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Morti di botte, il filo rosso
Alessandro Capriccioli

Da Stefano Cucchi a Giuseppe Uva, fino a Giuseppe Bianzino: le difficilissime inchieste per stabilire la verità sulle persone che in Italia vengono arrestate e non escono vive dagli interrogatori


Luigi Manconi insegna sociologia dei fenomeni politici presso l'Università Iulm di Milano. E' stato senatore e sottosegretario alla giustizia e garante per i diritti delle persone private della libertà per il Comune di Roma. E' presidente dell'associazione 'A Buon Diritto'. Ha scritto, con Valentina Calderone, 'Quando hanno aperto la cella. Stefano Cucchi e gli altri' (Il Saggiatore 2011). Cucchi, lo ricordiamo tutti, era un ragazzo romano morto il 22 ottobre del 2009, dopo essere finito in carcere per alcuni grammi di hashish. Ma il suo, purtroppo, non è stato un caso isolato. Manconi si occupa anche della vicenda di Giuseppe Uva, deceduto nel 2008 dopo essere stato fermato e interrogato dai carabinieri a Varese; e di Aldo Bianzino, falegname di 44 anni, trovato morto il 14 ottobre in una cella di isolamento del carcere di Perugia.

Cucchi, Uva, Bianzino. Tre morti misteriose accomunate dal fatto di essere avvenute in seguito ad arresti da parte delle forze dell'ordine, tre vicende ancora non chiarite. Ci sono novità?
«Ce ne sono, di positive e di negative, in tutti e tre i casi».

Da dove cominciamo?
«Cominciamo da una notizia positiva in relazione alla vicenda di Giuseppe Uva, morto a giugno del 2008 nel reparto psichiatrico dell'ospedale di Varese dopo essere stato fermato in stato di ebbrezza dai carabinieri. Lo scorso 23 aprile il Tribunale di Varese ha assolto il medico che fino a oggi era l'unico incriminato per la morte di Uva».

Perché questa è una novità positiva?
«Il pubblico ministero aveva accusato due medici del reparto psichiatrico dell'ospedale di Varese di aver somministrato ad Uva degli psicofarmaci incompatibili con il suo stato etilico: il primo era stato prosciolto, e con l'assoluzione del secondo il giudice ha disposto l'invio degli atti alla Procura affinché le responsabilità di quella morte vengano cercate altrove».


Dove, precisamente?
«Nella caserma dei carabinieri, nel corso di quella notte, nel tempo intercorso tra il fermo e il trasferimento al pronto soccorso dell'ospedale. In quella caserma, dalle tre del mattino fino all'alba, erano presenti non solo i carabinieri, ma anche alcuni appartenenti alla Polizia di Stato lì convenuti».

Necessità di ulteriori approfondimenti, insomma.
«Assolutamente sì. Del resto secondo i familiari e secondo noi non ha avuto luogo alcuna indagine seria, al punto che Alberto Biggiogero, l'altro fermato insieme a Uva che afferma di aver sentito dalla sala d'attesa in cui si trovava le urla strazianti dell'amico, e che presentò a tale proposito un circostanziato esposto in Procura, non è mai stato sentito in quattro anni».

Mai?
«Neanche una volta. Si tratta quindi di una novità positiva, perché l'invio degli atti alla Procura affinché svolga le opportune indagini vale a sancire - secondo il mio punto di vista - il fatto che fino a ora quelle indagini non sono state svolte, e che il fascicolo contro ignoti aperto all'epoca dei fatti non è stato seguito in alcun modo».

Con quale caso andiamo avanti?
«Con quello di Stefano Cucchi, per cui la Corte d'Assise di Roma ha chiesto una nuova perizia».

Per stabilire cosa?
«Per rispondere all'interrogativo che, da parte dei familiari di Stefano e da parte nostra, si continua a porre e al quale finora la Procura ha dato risposta negativa: c'è una relazione tra le lesioni per cui sono stati imputati tre agenti della Polizia Penitenziaria e la morte di Stefano? Perché fino ad oggi ci si è occupati soltanto delle circostanze immediatamente precedenti il decesso: l'abbandono, la mancata assistenza, l'insufficienza delle terapie? Ma è di tutta evidenza che senza le percosse Stefano Cucchi non sarebbe stato trasferito all'ospedale Sandro Pertini, non si sarebbe trovato in quello stato di prostrazione fisica e psichica e non sarebbe stato sottoposto all'isolamento che ha dovuto subire».

La richiesta di nuova perizia, quindi, è senz'altro una novità positiva.
«Sì, ma ce n'è anche un'altra di segno opposto. Il funzionario responsabile del trasferimento di Stefano Cucchi al Sandro Pertini, che aveva scelto il rito abbreviato e che era stato condannato in primo grado per abuso d'ufficio e favoreggiamento, è stato assolto in appello perché il fatto non sussiste».

08 maggio 2012
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