Quelli che non escono la sera di Margherita Ferrandino Intervista a Giuseppe Piccioni regista di Giulia non esce la sera, con Valeria Golino e Valerio Mastandrea Nel suo ultimo film “Giulia non esce la sera”, il personaggio interpretato da Valeria Golino è una donna condannata per omicidio che, dopo sette anni di carcere, ottiene la libertà vigilata per insegnare nuoto in una piscina. Perchè ha scelto di raccontare la storia di una detenuta? Nel film non c’è l’intenzione di denuncia né di inchiesta sul sistema carcerario, la scelta è unicamente complementare all’ altro protagonista della storia, interpretato da Valerio Mastandrea, uno scrittore famoso, refrattario alle passioni e ai sentimenti, che rimane coinvolto da una donna che vive una realtà molto particolare. Giulia ha ucciso un uomo per amore, ha causato un danno irreversibile ad altri ma anche a se stessa, la libertà vigilata non le permette di pensare a un ritorno in pieno alla vita e mi interessava scoprire se una donna come lei si aspetta ancora di innamorarsi nuovamente. Giulia, nel film, non prova più alcun interesse per nulla e dice che per lei “dentro” o “fuori” è uguale ma forse stare fuori le fa più paura perche’ per alcuni detenuti il carcere è paradossalmente protettivo rispetto all’esterno. Giulia è un personaggio che si giudica ancora prima che la giudichino gli altri ed è una donna che non si assolve…..atipico in un mondo dove si è sempre molto indulgenti con se stessi e, inoltre, non fa mercato del suo dolore, della sua storia, come succede spesso a chi decide di raccontare i propri errori nei libri o in tv. Che tipo di esperienza è stata per lei girare in un carcere ? Prima di scrivere il film ci siamo consultati con psicologi e operatori del carcere di Rebibbia perché ho scoperto che le regole sulla libertà vigilata cambiano a seconda dei luoghi di detenzione. Il film è stato girato nel carcere di Velletri in una zona riservata alle detenute in libertà vigilata, abbiamo anche parlato con alcune di loro e in particolare con una che aveva una storia simile a quella di Giulia e che ci ha ispirato nel modo di vestire e di prendersi cura della propria persona. Non tutte le donne, in carcere, curano il loro aspetto anche se in qualche caso hanno la possibilità di servirsi di un parrucchiere. Mi ha colpito il grande rispetto che c’era, in quel carcere, fra la polizia penitenziaria e i detenuti, quasi un patto di solidarietà e l’esperienza che mi e’ rimasta non e’stato tanto nel guardare e girare in quei luoghi, quanto nel cercare di capire perché si arriva lì dentro e con quanto dolore!
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