Il perdono responsabile Rosalba Capomacchia Gherardo Colombo, autore del libro “il perdono responsabile” edito da Ponte alle Grazie - €12,50, ha lasciato la Magistratura nel 2007, ed è oggi presidente della casa editrice Garzanti. Nel libro, le riflessioni dell’autore riguardo l’amministrazione in ambito giudiziario, il suo sguardo sul mondo delle pratiche della giustizia, tracciano in apertura un’interessante mappa concettuale delle principali categorie attinenti al Sistema Giustizia: punizione, regola, necessità, perdono privato, perdono “pubblico”, tema quest’ultimo, appunto, di grande valenza pubblica perché sentimento, elemento fondamentale nella scelta dei modelli, delle modalità dei rapporti e delle relazioni sociali. La tensione dialettica, secondo la quale si sviluppano e si svolgono i capitoli del libro ha luogo e trova espressione tra un concetto di pena retributiva e l’acquisizione, invece, di un’idea di giustizia riparativa. Se da una parte vengono considerate ed analizzate le negatività legate ad una concezione retributiva della pena, dall’altra parte il discorso ed il filo argomentativo si orientano in modo positivo verso la comprensione, il dialogo, la conciliazione, la socializzazione. Le tesi a favore della pena retributiva sono puntualmente contestate e contrastate, ed invece la scelta del recupero , della riconciliazione, delle pene alternative trova supporto e conferma dall’evidenza e dall’andamento positivo della realtà del mondo carcerario, nel senso che in effetti attraverso tale scelta si compie e si realizza un percorso verso la socialità, l’umanità, la libertà dei detenuti. Le culture giuridiche nel corso del XX° secolo hanno sostenuto questa ipotesi della nuova socialità e partecipazione. “All’inizio del nuovo millennio il criminologo David Garland analizza i mutamenti intervenuti negli Stati Uniti e in Gran Bretagna nel campo della risposta alla trasgressione: ”. E’ ben argomentata, sul piano ideale, la contraddizione fra dignità della persona e pena, mentre, sul piano pratico, si sostiene l’inutilità dell’attuale sistema detentivo. Bellissime ed assolutamente convincenti le pagine sul superamento della pena e sul concetto di responsabilità. A questo proposito è utile citare le parole dell’autore: “Antropologicamente il perdono si iscrive nel circuito del dono: chi perdona si presenta come qualcuno che, liberamente e senza obbligo, fa dono di qualcosa a qualcun altro. Ciò che conta è che il perdono inteso come dono, cioè come atto che implica una restituzione, ha la capacità di rovesciare l’ostilità originaria in una relazione di scambio e di reciprocità, proprio perché fra le due parti in conflitto, sull’originario rapporto di ostilità, viene innestato un dono… Chi perdona ha la responsabilità di ri-accettare; chi è perdonato ha la responsabilità di usare assennatamente ciò che riceve, e cioè di essere ri-accettato. Entrambi hanno cioè la responsabilità della ricucitura della relazione che era stata strappata. Il meccanismo delle reciproche responsabilità legittima regole che abbiano per contenuto il perdono, il quale diventa strumento per il rispetto della persona e per il buon funzionamento della società “. Negli ultimi decenni ha trovato notevole consenso il tema della giustizia riparativa, con atti ufficiali del Consiglio d’Europa nel 1999, dell’ONU nel 2002 con la Decisione Quadro 2001/220 GIA dell’Unione Europea. In Italia si praticano procedure di giustizia alternative a quella retributiva, non esistendo una materia di legge relativa alla giustizia riparativa. Ancora, è molto importante da ricordare la partecipazione dell’autore, come volontario, ad una iniziativa della ASL presso il carcere milanese di S.Vittore, che prevede un progetto di varie e diverse attività proposto a detenuti tossicodipendenti. Il valore dell’impegno, l’etica della responsabilità, costituiscono la parte essenziale di questa esperienza. Inoltre, quale riferimento e modello alternativo esemplare, è naturalmente citata la casa di reclusione di Bollate, che, come appare nel racconto e nella testimonianza, ha voluto appunto porre al centro dei suoi programmi il rispetto della dignità della persona, come disposizione valoriale fondamentale. Complessivamente, nell’ambito di analisi proposto, emerge dunque che la questione giustizia debba riferire le sue problematiche ai generali modelli sociali, culturali e politici, e trovi soluzione in diverse ed alternative modalità di convivenza sociale e politica. In alcuni passi del libro sembra infatti chiaramente delinearsi l’aspirazione ad una nuova ipotesi di società “che si rifà … al riconoscimento, alla dignità, alla gratuità, alla libertà uguale, all’armonia, alla inclusione, all’ordine finalizzato alla realizzazione della persona “. Con le finalità di attuare e realizzare un altro modello di società, un grande cambiamento, una trasformazione sostanziale di paradigmi sociali, per affermare un patto sociale fondato su principi universali fondamentali, sul valore della persona umana, certamente si può dunque cogliere, nelle parole dell’autore, un invito a ricercare, elaborare e formulare nuove categorie politiche e culturali riguardo ad un progetto politico unitario basato sui diritti e sui bisogni della persona, riguardo alle forme istituzionali-statuali, al governo e ai poteri, relativamente alla sovranità generale comune, alla soggettività individuale e sociale, al consenso, alla libera facoltà di decidere. |
- Pubblichiamo il racconto di Antonio Argentieri, apparso sul sito www.terramara.it, in cui denuncia un pestaggio subito da alcuni agenti del carcere di Arezzo nel 2004
- Pubblichiamo una serie di lettere inviate da detenuti a Radio carcere, trasmissione settimanale a cura di Riccardo Arena, su Radio Radicale
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