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Cinema dell’altro mondo
a cura  Antonella Barone
“I detenuti volevano raccontare il carcere, ma non volevano che si raccontassero drammi strappalacrime, o che si utilizzasse un linguaggio eccessivamente ironico col rischio di minimizzare la serietà della condizione. Volevano rappresentare il carcere così com’è , un posto dove si ride, si piange, si ha paura, si muore e si vive, anzi, si sopravvive…”

Così  Giuliano Capozzi, regista di  “Oltre le mura - Un altro mondo”, realizzato  con i detenuti del carcere di Sant’Angelo dei Lombardi, spiega quello che colpisce di più del film : un taglio lucido e documentaristico  che tuttavia  riesce a trasmettere    dolore  e  disincanto della condizione carceraria. Montaggio e colonna sonora - le sobrie note di Enzo Perna – contribuiscono a renderlo un piccolo “vero” film, realizzato con 1000 euro in cinque  giornate “carcerarie” ( tre ore l’una).
Davvero cinema dell’altro mondo.


Il film rende bene il punto di vista dei detenuti. Avete scritto insieme la sceneggiatura?


Questo piccolo film nasce come prodotto finale del laboratorio di Arti Figurative e Cinema, svolto con i detenuti del Carcere di Sant'Angelo dei Lombardi. Durante il laboratorio i ragazzi hanno imparato come si realizza un film, analizzando il lavoro dei settori principali coinvolti nella lavorazione, dalla regia alla fotografia, fino alla scrittura. Una sceneggiatura vera e propria non poteva realizzarsi, alcuni dei detenuti avrebbero avuto serie difficoltà nel seguire un testo scritto, così la scelta è ricaduta su una sorta di canovaccio, dove i dialoghi erano affidati all'improvvisazione, una volta chiarito bene il senso di ogni singola scena. I detenuti hanno deciso quali dovessero essere le singole storie da raccontare, i contenuti e i toni che avrebbe assunto la narrazione. In questo ho cercato di essere il più rispettoso possibile del volere dei ragazzi.

Perché la scelta di una versione originale dal napoletano?

Direi che la scelta era quasi obbligata. La maggior parte dei ragazzi viene da Scampia, Secondigliano e Casal di Principe. L'obiettivo era rimanere fedeli alla realtà e riproporre con cifra quasi documentaristica la loro vita in carcere, la lingua italiana avrebbe rovinato la genuinità dei loro racconti, i dialoghi (di cui il film è ricco) sarebbero risultati pesanti e finti. Il dialetto ha restituito ai ragazzi la loro unicità e spontaneità. In più c'è da dire che tutti i dialetti, e quello partenopeo in particolare, hanno sfumature intraducibili in italiano, e conferiscono all'interpretazione dell'attore un carattere impulsivo e profondo, risultando naturale e vera. In ultimo vorrei dire che il lavoro svolto dai ragazzi come attori è stato eccellente. Ho visto davvero poche volte attori professionisti recitare con tanta naturalezza (con un coinvolgimento completo nella storia e nei personaggi) come hanno fatto i detenuti, spesso senza neanche rendersene conto. Talenti sprecati, senza ombra di dubbio.

Vi sono state difficoltà nella lavorazione?


Moltissime, come è facile immaginare. Il budget a disposizione era assai limitato, ci aggiriamo intorno alle 1000 euro (anche meno) e per un film di 30 minuti è davvero poco. Abbiamo lavorato in totale povertà di mezzi, condizione ormai a cui sono abituato da quando mi dedico al cinema. Con pochi mezzi, dunque, ho cercato di lavorare molto con le luci naturali laddove era possibile, e la camera a mano si è rivelata una scelta interessante sia stilisticamente che "economicamente". Per ciò che riguarda la lavorazione, gli ostacoli sembravano non finire mai: l'intero film è stato girato in 5 giorni, i ragazzi avevano poche ore al giorno a disposizione, quindi una lavorazione giornaliera normale (dalla mattina presto fino a sera) era impossibile; non avevano mai vissuto un set cinematografico e le sue regole, la divisione dei ruoli e i tempi di preparazione di una scena, gestirli tutti non è stato semplice; le restrizioni riguardavano anche le riprese: non tutti gli spazi potevano essere ripresi (comprese le celle vere dei detenuti, che infatti abbiamo dovuto riallestire in celle vuote). 
Realizzare un film, corto o lungo che sia, non è mai un lavoro semplice, in carcere lo è ancora meno e risolvere il singolo intoppo è più difficile, dove per ogni movimento ci vogliono autorizzazioni e permessi. In ultimo va ricordato l'importante contributo alla lavorazione dato da Monica Mariotti, attrice professionista, che con la sua partecipazione ha permesso ai ragazzi di confrontarsi con chi questo mestiere lo fa da anni, e da Enzo Perna, musicista e compositore, che ha realizzato i brani che ascoltiamo nel film.

Nel film racconta anche un suicidio. Come ha scelto di trattare questo tema?

Durante la fase del laboratorio dedicata al confronto con i detenuti sulla vita in carcere, si è parlato anche dell'atto estremo del suicidio. E' un evento abbastanza frequente nelle carceri, anche qui non è difficile immaginare il perchè. Molti di loro, i più anziani d'età, mi raccontavano di aver assistito a molti episodi di suicidi negli anni trascorsi in detenzione, e ne parlavano come un evento assolutamente normale, non tralasciando particolari sui metodi più diffusi per farlo. Ed è così che ho deciso di trattare questo tema, immettendolo nella quotidianità, senza pathos, con uno sguardo il più lucido possibile. Il carcere è un susseguirsi di eventi sospesi, un moto continuo, che mi ha suggerito una narrazione senza riferimenti temporali. Ciò che accade, sia esso divertente o tragico, passa, colpisce e lascia subito spazio a qualcos'altro. Un altro mondo appunto.
Da regista, dopo avere lavorato con i detenuti, che differenze ha colto tra il carcere dell'immaginario cinematografico e quello reale?
I tantissimi film che parlano di questo mondo si differenziano moltissimo tra loro, a seconda del paese da cui provengono e soprattutto a seconda dell'autore. Mi è capitato di osservare come spesso nell'industria hollywoodiana, ma con le dovute eccezioni, il carcere sia meramente una location "accattivante", un ottimo contesto da usare per parlare di altro o su cui costruire degli action movies (detenuti in rivolta, dinamiche tra bande o gruppi di criminali etc etc) sicuramente ben fatti, ma direi anche inutili (ultimamente è capitato anche all'Europa di produrre qualche film su questa falsa riga).
Il carcere è tutt'altra cosa. Certamente viverlo da insegnante in un laboratorio è ben diverso da scontare una condanna, però l'esperienza mi ha dato modo di capire molte cose su chi delinque, soprattutto riguardo al perchè si delinque (una scena del film, in cui due fratelli si scambiano pareri in un colloquio, tratta proprio questa questione). In più vivere il carcere mi ha dato la possibilità di capire quanto queste vite siano diverse da quelle di chi, come me, è "libero" ed ha fatto altre scelte. Ma, al contempo, conoscere i ragazzi nel quotidiano, con l'umanità, la sensibilità e l'intelligenza che li caratterizza, ha fatto in modo che questo mondo apparentemente lontano fosse in realtà molto vicino al mio. Senza giudicarli per i loro reati, men che meno pensare a loro come vittime.


Il film sarà presentato  domenica 14 novembre al Medfilm festival- sezione “Corti dal carcere”, Casa del Cinema 
http://www.medfilmfestival.org/medfilm2010/doc/ProgrammaMFF2010.pdf
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Numero dei detenuti presenti su 43084

61.481 detenuti
il 7/2/2014


Osservatorio sulla contenzione
a cura di Grazia Serra

  
   

   
    a cura di Francesco Gentiloni

" Il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri"
Voltaire

 


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