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Ritrovare il coraggio

Federico Abati

 

Mi chiamo Federico, sono uscito dal carcere il 20 luglio 2012, dopo cinque anni e mezzo; alle quattro del pomeriggio mi hanno fatto preparare i vestiti e salutare i compagni, poi altre due ore e fuori dall'ultimo cancello, il più grande.

Non è stato così: l'ultimo cancello, il più grande, ce l'avevo dentro; stava tra la pancia e la testa, chiuso da chiavi che ho perso chissà dove. Quindi ho dovuto cercare altre strade per far dialogare le emozioni con i pensieri, perché volevo tornare l'uomo che ero, e non sarebbe bastato raccontarmelo, dovevo sentirlo.

Adesso che ci penso, le chiavi del mio cancello non le ho perse, devo averle buttate quando sono entrato in carcere, e quando ho capito che non avrei avuto bisogno dei sentimenti, anzi, sarebbero stati dannosi. Ho appiattito la mia vita per cinque anni e mezzo, in un posto liscio, senza uno stimolo che non fosse la paura del giorno dopo, paura che sarebbe stato peggio del giorno prima.

Sono passati sei mesi da quel giorno e se mi guardo indietro mi sento come se dovessi ancora uscire; i tentacoli della cella hanno continuato a tirarmi, come se volessero riportarmi lì, come se quella ormai fosse la mia vita: tanto mi sono abituato a quel carcere, sepolto dentro la città, che il coraggio di risalire in superficie quasi mi è mancato. Quasi. L'ho dovuto trovare ogni giorno, il coraggio, confidando nel fatto che sarebbe arrivato il momento in cui ne avrei fatto a meno. Ho messo in pratica le mie riflessioni degli anni vissuti lì dentro, tutti i ragionamenti che mi sono  inventato per rimanere vivo e lucido. Prima di farlo ho dovuto cominciare da capo, dall'uomo delle caverne, l'uomo che procura il cibo e possiede la sua donna; per i primi due mesi è andata proprio così, erano le uniche cose che mi facessero sentire a posto. Ero consapevole di essere regredito, ma ero incapace di uscire da quella caverna per stabilire una connessione con gli altri, con qualcuno che non fosse né detenuto né guardia. E non riuscivo in tante altre cose: è stata terrificante la difficoltà di reinquadrare di nuovo il mondo nelle sue tre dimensioni. Non più corridoi e cancelli, ma vie che si incrociano, semafori inopportuni per macchine agitate, gente che passa sgomitando, finestre ai secondi, ai terzi, ai quarti piani colme di vita, le luci e i rumori.

Venivo da un posto dove le strade sono senza nome e senza traverse, strade che portano dentro di qua e dentro di là, senza uno sbocco. Un posto che ha dei colori tutti suoi, tonalità che di fuori non esistono; pure la luce del sole sembra mortificata quando entra lì. Venivo da un posto dove non ti puoi affacciare mai.

Sapevo che mi sarei svegliato da questo torpore allucinato perché altrimenti rischiavo di andare fuori di testa. E poi c'erano sempre i tentacoli della cella.  Mi ha salvato la mia donna, l'amore per lei, la fiducia nel suo sguardo che mi diceva " dentro di te hai tutte le cose che ti servono", e lei mi ha aiutato volta per volta a tirare fuori queste cose, quando mi sono servite.

Ho iniziato a parlare con gli altri cercando di essere spontaneo, come vedevo fare a lei; e poi a essere ricettivo, per sentire le cose che venivano da fuori, come vedevo fare a lei.  Da lei addirittura ho copiato le buone maniere, perché non le ricordavo più. Queste sono state le sensazioni viscerali; poi tutte le difficoltà pratiche: vivere in detenzione domiciliare, con due ore di permesso al giorno, vuol dire far precipitare tutti gli impegni in quelle due ore, che sono la mia giornata. Carta d'identità: due ore per le foto, due ore per la fila allo sportello e due ore per averle in mano, totale tre giorni di vita.  Lavoro, per fortuna, faccio il falegname nel garage di casa; lavoro su ordinazione di amici e parenti in attesa di avere clienti che mi chiamano perché sono bravo, e non bravo + amico + detenuto + sieropositivo.

Tutto questo avrei voluto raccontarlo prima, ma solo adesso sono riuscito a farlo, adesso che ho pensato al cibo e alla mia donna posso finalmente disegnare gli animali sulla parete della mia caverna.

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61.481 detenuti
il 7/2/2014


Osservatorio sulla contenzione
a cura di Grazia Serra

  
   

   
    a cura di Francesco Gentiloni

" Il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri"
Voltaire

 


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