SE non se ne esce vivi...le responsabilità
Marga Esposito
E’ stato pubblicat da “il Saggiatore” il libro “Quando hanno aperto la cella. Stefano Cucchi e gli altri” di Luigi Manconi e Valentina Calderone, prefazione di Gustavo Zagrebesky.
Gli autori, già separatamente –presso Rai 3, Manconi a chetempochefa il 7 maggio e Calderone a linanotte l’11- e poi insieme (presso la sede di Piazza Venezia in Roma dell’associazione Civita, in una tavola rotonda con, Ilaria Cucchi, la Bonino, Marino Sinibaldi, presenza scritta della Bindi) hanno esposto con determinatezza e gravità di ragioni, l’entità delle motivazioni politiche ed umane della loro fatica. Si tratta di racconti esemplari, ricostruiti in primis dai componenti delle rispettive famiglie delle vittime, che aprono uno squarcio su una delle piaghe sociali più scottanti ed omesse riguardo le violenze operate dalle strutture detentive (Ospedali Psichiatrici Giudiziari per i sottoposti a Trattamento Sanitario Obbligatorio e Carceri) nei riguardi dei detenuti e di cui poco si divulga il numero sconvolgente dei suicidi, più elevato in percentuale nelle fasce in giovane età, soprattutto a causa dell’ illecita afflizione subita e, in alcuni casi, gratuita poiché l’unica pena lecita, costituzionale, dovrebbe essere la privazione della libertà per mettere i rei o coloro in attesa di giudizio, in condizioni di non nuocere a sé stessi e/o al prossimo. Sono stati citati o letti –dal’attrice Anna Bonaiuto- pubblicamente alcuni casi osceni come quelli di Francesco Mastrogiovanni (sotto T.S.O. per 81 ore costretto illegalmente in un letto di contenzione) e di Katiuscia Favero (prima in O.P.G. e poi in casa di reclusione) inspiegabilmente suicida ad una settimana dall’uscita. Si prende in esame proprio il tratto dell’oscenità nell’originario significato di fuori della scena del non poter mettere in scena la Tragedia che non si sostiene emotivamente e per cui si mette in atto un processo di Rimozione anche pubblica, letale per l’ambito istituzionale. Il libro prepara, conduce a, e confida in una presa di coscienza collettiva fondamentale: in uno Stato dal Sistema di Governo Democratico, l’Istituzione che detiene il cittadino, se ne assume la responsabilità penale, quindi l’assoluta Tutela dell’incolumità fisica e se viene meno al suo compito non assolve a quello di uno Stato di Diritto; queste storie sono avvenute in uno spazio vuoto in cui impera l’illegalità perché nessuna legge sembra vigere, quel vuoto di Diritto di una democrazia lacunosa che perde, in questi casi, di legittimazione. Nel vuoto di diritto avviene una riproducibilità di resistenze ed un vuoto di informazioni che quindi non passano, solitamente riguardo le procedure da affrontare come diritto dei cittadini in detenzione e delle loro famiglie, tutti loro sono così sottoposti ad uno spiazzamento senza decenza civile. Manconi afferma con severa convinzione che il sistema democratico può “salvarsi” abbattendo la retorica delle “mele marce” celante responsabilità individuali, sulla linea di una pericolosissima omertà istituzionale; infatti, insieme alla coautrice, sostiene che questo libro non vuole essere una generica denuncia ma è un libro sulla Democrazia, di incitamento ad indagare ed individuare nomi, cognomi, identità e ruoli dei responsabili fattuali dei vuoti di democrazia e di diritto avvenuti nel nostro Stato. In questa precisa operazione si avvale della volontà di chi ha spezzato la catena del silenzio: i parenti delle vittime, come testimonia la presenza di Ilaria Cucchi, soprattutto donne, persone che con una forza, preziosa, rara, rivoluzionaria, sono riuscite a trasformare il dolore -sostenendone il peso, guardando diritto il volto della tragedia, superandone la rimozione- in funzione sociale e umana, nella prorompenza della denuncia. In proposito si direbbe sembri troppo diplomatica l’affermazione che non si tratta di un libro contro qualcuno ma solo un libro sul Sistema Democratico.
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