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Il caso Cucchi è politica, caro Pd

Luigi Manconi

Caro Segretario Bersani, cara presidente Bindi, come membro dell’Assemblea nazionale del Pd ho ascoltato con attenzione e piena condivisione le vostre relazioni e i vostri interventi di sabato scorso. Ho pensato, mentre parlavate, che avrei voluto sentir pronunciare, in quell’assemblea, un nome e un cognome che – se non sbaglio – non è stato detto da alcuno: quello di  Stefano Cucchi, il giovane romano morto la mattina del 22 ottobre scorso nel reparto detentivo dell’ospedale Sandro Pertini. Da due settimane, a quella vicenda, dedico pressoché tutto il mio tempo e le mie energie: tutta la mia politica, per come la so e la posso fare. Perché di questo si tratta: seguire questa storia tragica, cercare di raggiungere la verità, farne occasione per una riflessione pubblica è, in primo luogo, un’urgenza politica. Strettamente politica. Per questa ragione mi è dispiaciuto il fatto che personalità del Pd, alcune assai eminenti, non abbiano voluto raccogliere il mio invito a occuparsi di questa vicenda, a farne materia di interrogazioni parlamentari e soprattutto di iniziativa pubblica. Credo che, dietro tale atteggiamento (non attribuibile, certo, a indifferenza) vi sia un grave errore di valutazione.  Interessarsi della morte di Stefano Cucchi non ha a che fare  in alcun modo con i “buoni sentimenti” (quelli se ci sono, tanto meglio: ma non sono indispensabili) e nemmeno con virtù come la compassione e la solidarietà umana (preziose, ma anch’esse non irrinunciabili). Interessarsi delle cause e delle responsabilità della morte di Cucchi significa fare un discorso propriamente politico - istituzionale: perché lì, proprio lì, nell’agonia di una persona senza tutele e senza risorse, ridotto nelle parole di Carlo Giovanardi (e nei pensieri di troppi) a una “larva”, si rivela tutta la povertà della nostra vita sociale, del sistema della giustizia e dell’organizzazione sanitaria. Altro che “storia di carcere”, dunque altro che “una semplice questione di droga”. Nella vicenda di Cucchi si può scorgere nitidamente la fragilità di categorie che consideravamo intangibili, come l’habeas corpus e il diritto alla difesa legale sin dal primo momento di privazione della libertà; e la crisi delle politiche pubbliche e private per la cura delle dipendenze e le contraddizioni di un sistema sanitario, che oscilla insensatamente – e spesso senza alcuna capacità di pietas - tra accanimento terapeutico e, come nel caso di Cucchi, abbandono terapeutico. Forse mi sbaglio, ma come è agevole vedere, nella vicenda di un giovane romano, incredibilmente magro e incondizionatamente inerme, si trovano riflesse la nostra organizzazione sociale e la nostra attività politica, con tutte le sue impotenze e tutte le sue miserie. Caro Bersani, cara Bindi, vorrei che il mio partito, il Pd, fosse capace di elaborare un programma economico sociale all’altezza dei tempi e della crisi attuale; e fosse capace, allo stesso tempo, di individuare  la fitta trama di rapporti intercorrenti tra il  “caso Cucchi” e il sistema politico-istituzionale, e di farne materia di conflitto pubblico.    

Europa, mercoledì 11 novembre 2009
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