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Ladri di bambini?
Luigi Manconi
“Le madri non sbagliano mai” Giovanni Bollea, 1913-2011
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Questa storia ha dell’incredibile. Racconta di Anna Giulia, che ora ha 5 anni, e di come talvolta la giustizia sia capace di distruggere delle vite anziché tutelarle. Anna Giulia non è sola, ha una mamma e un papà, e la storia inizia proprio con loro. Nel 2007, il pubblico ministero di Reggio Emilia chiede la perquisizione dell’abitazione di  Massimiliano Camparini e Gilda Fontana, alla ricerca di prove su un  traffico di sostanze stupefacenti. Il controllo dà esito negativo. La presenza in casa di Anna Giulia, allora di due anni, induce i carabinieri a inviare un’informativa al Tribunale dei minori, per segnalare “un presunto stato fatiscente dell’abitazione”. I Servizi sociali confermano, ma-evidentemente-senza alcuna verifica, dal momento che la realtà è diversa.La famiglia vive in una  villetta con giardino, pieno di giochi per la bambina. E, tuttavia, la procedura va avanti d’ufficio senza ulteriori controlli e colloqui con i diretti interessati. Il 23 giugno 2008 la decisione del Tribunale: Anna Giulia deve essere affidata a un istituto. I genitori sono pericolosi? tossicomani? No. E i colloqui effettuati con gli psicologi dei servizi sociali consentono di valutare positivamente le loro “capacità genitoriali”. Nel corso dell’ anno, Massimiliano e Gilda hanno regolari incontri con la figlia, sempre sotto l’osservazione dei servizi sociali di Reggio Emilia.E il responsabile dei servizi, in un colloquio con il legale dei genitori, Francesco Miraglia,afferma che la bambina deve tornare subito in famiglia. Non la pensa così il giudice minorile, che si oppone fermamente. I genitori non capiscono: hanno un lavoro, una casa, non sono violenti né tossicomani e, soprattutto, il rapporto con la figlia è ottimo. Inascoltati da tutti e disposti a qualunque cosa per riavere la loro bambina, decidono un gesto estremo. Nel marzo del 2010, portano via Anna Giulia dall’ istituto di suore dove si trova,e ne  danno notizia ai mass media (la trasmissione Chi l’ha visto  vi dedicherà molto spazio), evidenziando la finalità dimostrativa del “rapimento”:la bambina stava per essere affidata a un’ altra famiglia. Trascorsi cinque giorni, sono gli stessi genitori a riconsegnarla alle autorità. Vengono indagati per sottrazione di minore, ma restano fuori dal carcere, mentre dal Tribunale  arrivano altre, brutte, notizie. Il giudice ha deciso di non utilizzare la relazione dei servizi sociali, favorevole al rientro in famiglia della minore, e di disporre un ulteriore accertamento tecnico. I genitori, a questo punto, temono una nuova relazione a loro ostile e, dopo qualche tempo, con un’azione un po’ rocambolesca, portano ancora via la bambina dall’istituto(16 luglio). La loro fuga durerà una decina di giorni. Arrestati al confine con la Svizzera vengono  accusati di sequestro di minore, aggravato dalla parentela, e portati in carcere mentre la bambina viene accolta  in una residenza protetta.Nel corso della prima udienza del processo (dicembre 2010)ai due vengono negati gli arresti domiciliari. E si deve arrivare al 9 febbraio 2011,l’altro ieri, perché-finalmente-sia riconosciuta la loro non tossicodipendenza e siano concessi gli arresti domiciliari.Per il 23 febbraio è prevista la sentenza. Augurandoci che questa sia positiva, viene da  chiedersi: chi è stato veramente a tenere sotto  sequestro Anna Giulia in questi anni? Non è la sola domanda sollecitata da una simile vicenda. C’è, in primo luogo, una abnorme sproporzione tra i fatti attribuiti ai due genitori e la misura inflitta loro:una custodia cautelare, iniziata alla fine di luglio del 2010, che tutt’ora prosegue, pur se nella forma attenuata degli arresti domiciliari. Quando si parla di carcere, di sovraffollamento, di inutile afflizione ,si dimentica che in un numero rilevante di casi, tutto ciò si rovescia su  persone indagate o rinviate a giudizio per fattispecie penali non particolarmente gravi. O, come in questa vicenda, per ipotesi di reato tutte da contestualizzare, da correlare a precise circostanze, da ricondurre alle loro reali dimensioni. Ma emerge soprattutto un’altra e più crudele, contraddizione.Quando sono in gioco  legami primari e relazioni profonde, com’è possibile affrontarli con strumenti grossolani quali l’arresto e la detenzione?Com’ è possibile che la complessità e, spesso, la drammaticità di vicende familiari delicate siano affidate a mezzi inevitabilmente rozzi come la forza pubblica e la sanzione penale? Infine la vicenda rivela un risvolto inquietante: il perseguimento di mete virtuose(la tutela dell’infanzia, in questo caso) può produrre non raramente effetti rovinosi.
l'Unità 11 febbraio 2011
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61.481 detenuti
il 7/2/2014


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a cura di Grazia Serra

  
   

   
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