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Un Esposito per esempio

di Luigi Manconi Andrea Boraschi

Il 24 giugno scorso, ad Asti, un uomo, viene notato dai Carabinieri per alcune manovre vietate a bordo di una Panda. Gli intimano l’alt, ma l’uomo non si ferma; ne nasce un inseguimento che i verbali riferiscono lungo e pericoloso, tra accelerazioni brucianti e incidenti evitati per puro caso. Finché la fuga non si interrompe; e pare che le prime parole dell’uomo all’indirizzo dei gendarmi siano state «Dovreste ringraziarmi. Vi ho salvato la vita perché volevano farvi un attentato».
Il buon senso dice che poteva trattarsi di un burlone; o di una persona disturbata o alterata. L’uomo al volante era Carlo Esposito, 41 anni, bidello in una scuola di Asti. È schizofrenico e in passato è stato ricoverato più volte nel reparto psichiatrico della sua città e sottoposto a un Trattamento Sanitario Obbligatorio, una misura che consente l'imposizione di terapie a soggetti affetti da disturbi mentali.
Il giorno dopo l’uomo viene condannato per direttissima a 26 mesi di galera per resistenza a pubblico ufficiale. Nessuno, al tribunale di Asti - né il pm, né il giudice, né il suo avvocato - solleva il dato clinico, la schizofrenia dell’imputato, invocando il vizio parziale di mente che gli consentirebbe di godere della sospensione condizionale. A Esposito viene comminata una pena molto dura – “esemplare”, qualcuno direbbe – specie se si considera la sua condizione di incensurato.
Con l’ingresso nel carcere astigiano di Quarto emergono evidenti i problemi di incompatibilità dell’uomo col regime detentivo. Esposito, oltre che schizofrenico, è diabetico, iperteso, obeso ed ha già avuto delle ischemie. Il quadro clinico non viene però ritenuto sufficiente al suo trasferimento in una struttura diversa; sarà piuttosto tradotto nel reparto psichiatrico delle Vallette, nel luglio scorso. Nei giorni successivi scrive alla madre e a un’insegnante della scuola presso la quale lavorava, denunciando di aver rischiato la vita e di aver avuto collassi in due occasioni per dosaggi sbagliati di farmaci e per cure inadeguate.
Infine, una sera di qualche giorno fa, verso le 20.30, l’uomo si sente male. Si reca in infermeria e mentre è in corso la visita ha una crisi cardiaca. L’ambulanza arriva ma tutti si rendono conto che le sue condizioni sono troppo gravi per il trasporto in ospedale. Morirà un’ora dopo.
Ora la procura di Torino ha aperto un fascicolo sul suo caso. Difficilmente l’indagine potrà dire quella che è una elementare verità: il carcere è anche il luogo dove si occulta la malattia, specie quella mentale; e questa rimozione, assai spesso, annuncia tragedie.
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il 7/2/2014


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Voltaire

 


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