Un altro caso Cucchi
Luigi Manconi Un altro caso Cucchi, forse peggio del caso Cucchi. Questo è il primo pensiero che viene quando ci si trova a dipanare la vicenda di violenza e di morte di Giuseppe Uva, 43 anni, per quasi tre ore in balia di un gruppo di carabinieri e poliziotti all’interno di una caserma, nella città di Varese. Violenze, forse sevizie e, poi, il Trattamento sanitario obbligatorio (TSO) nel reparto di psichiatria di un ospedale varesino: qui, a Uva fermato in stato di ebbrezza vengono somministrati farmaci che ne determinano la morte. Responsabilità gravissime delle forze dell’ordine e responsabilità di medici, quest’ ultimi non sappiamo se incompetenti o semplicemente criminali. Come associazione A Buon Diritto portiamo a conoscenza dell’opinione pubblica questa vicenda, a poche ore di distanza dalla notizia che un altro caso di morte in carcere rischia di venire insabbiato. La procura di Livorno ha chiesto l’archiviazione del procedimento sulla fine di Marcello Lonzi, trovato cadavere nella sua cella, con evidenti segni di violenze sul corpo, incredibilmente attribuiti da periti superficiali e magistrati frettolosi a una “caduta accidentale”. Si può notare, in primo luogo, che ad avvicinare tre storie tanto simili c’è un ulteriore dato: compare sempre una figura di donna, sorella o madre – Ilaria, Lucia, Maria – che, sola, riesce a rompere il muro del silenzio, facendo del proprio dolore privato un’occasione di denuncia pubblica. E questo fatto, proprio per la forza primaria che esprime, evidenzia la debolezza di chi – invece – non interviene e non urla: innanzitutto, la politica. Che dovrebbe avere a cuore la tutela dei diritti del più debole (tossicomane, immigrato, detenuto), nella consapevolezza che la lesione delle tutele per quest’ultimo produce la riduzione delle garanzie per tutti. C’è, poi, un problema grande come una casa. il nostro è uno stato di diritto, dove le forze dell’ordine hanno giurato fedeltà alla Costituzione e hanno conquistato, faticosamente e contraddittoriamente, una coscienza democratica. Le forze dell’ordine, oggi, sono “forze democratiche” in genere rispettose della legge: ma – al loro interno – resistono e si riproducono zone segnate da forti pulsioni autoritarie e da tendenze alla sopraffazione e, in determinate circostanze, al sadismo. Lo si è visto, sciaguratamente, nel corso dei fatti del G8 di Genova, nel 2001, e lo si vede (ma più spesso lo si intuisce o lo si teme) qua e là, in una caserma, in un centro di identificazione ed espulsione, nella cella di un carcere. Per combattere quelle tendenze contenerle e infine eliminarle, si deve partire da qui: dalla verità su Stefano Cucchi, Marcello Lonzi e Giuseppe Uva. |
- Pubblichiamo il racconto di Antonio Argentieri, apparso sul sito www.terramara.it, in cui denuncia un pestaggio subito da alcuni agenti del carcere di Arezzo nel 2004
- Pubblichiamo una serie di lettere inviate da detenuti a Radio carcere, trasmissione settimanale a cura di Riccardo Arena, su Radio Radicale
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