a una nuova vita e anche il lessico usuale dovrà essere abbandonato.

  • Il primo giorno

Cammino per un lungo corridoio con un grande sacco nero in spalla e uno più piccolo in mano; dentro, la roba che la guardia giù in matricola mi ha permesso di tenere e portare nel reparto. Scortato dall'agente che con passo svelto mi fa strada, mi sento confuso, ripenso alle formalità sbrigate in matricola, all'indifferente efficienza con cui mi hanno fatto spogliare e rivestire, mi hanno assegnato al reparto e dato la fornitura (lenzuola, coperte, ecc.) con l'ammonimento: "Non te le perdere e non le rovinare, se no ti verranno addebitate".

I sacchi pesano, mi viene un po' di fiatone mentre seguo l'agente, ma non è solo per la fatica. E' la prima volta che entro in un luogo come questo. Chissà dove mi mettono? Chi troverò in cella?

"Sbrigati!" mi dice l'agente. E io allungo il passo: corridoio ampio, cancello, corridoio più stretto, altro cancello e ancora corridoio. Di fronte all'ultimo cancello con sopra la scritta G 9 ci fermiamo. Sono quasi contento di essere finalmente arrivato. Dall'altra parte del cancello vedo avvicinarsi un altro agente (di turno all'atrio) con una grande chiave d'ottone, con cui apre il cancello. Entro nell'atrio e saluto educatamente, lui mi dà un'occhiata fugace e mi risponde a mezza bocca. Sarà stufo di aprire e chiudere 'sto cancello. Mi dicono di posare i sacchi e di aspettare in un angolo. Li sento parlare: "questa è piena... questa è da 6... primo piano no, ecco, qua... cartellino... scrivano...". Guardo il soffitto, le ragnatele ondeggiano vicino a una finestra aperta; su delle mensole, dei trofei di tornei di calcio. Sento chiamare il mio nome: "Devi andare alla sezione A, cella 7. Prendi questo cartellino e dallo al collega alla rotonda".

Prendo il corridoio con la targa "Sez. A", lo percorro controllando i numeri posti in alto sulle celle: 22, 20... allora devo proseguire. Dall'interno delle celle occhi curiosi mi guardano, qualcuno avvisa: "carne frescaa". Arrivo al n. 7 e aspetto che l'assistente venga ad aprire la cella. Intanto un ragazzo si avvicina alle sbarre: "Vieni dalla libertà?". Gli faccio cenno di sì.

 


ORA D'ARIA

[[Espressione peculiare del carcere]

Indica il tempo concesso al detenuto da trascorrere all'aria aperta: almeno 2 ore al giorno, come  previsto dall'Ordinamento Penitenziario, o al mattino o al pomeriggio, a seconda degli istituti.

  • 1. Un po' di sole

08:30, sono sveglio già da un paio d'ore. Dopo la solita routine mattutina, sto aspettando che l'assistente venga ad aprire per l'ora d'aria.

L'apertura ritarda di dieci minuti, ecco che cominciano i primi strilli dei detenuti: "Ariaaa!... Docciaaa!". Automaticamente si innesca una sorta di braccio di ferro tra detenuti e guardie; più i detenuti strillano, più le guardie ritardano l'apertura e, per giunta, ogni volta che gridano "Aria", la guardia risponde: "Apri la finestra!".

Guardo l'orologio: le 08:40, finalmente le celle cominciano a essere aperte, alle 8:45 siamo tutti fuori, ansiosi di andare chissà dove, consapevoli del fatto che torneremo presto in quelle celle troppo strette e fredde, ma per due ore non ci si pensa.

All'aria c'è chi corre intorno al campo da calcio, chi fa su e giù sulle fasce, chi si allena e chi sta semplicemente seduto sulla panchina a fumarsi una sigaretta. Io, approfittando della bella giornata, mi siedo sulla panchina per prendere un po' di sole e guardarmi attorno: facce nuove e vecchie conoscenze passeggiano su e giù chiacchierando tra loro. Vengono affiancati dal solito scroccone in cerca di sigarette. C'è un vecchio che passa con un piatto in mano perché porta da mangiare a un gatto. Seduto al mio fianco c'è un ragazzo che parla da solo, lo guardo senza farmi accorgere e vedo che ha un orecchio mozzato e una testa piena di cicatrici da sembrare una cartina geografica. Il caldo tepore del sole mi fa dimenticare di essere in un carcere, chiudo gli occhi e sento solo il brusio delle voci di chi mi sta intorno, così la mente va...

Ad un tratto il tintinnio delle chiavi si fa sempre più forte e vicino, e mi riporta alla realtà: si sono già fatte le 10:30. Di solito la guardia apre il cancello e, portandosi le chiavi alla bocca, soffia nel buco della chiave producendo una sorta di fischio che indica la fine dei giochi e che bisogna tornare ognuno alla propria cella. Per me è il momento più brutto della giornata perché senza volerlo rientriamo tutti come un gregge di pecore nell'ovile, ammassandoci l'uno sull'altro, scalpitanti per tornare in cella, la stessa da cui due ore prima non vedevamo l'ora di uscire, perché sembrava fosse diventata troppo stretta.

  • 2. Il vascone

45? al mattino e 45? al pomeriggio: questo era il tempo consentito per l'ora d'aria, in quel carcere puzzolente dove per fortuna sono stato poco. Eppure ci si adattava: camminavamo avanti e indietro in un cortile di cemento, attorno a noi solo muri. Qualche chiacchiera, una sigaretta... e poi di nuovo in cella.

  • 3. Troppi, anche qui

Il reparto in cui sto io è diverso dagli altri perché qui i detenuti sono definitivi e si scontano pene lunghissime o ergastoli.

La cosiddetta ora d'aria è suddivisa in 2 momenti della giornata: al mattino dalle 8.30 alle 10.30, al pomeriggio dalle 13.00 alle 14.30. Si svolge in un campetto da calcio di 50 metri per 30, dove giocano 7 giocatori per squadra, c'è pure una sorta di campo da tennis. Di conseguenza lo spazio per quelli che vorrebbero solo camminare non c'è. In una rientranza, su 3 panchine in travertino sotto una tettoia, qualcuno si mette a sedere e guarda le partite di calcio o di tennis. La mattina è meglio, perché la maggior parte dei detenuti va a lavorare, quindi c'è un po' più di spazio per passeggiare. Qualcuno fa footing, ma questo non disturba perché corre attorno al perimetro del campetto.

Nei giorni di colloquio, la cosa più bella è lo scorcio che si può avere oltre l'inferriata, dove passano i familiari. Potendo vedere l'arrivo dei propri cari, all'aperto, si evita l'attesa ansiosa dell'agente che ti viene a chiamare in reparto, e questo ti dà tutt'altro stato d'animo.

 

PECULIO

[Dal vocabolario: Somma di danaro. / Nel diritto romano, somma di denaro che il capofamiglia affidava in amministrazione e godimento al proprio figlio o schiavo]

E' costituito dalla mercede più il denaro posseduto dal detenuto al momento dell'incarcerazione o ricevuto da terzi. Si distingue in un fondo vincolato, 1/5 della remunerazione e in un fondo disponibile.

E' buffo leggere oggi nei regolamenti questa parola antica.

 

PORTAVITTO

[Non esiste nel vocabolario. Si trova solo "portavivande": cesta, carrello atto a trasportare, conservandoli caldi, cibi già pronti]

  • Serve la matematica

Il portavitto distribuisce colazione, pranzo e cena, rispettivamente intorno alle 8, alle 11.30, alle 18 (ma l'orario può variare tra gli istituti). Non che sia un lavoro faticoso fisicamente, anzi, ma è impegnativo perché bisogna riuscire a distribuire porzioni di vitto uguali per tutti. Impresa non facile a causa delle rigide indicazioni del regolamento sulle quantità e grammature.

Esempio. Oggi il menù prevede: pasta al pesto, polpette al forno con finocchi lessi, frutta. Prima porto pane, frutta, secondo e contorno; a distanza di un'ora porterò la pasta. Non so perché, ma qui è così: il primo viene dato dopo, probabilmente per problemi organizzativi della mensa.

Sul biglietto posto su ogni contenitore c'è scritto: Sezione C, 50 detenuti = polpette 250 pz. Comincio a sudare! Faccio il calcolo: devo dare 5 polpette a testa grandi come un tappo di bottiglia; i finocchi invece sono 6 kg, quindi poco più di 1 etto a testa. Mi faccio il segno della croce e parto armato di pinze per vivande e mestolo.

Mi fermo alla cella 18: 6 persone. "Vittooo: polpette e finocchiii!" Prendo il contenitore e comincio a contare: 1, 2, 3, 4...

"Senti", mi interrompe un detenuto "dopo cosa passano da mangiare?"

"Non lo so" rispondo per non farmi distrarre, però intanto ho dimenticato a che punto ero arrivato col conteggio delle polpette. Ricomincio da capo: 1,2,3...

"Scusa, mi fai un favore? Mi metti un po' più di sugo, se c'è?".

Mi fermo, sospiro infastidito e continuo a contare: ... 28, 29 e 30! Saluto e passo alla cella successiva.

"Vittoooo". Conto altre 30 polpette. Mi sento chiamare dalla cella 18: "A Pinoo, c'hai dato 2 polpette in meno!"

"Ho perso di nuovo il conto. Sconsolato lascio cadere le pinze, guardo avanti e vedo che mancano ancora 6 celle, devo affrettarmi. Fra un'ora dovrò ripassare per il primo. Meno male che sono solo mestolate!

C'è qualche detenuto che non prende il pasto "al carrello" perché preferisce cucinarselo in cella col fornelletto da campeggio, allora qualche volta capita che chieda al portavitto di passare un piatto a un amico di un'altra cella, ma senza farsi accorgere perché è vietato.


SALETTA

[Dal vocabolario: Diminutivo di sala, locale spazioso destinato a usi di riunione, rappresentanza...]

E' un luogo, un po' più ampio di una cella, nel quale, a ore prestabilite del giorno, è possibile ritrovarsi in gruppo per fare giochi, soprattutto quello delle carte, e altro.

(V. Socialità e Sovraffollamento)

 

SCOPINO

[Dal vocabolario: Sinonimo regionale di Spazzino: l'addetto alla spazzatura delle strade]

E' l'addetto alla pulizia degli spazi comuni: docce, corridoi, salette... In genere viene svolto a turno dai detenuti, per dare a tutti la possibilità di lavorare un po'. Siccome può circolare, spesso è anche colui che porta da cella a cella qualcosa: un caffè, un foglio....

  • 1. Ripulire tutto

Nella mia sezione questa mansione la svolge Francesco, un ragazzo, anziano, un uomo, visto che ha quasi cinquant'anni. Per questo e per il suo carattere conciliante pronto ad armonizzare persone o cose contrastanti, ogni tanto impreca perché i suoi sforzi di mantenere la sezione pulita vengono sistematicamente disattesi dagli abitanti della stessa per menefreghismo, come se lo spazio condiviso non gli appartenesse. E per spazio si intendono anche i locali doccia e barberia.

Francesco è una persona riservata, sicuramente reagisce all'esaurimento e alla stanchezza, dovuti ai tanti anni trascorsi in questi luoghi. Mi dice: "Ormai mi sto facendo vecchio e sono stanco, ogni giorno di più". Poi si mette a scherzare e aggiunge che Pulcinella, scherzando, scherzando, dice la verità! La sera lo rivedo andare su e giù nella sezione con scopa in mano, guanti di gomma gialli, secchi e sacchetti, a raccogliere rifiuti e pulire... Come a cancellare la giornata trascorsa.

  • 2. 3 ore al giorno

Il mio lavoro è quello dello scopino: faccio le pulizie nelle sale per i colloqui, dove i familiari incontrano i detenuti. Siamo in due, cominciamo alle 8:00 e terminiamo alle 11:00. La cosa più piacevole è il caffè che ci prendiamo all'inizio, quando l'addetto al rifornimento della macchina distributrice di bevande, un esterno, ce lo offre come ricompensa per il fatto che buttiamo noi i cartoni in vece sua. Dal magazzino degli attrezzi prendiamo scope, stracci, palette e scopettoni e cominciamo.

La prima operazione è quella di mettere in ordine la sala d'aspetto, al cui interno ci sono quattro bagni. Poi passiamo alle sale dove si svolgono i colloqui, che sono in tutto 16, ognuna contiene fino a 5 nuclei familiari composti da 1 fino a 4 adulti più 2 bambini.

All'ora di ingresso dei familiari, siccome a noi è vietato l'incontro, dobbiamo rientrare nello sgabuzzino e aspettare che siano passati tutti. Quando questo è avvenuto e le porte delle varie sale sono chiuse, noi possiamo uscire dallo sgabuzzino e continuare il lavoro, cioè lavare i pavimenti del corridoio. Capita talvolta che alla fine del lavoro l'agente ci faccia pulire nuovamente il pavimento sporcato da qualche bevanda caduta.

La mercede, cioè il salario, è di 180 euro al mese, da cui si devono sottrarre 50 euro per il mantenimento carcerario e 30 euro per il fondo vincolato, somma che poi sarà restituita al fine pena. Certo è poco ma sempre utile per la mia famiglia.

 

SCRIVANO

[Dal vocabolario: Chi esercita il mestiere di scrivere o copiare per conto di altri; addetto alla stesura o copiatura di atti e documenti]

  • Parola antica

La parola evoca personaggi secondari di romanzi dell'Ottocento e del secolo scorso: impiegati col manicotto nero per proteggere le maniche delle giacche, che copiavano per ore e ore, testa china e dita intirizzite dal freddo. Ora quella funzione di trascrizione e copiatura viene svolta dal copista e la parola sopravvive solo in carcere.

Dotato di un livello d'istruzione generalmente superiore alla media degli altri, lo scrivano aiuta a redigere le domandine (soprattutto gli stranieri), a scrivere le istanze da presentare al Tribunale, a spiegare il contenuto delle sentenze, spesso di difficile comprensione. La mattina, per prima cosa, chiede alle guardie che stanno finendo il turno di lavoro o lo stanno iniziando se c'è un nuovo detenuto da sistemare. Va nella sua stanza, si siede davanti al computer e inizia a visionare tutte le tabelle detentive per aggiornarle, controlla chi è liberante (cioè chi sta per uscire) o chi deve andare a fare qualche processo. Più tardi gira per le celle a chiedere se ci sono richieste. Insomma è un lavoro utile, che fa sentire importante chi lo svolge, infatti molti detenuti gli offrono il caffè o altre cose.

Le richieste sono di tutti i tipi, dalle domandine con su scritto: "voglio lavorare", "mi serve lo zampirone", alle domande di spiegazione sul funzionamento della legge, quindi deve avere una grandissima pazienza.

Un altro dei compiti dello scrivano è quello di preparare le liste dei detenuti selezionati per partecipare a qualche evento. Ad esempio, una volta al mese si fa la messa nella chiesa centrale del carcere, allora l'ispettore va dallo scrivano e gli dice: "Preparami una lista per la messa, massimo 20 detenuti". Quali criteri seguire per fare questa lista? I detenuti che vorrebbero andarci sono tanti (nel mio reparto ci sono 200 presenze) e gli esclusi si lamentano che vengono scelte sempre le stesse persone.

Un ragazzo tempo fa ci ha litigato perché gli aveva chiesto di preparargli l'istanza per poter presenziare in tribunale, lui gli ha detto di sì ma poi non l'ha fatto.

"Ma come?" ha protestato "M'hai fatto saltà ‘l processo!".

"Eh... mo' che vòi, me sò dimenticato" ha risposto lo scrivano. "Ma poi, che te frega, c'hai tanto tempo ancora da stare qua..."

"Brutto s.... Fai solo casini!"

Ma il litigio è finito subito. Gli agenti erano là vicino.

 

 

SINTESI

[Dal vocabolario: Procedimento o atto conoscitivo, che, partendo da elementi semplici e parziali, giunge a una  conoscenza complessa e unitaria]

È una relazione che sintetizza l'osservazione scientifica della personalità e del comportamento del detenuto durante il trattamento. Viene fatta da un'apposita équipe (educatore, assistente sociale, ispettore comandante ed eventuali altre figure) ed è necessaria al Magistrato di Sorveglianza per valutare se concedere dei benefici (permessi premio e misure alternative: semilibertà, affidamento ai servizi sociali o lavorativi...).

E' tanto tempo ormai che aspetto questa sintesi, e a me pare che non si seguano gli stessi criteri per tutti, perché, a parità di condizioni, c'è chi esce prima e chi dopo. In alcuni casi sembra che si siano dimenticati del detenuto e se uno non ha famiglia o non ha un avvocato bravo che lo segue può aspettare all'infinito. Ciò vuol dire che ci sono detenuti di serie A e di serie B, e questa non è giustizia!

(V. anche Trattamento)

 


SOCIALITA'

[Dal vocabolario: Tendenza umana alla convivenza sociale. / L'insieme dei rapporti tra gli individui che fanno parte di una società o di un ambiente determinato]

Indica il tempo da trascorrere in compagnia all'infuori delle attività di lavoro o di studio, per esempio nel momento della cena. Ai detenuti è concesso di  fare socialità nelle celle, riunendosi in piccoli gruppi. Si consuma il pasto insieme, si offre qualcosa del cibo portato dai familiari, si chiacchiera. Si può fare socialità anche nella saletta, se non è stata adibita a cella a causa del sovraffollamento. (V. anche Sovraffollamento o Saletta)

 

SOPRAVVITTO

[Dal vocabolario: Vitto sostitutivo o aggiuntivo dei pasti ordinari, che il recluso si procura a proprie spese]

E' uno spaccio interno in cui si può comprare di tutto, come in un supermercato: carne da cucinare, biscotti, frutta, formaggio, vino in cartone da 250 cl., caffè, detersivo, sigarette, pentole, bombolette di gas, ecc. Solo che i prezzi di alcuni generi spesso sono più alti di quelli di mercato, tanto il cliente detenuto non può protestare.

Gli acquisti vengono fatti tramite le liste compilate dagli spesini sulla base delle richieste dei detenuti e consegnate all'ufficio preposto.

 

SOVRAFFOLLAMENTO

[Dal vocabolario: Eccessiva presenza di folla in un luogo circoscritto. Il prefisso sovra- indica: cosa che sta sopra un'altra, aggiunta, superamento di un limite.]

  • Un esempio

La saletta ping pong, che dovrebbe essere un luogo adibito a fare socialità, in realtà viene utilizzata come camerone dove in 30 m.q. convivono 14/15 persone. Calcolando che, oltre al bagno, ci sono i letti (2 m. per 80 cm. a testa) e un tavolo (1,5 m.q.), ciò che rimane è a malapena lo spazio per stare in piedi.

Io che ho passato molti anni in carcere ne ho visto le trasformazioni. Un tempo, nella saletta ricreativa si poteva giocare oltre che a ping pong e a carte, anche a biliardino, o si poteva vedere insieme la televisione. Ora è diventato un magazzino umano, dove si stipano una ventina di detenuti di ogni nazionalità e condizione. Le celle destinate a quattro detenuti ne contengono sei (ma talvolta anche di più). Prima c'erano molti tipi di lavoro e ovviamente molti più lavoranti: il panettiere, il falegname, il sarto... Ora il lavoro è scarso.

 

SPESINO

[Non esiste nel vocabolario]

Sono due per reparto: il primo spesino raccoglie le richieste di spesa dei detenuti trascrivendole su un apposito modulo (mod. 72) o su un foglio e le passa all'ufficio preposto che poi provvederà all'acquisto nel sopravvitto; il secondo prende in consegna la merce acquistata e smistata per sezione, e la recapita al detenuto.

  • Liste della spesa

Quando rientro in cella dopo l'ora d'aria, vedo i due spesini indaffarati tra fogli di richieste e roba da mangiare accatastata su di un carrello a tre piani. Quasi tutti i giorni li vedo litigare per chi deve chiamare la spesa segnata e chi la deve consegnare cella per cella. Mi fermo a guardarli perché sembrano un duo comico!

Marco, un ragazzo sulla trentina, alto, magro, con un marcato accento romano, un po' pasticcione e la testa fra le nuvole, distribuisce un prodotto per un altro, e alla fine della giornata gli manca sempre qualcosa. Nonostante questo, però, è ben voluto da tutti, simpatico com'è! Gigi, un uomo sulla cinquantina, è l'opposto di Marco, il suo principale difetto è che si sente superiore, convinto che tutto quello che lui fa è il modo giusto, e per giunta è scorbutico e spocchioso.

I carrelli cominciano a camminare per la sezione, si fermano alla cella 4, una cella singola dove c'è Claudio, l'idraulico, un omone strabico. Gigi comincia a chiamare la spesa: "Zucchero: 1 (sottinteso: confezione). Farina: 1. Uova: 2. Gas: 2. Cartine e basta. Andiamo avanti".

"Cella 5. Gas... zucchero...". Viene interrotto da Claudio: "Senti un po', ma il caffè non me l'hai lasciato?"

"Io ti ho lasciato quello che Gigi ha chiamato. Chiedi a lui!"

"Gigi, ma il caffè?" chiede Claudio.

"Qui non c'è segnato, forse c'è stato un errore al computer quando la guardia ha passato i dati sulla chiavetta".

"Senti Gigi,  sta scusa è vecchia, ogni volta me manca qualcosa, mo' il gas, mo' le sigarette. Di' che te sei scordato e fai prima! Mo' come faccio sta settimana senza caffè? Lo sbaglio è tuo e me lo rimedi, fa come te pare, non me ne frega niente".

Gigi si arrabbia: "Visto che parli a stò modo, mo' stai bene così. Il caffè non te l'ho segnato. Se hai qualche problema vai dalle guardie e diglielo".

Si gira e continua a chiamare la spesa tra un borbottio e un altro, come suo solito. Claudio rimane senza parole dietro le sbarre, e senza caffè! Nel frattempo la guardia ha finito di chiudere tutte le celle e, sentita la discussione, passa vicino a Gigi, chiede cosa è successo e se c'è qualche problema. Gigi con prontezza risponde: "Niente, niente, assistè" alzando le spalle e indicando la cella di Claudio per far capire che chi ha sbagliato è Claudio, non lui che invece è quello bravo che sorvola facendo il suo dovere in modo integerrimo.

Rimango perplesso per questo comportamento e penso a cosa avrei fatto io al posto di Claudio di fronte a tanta strafottenza. A volte, pur avendo ragione, un detenuto è costretto a subire prepotenze o soprusi da parte di altri detenuti che si sentono superiori perché stanno dalla parte delle guardie. Questo modo di comportarsi rende ancora più difficile la vita qui dentro.

 

TERAPIA

[Dal vocabolario: In medicina, studio e attuazione concreta dei mezzi e dei metodi per combattere le malattie / In usi figurati, provvedimento per porre rimedio a condizioni di dissesto o scadimento materiale]

Con questa parola si indica la somministrazione controllata di farmaci.

  • Tra film e realtà

"Medicina, prego", dice l'infermiera Pilbow interrompendo la partita a carte. Sono a letto e guardo  il film in tv, mentre gli altri giocano in un silenzio sonnolento. Sul fornelletto qualcosa sta bollendo per la cena.

"Terapiaaa..."

La voce mi arriva ovattata e lontana. Sdrududumm... all'improvviso rumore tutti si agitano e io mi sveglio del tutto. Hanno abbandonato le carte e parlano eccitati.

"Che c'hai segnato, tu?''chiede Occhioni a Martini.

"Io ho 50 gocce, 2 tavor, 1 alcium e un remeron" dice soddisfatto, "tu invece?"

"1 seroquel, 1 xanax e 100 gocce".

"Come 100? Non ne prendevi 60?"

"Sì però ho parlato con lo psichiatra e me le sono fatte aumentare perché sto male e non dormo".

"Terapiaaa" . A mano a mano che la voce si avvicina, aumentano le voci e il trambusto.

"Che succede?" chiedo. E' la prima sera del primo giorno di carcere della mia vita.

"E' la terapia", mi dice Occhioni (non so ancora se è il cognome o un soprannome per via degli occhi da ipertiroideo). "Tu hai segnato qualcosa?". "Ah, sì" ricordo, "il Gaviscon... soffro di acidità..."

Le loro risate m'interrompono, come se avessi fatto chissà quale battuta. Scendo dal letto e mi avvicino alle sbarre. Come richiamati dal pifferaio magico, i detenuti si sono avvicinati contemporaneamente alle inferriate delle celle, braccia tese si sporgono, mani stringono bicchieri, mugugni

Sdrududumm sdrududumm ... Il carrello, spinto da un'infermiera e da un agente, sta avanzando. Quando  giunge alla saletta, uno spazio poco più grande di un comune ascensore, dieci quindici persone si accalcano e iniziano a bombardare l'infermiera  pronunciando il proprio nome: chi vuole più gocce, chi ha cambiato reparto, chi non ha la terapia assegnata ma la vuole ugualmente. Sembra che tutti abbiano problemi d'insonnia e attacchi di panico.

L'infermiera, una donna più larga che alta, con una mania per i profumi che sembra un tester ambulante, comincia a chiamare il primo: "Rossi, il bicchiere! Le vuoi le gocce?". Gli porge le pasticche che vanno prese a vista e poi mette le gocce nel bicchiere. "Bianchi!" Stessa operazione.

"E pure per te il solito", dice la donna rivolta al tipo che somiglia al Martini interpretato da Danny De Vito in Qualcuno volò sul nido del cuculo. Lui le si avvicina e con aria confidenziale le chiede: "Siccome oggi ho fatto il colloquio, mi dai un po' di gocce in più?"

"Oggi è domenica e i colloqui non si fanno". Tutti scoppiano a ridere e qualcuno grida: "Martini, sei il solito genio!".

Alla fine, sempre accompagnato da quel suono sdrududumm sdrududumm, il carrello della felicità va via.

Ritornati dentro la cella, gli altri sputano le pasticche e le dispongono ordinatamente sul tavolo. Poi riprendono a giocare, mentre io ritorno al film.

"Carta a me Mc, carta a me", dice Martini.

"Ma la posta minima è 2 euro! Cioè un Romeron o mezzo seroquel o quattro tavor" dice McMurphy Nicholson mostrando una pillola.

"Allora punto 1 euro!" dice Martini tagliando in due la pillola.

Nicholson Mc Murphy spiega pazientemente: "Martini, un romenon vale 2 euro, ma se la spezzi non vale più un cazzo, capito?".

"Sì, Mc.... Carta a me. A me".

McMurphy: "Tu non capisci proprio un..."

Inizio a ridere e mi sveglio del tutto. Il film è ai titoli di coda, il fornello è spento, tutti sono nelle brande. Occhioni, ancora sveglio, fa il riepilogo della giornata: questo l'ho fatto, quest'altro pure l'ho fatto, e io sto fatto. E poi si addormenta.


TRATTAMENTO

[Dal vocabolario: Applicazione di determinati metodi e processi a cui si sottopone un materiale o un prodotto per conseguire determinati effetti. Es.: Trattamento delle pelli, di dati, di fine rapporto, di un soggetto cinematografico. /   Trattamento Sanitario Obbligatorio di persona affetta da malattia mentale.]

L'O.P. prevede che nei confronti del condannato sia attuato un trattamento rieducativo che tenda al reinserimento, ma la scelta stessa di questa parola rimanda a una visione del detenuto come persona affetta da una malattia, che deve essere monitorata attraverso l'osservazione scientifica e "trattata" con particolari interventi di riabilitazione (istruzione, lavoro, religione, attività culturali, ricreative e sportive).

Ovviamente con il sovraffollamento il "trattamento" riguarda un numero ridotto di detenuti.

(V. anche Sintesi)


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Numero dei detenuti presenti su 43084

61.481 detenuti
il 7/2/2014


Osservatorio sulla contenzione
a cura di Grazia Serra

  
   

   
    a cura di Francesco Gentiloni

" Il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri"
Voltaire

 


Relizzazione tecnica: Emiliano Nieri
Progetto grafico: Enrico Calcagno, Daniele Funaro - AC&P - Aurelio Candido e Partners
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