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Storia di ordinaria follia da carcere speciale
Elisabetta Zamparutti
Deputata Radicale eletta nelle liste del PD
Vincenzo Stranieri oggi ha 49 anni. Ne aveva 24 quando fu arrestato nel 1984 e, da allora, non è più uscito dal carcere.
Sta ancora espiando – secondo il cumulo pene emesso due anni fa dalla Procura Generale della Repubblica di Taranto – la condanna complessiva a anni 29, mesi 4 e giorni 3 di reclusione per associazione per delinquere di stampo mafioso, associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, sequestro di persona a scopo di estorsione, estorsione ed altro. Non sta scontando ergastoli, quindi, né ha condanne per omicidio.
Già affiliato alla camorra di Raffaele Cutolo e passato alla SCU di Pino Rogoli quando era già in carcere, il “boss di Manduria” – come era noto alle cronache di una generazione fa – ha ancora un sospeso con la giustizia che riguarda il processo cosiddetto “Corvo” dove è imputato a piede libero e senza nulla a che fare con l’associazione mafiosa per un “contrabbando di tabacchi lavorati esteri”, al quale avrebbe secondo l’accusa partecipato da dentro il carcere, in isolamento e sorvegliato a vista.
Vincenzo Stranieri è attualmente detenuto nel supercarcere di L’Aquila e la sua storia è emblematica di come funziona il regime di cui all’articolo 41 bis dell’ordinamento penitenziario a cui è sottoposto ininterrottamente da diciassette anni e mezzo, cioè da quando nel luglio 1992 il “carcere duro” è stato istituito come risposta dello Stato alle stragi di Capaci e di Via D’Amelio dove furono massacrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Il 3 dicembre scorso, il Ministro della Giustizia ha notificato a Stranieri l’ennesima proroga del regime speciale, motivata con una formula che negli anni si è ripetuta sempre la stessa: “non risulta sia venuta meno la sua capacità di mantenere contatti con esponenti tuttora liberi dell’organizzazione criminale di appartenenza.” Ma nell’ultimo provvedimento, oltre alle solite note informative degli organi investigativi e alle segnalazioni di quelli giudiziari che di decreto in decreto si ripetono a mo’ di fotocopia, compare una “novità”. E’ stata segnalata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce e secondo il ministro Guardasigilli sarebbe indicativa tra le altre della capacità di Vincenzo Stranieri di mantenere i rapporti con la criminalità organizzata.
Nella nota della DDA emerge un passaggio che vale la pena citare integralmente perché è un capolavoro della cultura poliziesca e giudiziaria del sospetto: «Da segnalare infine – riferisce la DDA di Lecce – il tentativo di intervista a Stranieri da parte di un giornalista di quotidiano a tiratura nazionale che potrebbe veicolare notizie, informazioni e messaggi che il detenuto ben potrebbe articolare proprio in risposta allo schema di domande predisposto dal giornalista ed inviatogli per lettera, non consegnatali a seguito di provvedimento di non inoltro da parte del Magistrato di sorveglianza di Milano in data 13 ottobre 2008 (nonostante l’interessamento di “persone sempre più influenti” che il giornalista avrebbe interessato per incontrare Stranieri, evidentemente con scarso successo!). Secondo tale schema, Stranieri avrebbe dovuto, tra l’altro, indicare “con quale degli imputati dei primi processi a Lecce e Brindisi mantenesse rapporti epistolari”, se “avesse letto il libro di Antonio Perrone” (esponente fin dal primo momento della S.C.U. della zona a Nord di Lecce, avente influenza nella città di Trepuzzi, condannato all’ergastolo per omicidio, oltre che per il delitto di cui all’art. 416 bis c.p., e autore di un libro sulla vita della S.C.U. e sulle modalità della sua partecipazione ad essa), se abbia letto “quello di Salvatore Mantovano” ed il giornalista aggiunge se abbia saputo che l’autore è stato ucciso (ma sbaglia il cognome perché la persona in questione si chiama Padovano, detto Nino Bomba, esponente “storico” e di primo piano della criminalità mafiosa salentina, affiliato alla Sacra Corona Unita e “responsabile” del territorio di Gallipoli, autore di un libro sulla condizione carceraria, ucciso il 6 settembre 2008 su mandato del fratello Rosario per conflitti all’interno della famiglia “naturale” e di quella “mafiosa” di appartenenza di entrambi). E infine il giornalista chiede a Stranieri “quali personaggi pubblici o politici o cosiddetti vip (ammesso che Manduria ne abbia mai avuti) ricordi dopo tanti anni di assenza da Manduria”. Si ritiene, pertanto, che nei confronti Stranieri Vincenzo debba essere mantenuto il regime di sospensione delle regole del trattamento penitenziario di cui all’art. 41 bis…».
Un giornalista in questa vicenda esiste davvero e corrisponde al nome di Nazareno Dinoi. E’ originario di Manduria come Stranieri e scrive da Lecce e Taranto per il Corriere del Mezzogiorno, l’inserto pugliese del Corriere della Sera. Ma c’è un altro “legame” tra i due, più recente e degno di nota delle “note informative” di organi giudiziari e di polizia. Nazareno Dinoi è coautore con Vincenzo Stranieri di “Dentro una vita”, il libro che sta per essere pubblicato da Reality Book con una prefazione del Segretario di Nessuno tocchi Caino Sergio D’Elia, nel quale Stranieri racconta la sua storia da delinquente e di detenuto al 41 bis. Il fatto dovrebbe essere noto alle questure e procure che negli ultimi trent’anni non hanno perso d’occhio Vincenzo Stranieri. Anche perché Nazareno Dinoi, nella primavera del 2008, in previsione della scrittura del libro, ha chiesto formalmente al ministero della Giustizia di incontrare in carcere Vincenzo Stranieri e poi, a fronte del diniego, ha deciso di procedere per via epistolare, sempre qualificandosi ed esplicitando le finalità di quel “misterioso” e “socialmente pericoloso” carteggio con il “boss di Manduria”. A questo punto, mi viene da chiedere: se anche gli altri “dati” e “fatti” – indicativi per il Ministro della Giustizia dell’attualità dei collegamenti di Stranieri con la criminalità organizzata – sono dello stesso ordine e grado di attendibilità del fatto segnalato dalla DDA di Lecce relativo al “tentativo di intervista a Stranieri da parte di un giornalista di quotidiano a tiratura nazionale”, cosa ci fa ancora, dopo diciassette anni e mezzo, il detenuto Stranieri in regime di “carcere duro”?
Un paio di settimane fa, mi sono recata in visita al Carcere di massima sicurezza di L’Aquila e ho incontrato anche Vincenzo Stranieri. Le sue condizioni psico-fisiche mi sono parse allarmanti e terribilmente profetiche le parole di un suo scritto uscito dal supercarcere nell’aprile del 2009: “Qui stiamo venti ore al giorno in cella, a poltrire. Moltiplicato per 25 anni, di cui 17 di carcere duro del 41 bis, è davvero un’enormità. Per fare cosa? Dicono per farci recidere i contatti con l’esterno, ma quanto meno ci diano il modo di non perdere la ragione: venti ore al giorno per venticinque anni a guardare il soffitto: a cosa e a chi serve tutto questo?”.
I racconti e i ricordi di Vincenzo Stranieri per il libro che sta per uscire sono la più gratuita e, quindi, autentica dichiarazione di dissociazione dal suo passato. Ma la semplice dissociazione non basta per venire fuori dal 41 bis, ci vuole la dissociazione a rischio della vita… e Vincenzo Stranieri “non ha operato condotte che si sono poste in conflitto con la sua appartenenza all’organizzazione” criminale, come è scritto nell’ultimo decreto ministeriale che lo seppellisce per altri due anni in una cella del “carcere duro”.
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Numero dei detenuti presenti su 43084

61.481 detenuti
il 7/2/2014


Osservatorio sulla contenzione
a cura di Grazia Serra

  
   

   
    a cura di Francesco Gentiloni

" Il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri"
Voltaire

 


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