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Fulvia risponde
di Fulvio Abbate

Cara Fulvia,

in carcere molte persone che mai erano entrati in una chiesa o che  vi erano entrate nei primissimi anni di vita o che vi erano entrate per scippare qualche vecchina, scoprono Dio. Io, da giovane, ero della GIAC (gioventù italiana di azione cattolica), poi mi sono dedicato a tutt’altro, ma ora – con la prospettiva di una dozzina d’anni di galera – la penso così: e se magari poi  c’è davvero? Oltretutto, qui non c’è molto da fare, e avere qualcosa a cui dedicarsi aiuta a non impazzire. Dopodiché mi è forse successo qualcosa anche dentro e ho cominciato a dedicarmi un po’ alla volta anche alla mia anima, sempre che ci sia e che sia un’anima. Che ne pensi?
Grazie e ciao
Teodoro S. – Sulmona

 

Caro Teodoro,

l’idea di Dio, credo, è un concetto molto duttile, e per fortuna, per democrazia. Può infatti benissimo assumere la conformazione di ciò che altrove, cioè nei fumetti di Charlie Brown, prende il nome di “coperta di Linus”, un modo di cercare riparo, un modo di proteggersi. Forse in carcere più che altrove. Quasi che Dio (o dio, senza troppe maiuscole) “nella sua infinita bontà” avesse un occhio di riguardo anche per noi che non siamo sempre stati irreprensibili. Se l’idea è questa, sia la benvenuta. Non dimentichiamoci però che perfino i nazisti portavano scritto sulla fibbia della cintura militare “Got mit uns”, cioè Dio è con noi. Con chi sta, da quale parte, davvero il calore di questo nostro dio?


Un abbraccio da
Fulvia


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