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Perché l’Indulto ha fatto bene al carcere e alla società
Indulto e recidiva: aggiornamento al 30 giugno 2009

Premessa
Come noto, con la legge 31 luglio 2006 è stato concesso provvedimento di indulto per tutti i reati commessi fino al 2 maggio 2006 puniti entro i tre anni di pena detentiva e con pene pecuniarie non superiori a 10.000 Euro, sole o congiunte a pene detentive. Il provvedimento prevede anche uno sconto di tre anni per coloro che sono stati condannati a una pena detentiva di maggiore durata e abbiano commesso il fatto precedentemente alla data sopraindicata. Sono esclusi dalla concessione dell’atto di clemenza i colpevoli di alcuni reati previsti dal codice penale. L’indulto, infatti, non si applica ai colpevoli di diversi delitti, tra i principali quelli concernenti: associazione sovversiva, reati di terrorismo, strage, sequestro di persona, banda armata, associazione per delinquere finalizzata alla commissione dei delitti di cui agli articoli 600, 601 e 602 del codice penale, associazione di tipo mafioso, riduzione in schiavitù, prostituzione minorile, pornografia minorile, violenza sessuale, usura, riciclaggio, produzione, traffico e detenzione illecita di sostanze stupefacenti. Il beneficio dell’indulto è revocato di diritto se chi ne ha usufruito commette, entro cinque anni dalla data della sua entrata in vigore, un delitto non colposo per il quale riporti condanna a pena detentiva non inferiore a due anni.
Il provvedimento nasce con l’obbiettivo esplicito di rimediare ad una situazione di sovraffollamento degli istituti penitenziari che, a partire dagli anni ’90, ha visto aumentare progressivamente il numero di presenze all’interno delle carceri italiane, arrivando a toccare tassi di detenzione mai raggiunti durante l’epoca repubblicana. Tale grave indice di sovraffollamento ha storicamente contribuito a porre dei seri interrogativi sulla legalità stessa del complesso del sistema dell'esecuzione penale del nostro paese, così come più volte testimoniato dagli osservatori delle associazioni non governative impegnate nella tutela dei diritti fondamentali nel sistema penale e dagli organismi internazionali che vigilano nella prevenzione della tortura all’interno dell’Unione Europea. Il provvedimento ha quindi svolto la funzione di riportare il sistema penitenziario italiano, anche se solo per breve tempo, all’interno dei parametri della legalità e di permettere condizioni di esecuzione della pena compatibili con i principi posti a tutela dei diritti fondamentali delle persone private della libertà.
Pur in presenza di tali ragioni, la legge è stata oggetto di pesanti critiche. Tali critiche paiono essersi sviluppate, in primo luogo, sul piano mediatico, il quale ha visto schierata contro il provvedimento la quasi unanimità degli organi di informazione di massa, coinvolgendo, in una seconda fase, la generalità degli attori politici, compresi coloro che a suo tempo avevano votato a favore della legge. Il progressivo incremento delle critiche pare aver nel tempo generato una sorta di senso comune secondo il quale l'indulto avrebbe provocato un aumento dell'insicurezza causato dai dei reati commessi dalle persone liberate grazie alla legge. Tale progressiva convinzione degli effetti negativi dell'indulto non pare tuttavia essere stata accompagnata da dati oggettivi che corroborassero tale rappresentazione. Da tale constatazione nasce quindi l'idea di un monitoraggio sul comportamento recidivante degli indultati che affianchi i dati impressionistici su cui si fonda il dibattito pubblico con il quadro del fenomeno che emerge dalla ricerca empirica.
La ricerca di cui si ha l’occasione di presentare i risultati costituisce l’ideale proseguimento del monitoraggio sulla recidiva degli “indultati” che, sino a questo momento, ha conosciuto tre precedenti momenti di verifica. Il primo, dopo sei mesi dall’entrata in vigore della legge; il secondo, dopo diciassette mesi di applicazione del provvedimento; il terzo, dopo 26 mesi e 15 giorni. In quelle occasioni i dati sul comportamento recidivante dei soggetti beneficiari della legge hanno suggerito un giudizio positivo sugli effetti prodotti dal provvedimento. In tutte le occasioni, infatti, si è rilevato come la recidiva delle persone liberate fosse significativamente più bassa rispetto a quella “ordinaria” individuata dalle ricerche che si sono occupate del tema nel nostro paese. In questo lavoro è presentata una rielaborazione su dati forniti dal Ministero della Giustizia, Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, relativi al comportamento recidivante dei soggetti beneficiari del provvedimento di indulto. Tali dati sono aggiornati al 30 giugno 2009 e distinguono la totalità dei soggetti dimessi dagli istituti penitenziari – o da una misura alternativa al carcere – da coloro che in questi 35 mesi, almeno una volta, hanno nuovamente fatto ingresso in carcere.

1. La recidiva degli indultati
La tabella n. 1 riassume la composizione del campione su cui è stata svolta la ricerca. Esso è composto dalla totalità dei soggetti beneficiari dell’indulto provenienti dal carcere, pari a 27.965 unità, e da un campione di soggetti che al momento dell'entrata in vigore della legge stavano scontando la pena in misura alternativa. Tale campione corrisponde al totale di coloro che sono giunti in misura alternativa a seguito di un periodo di carcerazione .

Tabella n.1. Beneficiari del provvedimento di indulto
Numero di beneficiari
Dimessi dal carcere    27.965
Campione di dimessi dalla misura alternativa    7.829
Totale    35.794

La tabella n.2 mostra come il tasso di recidiva sia del 30,31% fra coloro che al momento dell'entrata in vigore della legge stavano scontando la pena in carcere e del 21,78% fra i beneficiari in misura alternativa.

Tabella n.2. Recidiva dei beneficiari
Numero di dimessi    Numero di rientrati    Tasso di recidiva
Beneficiari provenienti dal carcere    27.965    8.477    30,31%
Campione di beneficiari provenienti dalla misura alternativa    7.829    1.705    21,78%
Totale    35.794    10.182    28,45%

Il commento del dato richiede il confronto con altri studi che hanno in precedenza affrontato il tema. Per quanto riguarda la recidiva degli ex detenuti, il monitoraggio più significativo con cui comparare i dati in nostro possesso si riferisce alla rilevazione effettuata dall’Ufficio Statistico del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, citata da uno studio di Fabrizio Leonardi (2007), che ha mostrato come il 68,45% dei soggetti scarcerati nel 1998 abbia, nei successivi 7 anni, fatto reingresso in carcere una o più volte. Il dato presentato in quella occasione, purtroppo, non conteneva informazioni sulla scansione temporale dei reingressi in carcere. Non è dato sapere, in altre parole, se i reingressi fossero avvenuti prevalentemente nei primi anni o se invece la tempistica fosse differente. Ora, il dato sui reingressi in carcere dei soggetti scarcerati a seguito del provvedimento di indulto mostra una percentuale di recidivi sensibilmente inferiore rispetto al dato del 68,45% rilevato nell’arco temporale dei sette anni. A ciò occorre aggiungere la lettura del calcolo dell’aumento mensile medio della recidiva (tabella 3) che mostra come, nelle 4 rilevazioni effettuate, l’aumento medio mensile del tasso di recidiva sia progressivamente diminuito. I dati paiono quindi confermare quanto affermato dalla ricerca italiana ed internazionale sul tema, dimostrando come i recidivanti tendano a ricommettere reati soprattutto nei primi mesi dalla liberazione. La progressiva diminuzione nell’incidenza del fenomeno porta ad ipotizzare, nel lungo periodo, un comportamento recidivante fra le persone scarcerate grazie all’indulto inferiore rispetto all'ordinario. Le variabili che possono aver contribuito a determinare il fenomeno appaiono molteplici e non si ha la pretesa di ricostruirle in questa sede. Ciò che preme sottolineare è come tale tasso di recidiva offra indicazioni sull’impatto del provvedimento che si discostano sostanzialmente rispetto a quella che è la rappresentazione dominante. In particolare, il dato sulla recidiva offre ipotesi di ricerca che si muovono in direzione opposta rispetto alla vulgata dominante che associa il provvedimento di clemenza ad un aumento della criminalità. La chiave di lettura offerta dai dati attualmente disponibili suggerisce piuttosto che la possibilità offerta attraverso la scarcerazione anticipata, abbinata alla minaccia di scontare la pena comminata con la sentenza di condanna maggiorata del residuo pena precedentemente abbuonato in caso di commissione di un nuovo reato, producano un effetto deterrente nei confronti di una parte dei beneficiari, rendendo di fatto inferiore il rischio di commissione di nuovi reati da parte dei beneficiari.
Considerazioni in larga parte uguali possono ricavarsi dalla lettura dei tassi di recidiva dei soggetti dimessi dalla misura alternativa. In questo caso, la presenza di recenti ricerche che hanno trattato in maniera approfondita l'argomento consente di proporre qualche valutazione ulteriore rispetto a quanto proposto per gli ex detenuti. Confrontando delle cifre, è possibile osservare come Santoro e Tucci (2006) abbiano rilevato, all’interno di un arco temporale di cinque anni, un tasso di recidiva del 28,38% su un campione di soggetti tossicodipendenti ed alcool-dipendenti in affidamento terapeutico ed un tasso di recidiva del 18,84% su un campione di soggetti in affidamento in prova ai servizi sociali “ordinario”. Parallelamente, Fabrizio Leonardi (2007) ha rilevato un tasso di recidiva, sull’arco di sette anni, del 42% su un campione di affidati al trattamento terapeutico provenienti dal carcere, del 30% fra gli affidati al trattamento terapeutico provenienti dalla libertà, del 21% tra gli affidati in prova provenienti dal carcere e del 16% tra gli affidati in prova provenienti dalla libertà. Ora, il dato a nostra disposizione contiene sia soggetti in affidamento in prova ai servizi sociali, sia soggetti sottoposti ad altre forme di esecuzione penale alternativa al carcere. A rendere ancor più problematico il confronto, occorre considerare che il nostro campione è composto sia da soggetti non tossicodipendenti, in regime di affidamento “ordinario”, sia da soggetti tossicodipendenti o alcoldipendenti, prevalentemente assegnati al regime di affidamento in prova terapeutico. Infine, occorre rilevare come il nostro arco temporale di riferimento, 35 mesi, sia inferiore a quello utilizzato dagli studi citati, corrispondente nel primo caso a 60 mesi e nel secondo a 84 mesi. Alcune considerazioni possono, tuttavia essere avanzate partendo dal dato sull'attuale tasso di recidiva e considerando che esso si riferisce ad universo composto da soggetti approdati alla misura alternativa dopo un periodo di carcerazione. Tali soggetti, nella ricerca di Fabrizio Leonardi, mostrano tassi di recidiva superiori rispetto a coloro che sono approdati alla misura alternativa dalla libertà. In questo senso, il tasso di recidiva del 21,78% deve opportunamente essere confrontato con il dato del 42% per i soggetti in affidamento terapeutico e con il 21% rilevato sui soggetti in affidamento “ordinario”. Occorre quindi domandarsi se il tasso di recidiva debba essere attribuito esclusivamente al minor tempo trascorso. La risposta a tale interrogativo può essere in parte ricavata facendo riferimento a quanto rilevato da Fabrizio Leonardi nella ricerca appena richiamata. Egli, infatti, rileva come il 90% dei recidivi sia rientrato in carcere entro i primi 54 mesi. Confrontando inoltre l’andamento temporale dei primi 24 mesi, Leonardi mostra come la metà dei recidivi abbia commesso un reato entro i primi 21 mesi; per quanto riguarda l’andamento temporale dei rientri, la ricerca di Leonardi mostra infine come, nei primi 24 mesi, il numero di ingressi sia sostanzialmente uguale nei primi due anni, con un lieve incremento nel secondo rispetto al primo. Nel nostro caso, anche relativamente alla misura alternativa, i dati a nostra disposizione mostrano una progressiva diminuzione del tasso di incremento mensile medio con il susseguirsi delle rilevazioni (tabella 3). In questo senso, rispetto a quanto rilevato dalla ricerca di Leonardi, l’andamento dei reingressi in carcere pare aver seguito un rallentamento in tempi più brevi. È quindi possibile ipotizzare, anche se con maggiore prudenza rispetto a quanto affermato relativamente agli ex detenuti, che anche il tasso di recidiva fra i provenienti dalla misura alternativa tenda ad attestarsi su livelli inferiori rispetto all’ordinario, soprattutto considerando che il nostro campione di riferimento è costituito anche da soggetti alcool-dipendenti e tossicodipendenti.

Tabella n. 3. Tasso di recidiva rilevato nei diversi monitoraggi
Periodo di rilevazione    Recidiva ex detenuti    Recidiva dimessi dalla misura alternativa
Dopo 6 mesi    11,11%      (+ 1,85% al mese)    6%            (+ 1% al mese)
Dopo 17 mesi    20,64%     (+ 0,87% al mese)    13,35%     (+ 0,67% al mese)
Dopo 26 mesi e 15 giorni    26,97%     (+ 0,67% al mese)    18,57%     (+ 0,55% al mese)
Dopo 35 mesi    30,31%     (+ 0,39% al mese)    21,78%     (+ 0,38% al mese)

Ulteriori considerazioni debbono infine riguardare il confronto fra il tasso di recidiva delle persone scarcerate e quello di coloro che provengono dalla misura alternativa. Anche in questo caso, così come dimostrato da praticamente tutte le ricerche che si sono occupate del tema, emerge come i soggetti provenienti da un percorso di esecuzione della pena di carattere non detentivo presentino percentuali di recidivi inferiori rispetto a quelli rilevati fra coloro che hanno scontato la pena totalmente in carcere. Di fronte a tale dato di evidenza, sono prevalentemente adottate due forme di interpretazione: la prima, fa leva sul fatto che il campione delle persone in misura alternativa è composto da soggetti in qualche modo “selezionati” rispetto all'universo carcerario; la seconda, concentra l’attenzione sull'intrinseca efficacia risocializzatrice delle misure alternative. In questa sede è possibile offrire un contributo al dibattito analizzando il rapporto fra recidiva e numero di precedenti carcerazioni.
Occorre infatti rilevare come, fra i soggetti provenienti dalla carcerazione, i dati aggiornati al 30 giugno 2009 confermino una stretta correlazione fra l’aumento del numero di precedenti carcerazioni ed il tasso di recidiva rilevato (tabella 4). Appare quindi significativo il fatto che solo il 18,38% dei 11.086 soggetti scarcerati che erano alla prima esperienza detentiva abbiano fatto reingresso in carcere nei successivi 35 mesi. È all'interno di questo universo che troviamo i “veri” beneficiari dell'indulto, vale a dire coloro per i quali l'indulto è stata la vera e propria ancora di salvezza per sfuggire dagli effetti negativi provocati dal carcere. Per tali soggetti è infatti possibile ipotizzare che la scarcerazione anticipata abbia prodotto effetti positivi in quanto ha interrotto quel processo di introiezione della cultura e dell’identità deviante che, come dimostrato dagli oramai classici studi sul tema (Sykes, 1997), raggiunge il massimo dell’efficacia a seguito di lunghi periodi di detenzione ed in conseguenza di diverse esperienze detentive, provocando una sempre maggiore estraniazione del soggetto rispetto alle dinamiche relazionali extra-carcerarie. La mancata acquisizione dell’identità deviante, e la presenza di legami esterni non totalmente scalfiti dall’esperienza detentiva, paiono aver costituito l’occasione, per circa 9.000 scarcerati alla prima esperienza detentiva, per riprendere un processo di socializzazione solo parzialmente interrotto dall’esperienza detentiva. La medesima lettura, purtroppo, non può essere offerta per coloro che avevano alle spalle un elevato numero di esperienze carcerarie. Uno sue tre fra i soggetti scarcerati con alle spalle due esperienze detentive ha fatto reingresso in carcere almeno una volta nei primi 35 mesi dall’entrata in vigore della legge, mentre addirittura più di uno su due fra i soggetti con alle spalle più di cinque esperienze detentive ha fatto reingresso in carcere. Si tratta di percorsi esistenziali consolidati che il carcere non riesce ad interrompere, ma piuttosto consolida attraverso l’insieme di pratiche relazionali efficacemente descritte attraverso la metafora del processo di prigionizzazione (Clemmer, 1997). In questo senso, per tali soggetti appare evidente come il carcere acquisisca la forma di una struttura a “porte girevoli” (Robert, 1995) che in breve tempo tornerà ad ospitare nuovamente persone coinvolte in una pluralità di esperienze devianti. In presenza di tali situazioni, l’indulto appare poco più che una delle tante tappe di un processo di criminalizzazione (Hester, Eglin, 1999) che non è interrotto da un gesto episodico di clemenza, ma che richiederebbe un processo di revisione esistenziale, adeguatamente supportato, non percorribile attraverso la semplice scarcerazione.
In parte, le misure alternative appaiono in grado di supportare tali percorsi di mutamento. I dati sulla recidiva del campione di soggetti in misura alternativa (tabella 5) mostrano come anche per tali soggetti vi sia una progressiva tendenza all’aumento dei tassi di recidiva rispetto al numero di precedenti carcerazioni. Tuttavia, pur aumentando progressivamente, i tassi di recidiva dei soggetti con numerose esperienze detentive alle spalle rimangono sempre su livelli inferiori rispetto a quelli riscontrati fra le persone provenienti dal carcere. Nel caso del campione di liberati dalla misura alternativa, ad esempio, meno di uno su quattro fra i soggetti con alle spalle due esperienze detentive ha fatto nuovamente reingresso in carcere nei 35 mesi che hanno seguito l’indulto, mentre più del 60% dei soggetti con alle spalle cinque detenzioni ed oltre non ha nuovamente commesso reati nel periodo in considerazione. Tale dato pare fornire argomenti a favore dell’intrinseca maggiore efficacia delle misure alternative nel supporto del percorso di reinserimento sociale non deviante, anche nei confronti di quei (pochi) soggetti con numerose esperienze penitenziarie che riescono ad ottenere l’applicazione di una forma di esecuzione della pena di carattere extra-carcerario.  D’altro canto, non occorre trascurare il fatto che le modalità e la natura di tale efficacia debbono essere necessariamente verificate in maniera maggiormente compiuta e che il processo di selezione del campione di condannati che giungono alla misura alternativa opera attraverso procedure che vanno oltre il dato statisticamente rilevabile attraverso la lettura dei dati oggettivi sull’età ed il numero di precedenti esperienze detentive. Tuttavia, i riscontri offerti dai dati in possesso, e la presenza di precedenti ricerche che offrono una medesima chiave di lettura del fenomeno (Santoro, Tucci, 2006), inducono a prospettare tale ipotesi come punto di partenza di un percorso di ricerca volto ad indagare i possibili effetti positivi, in termini di prevenzione speciale, di un allargamento nell’utilizzo delle misure alternative come forma di esecuzione della pena nei confronti di un più elevato numero di persone sottoposte ad esecuzione penale. 

Tabella 4. Recidiva rispetto al numero di precedenti carcerazioni. Soggetti provenienti dal carcere
Numero di precedenti carcerazioni    Numero di dimessi    Numero di rientrati    Tasso di recidiva
Nessuna     11.086    2.038    18,38%
Una     5.249    1.421    27,07%
Due     3.310    1.109    33,50%
Tre    2.330    918    39,40%
Quattro    1.786    783    43,84%
Cinque e oltre    4.204    2.208    52,52%
Totale    27.965    8.477    30,31%

Tabella 5. Recidiva in relazione al numero di precedenti carcerazioni. Soggetti provenienti dalla misura alternativa
Numero di precedenti carcerazioni    Soggetti dimessi    Soggetti rientrati    Tasso di recidiva
Nessuna    3.295    478    14,51%
Una     1.651    329    19,93%
Due    978    238    24,34%
Tre     606    177    29,21%
Quattro     429    145    33,80%
Cinque e oltre    870    338    38,85%
Totale    7.829    1.705    21,78%

2. Luoghi di arresto e nazionalità dei recidivi
Interessanti spunti di osservazione possono essere tratti dalla lettura dei dati relativi alle regioni di liberazione e di arresto dei beneficiari e da quelli che si riferiscono alla nazionalità degli indultati.
I dati in questa sede presentati sono aggregati e si riferiscono alla generalità dei beneficiari della legge, senza distinzione in base alla provenienza dal carcere o dalla misura alternativa.
Partendo dal dato relativo alla distribuzione territoriale delle dimissioni e degli arresti è possibile osservare come il dato regionale offra un quadro assai variegato (tabella 6). Alcune differenze  sono naturalmente riconducibili alla dimensione delle regioni ed alla collocazione dei grandi centri urbani che hanno attirato i movimenti migratori delle persone scarcerate. Appare quindi comprensibile il fatto che regioni più piccole, prive di grandi centri urbani, presentino percentuali di reingressi assai più basse rispetto alla media nazionale e che fra molte delle regioni più grandi vi siano percentuali di rientri superiori alla media nazionale. Tuttavia, all’interno di tale quadro generale, vi sono notevoli differenze, fra regioni anche molto vicine fra di loro, che non possono essere attribuite esclusivamente alla presenza o meno di grandi centri urbani o spiegate sulla base delle migrazioni dei soggetti scarcerati verso le grandi città. Se in alcuni casi, come ad esempio la Campania, l’elevato tasso di recidiva era, per diverse ragioni, prevedibile , non è possibile affermare la stessa cosa per regioni, quali la Toscana, la Puglia, la Sardegna e la Liguria che presentano anch’esse una percentuale di recidivi superiore rispetto alla media nazionale. Parallelamente, alcune regioni territorialmente vicine a quelle con i più elevati tassi di recidiva, e con grandi centri urbani al loro interno, come la Lombardia, il Lazio, il Piemonte e la Sicilia mostrano tassi di reingressi inferiori alla media nazionale. Appare quindi evidente come tali sensibili differenze nelle percentuali di reingressi in carcere nascondano specificità proprie delle singole regioni che necessitano di essere indagate attraverso appositi studi di caso. In particolare, attualmente non si dispone di dati certi relativi all'accoglienza delle persone ex detenute. Come rilevato da molti, la mancanza di un reale coordinamento centrale al momento dell'emanazione del provvedimento ha determinato una situazione a macchia di leopardo nella quale, probabilmente, le regioni con maggiori risorse, in termini di enti locali impegnati nell'accoglienza dei soggetti in difficoltà, oltre che di organizzazione del volontariato, hanno potuto offrire maggiori possibilità nell'accoglienza degli indultati. Allo stesso tempo, i dati relativi all'accoglienza dei liberati non sono da soli sufficienti a spiegare le differenze fra una regione ed un'altra, altrimenti non si spiegherebbe perché una regione tradizionalmente impegnata nell'accoglienza dei soggetti in difficoltà come la Toscana presenti tassi di recidiva nettamente più elevati rispetto ad altre regioni meno attive in tal senso. Si ritiene quindi che una prospettiva di indagine completa sulle procedure che hanno determinato tali differenze nei dati debba necessariamente andare ad indagare, oltre alle prassi di accoglienza informale instauratesi all'interno delle singole realtà territoriali, anche le modalità operative delle agenzie del controllo sociale all'interno delle singole regioni e le scelte organizzative adottate da tali agenzie nel controllo dei soggetti liberati.

Tabella n.6. Recidiva su base regionale
Regione    Numero di dimessi    Numero di rientrati    Tasso di recidiva
Abruzzo    980    267    27,24%
Basilicata    344    89    25,87%
Calabria    1.152    305    26,48%
Campania    4.337    1.490    34,35%
Emilia Romagna    2.445    665    27,20%
Friuli Venezia Giulia    581    134    23,06%
Lazio    3.729    1.044    28%
Liguria    1.155    341    29,52%
Lombardia    5.232    1.357    25,94%
Marche     479    133    27,77%
Molise    246    39    15,85%
Piemonte    2.919    744    25,49%
Puglia     2.390    777    32,51%
Sardegna    1.264    394    31,17%
Sicilia    3.858    1.096    28,41%
Toscana     1.855    615    33,15%
Trentino Alto Adige    368    106    28,80%
Umbria    555    122    21,98%
Valle d'Aosta    191    40    20,94%
Veneto    1.712    424    24,77%
Non definito    2    -    -
Totale    35.794    10.182    28,45%

Per molti versi ancor più interessante appare il dato relativo alla nazionalità dei beneficiari del provvedimento e di coloro che in questi mesi hanno nuovamente fatto ingresso in carcere. È noto infatti come le carceri italiane abbiano visto negli ultimi anni progressivamente aumentare il numero di soggetti stranieri reclusi. Tale incremento percentuale della popolazione detenuta straniera è generalmente interpretato come una maggiore tendenza a delinquere degli immigrati rispetto agli italiani . È altresì noto come alcuni studi abbiano proposto un'interpretazione alternativa fondata sul fatto che i soggetti stranieri sono generalmente sottoposti ad un più incisivo controllo sociale, godono di minori garanzie nel momento in cui si confrontano con il sistema della giustizia penale ed accedono con maggiori difficoltà, a causa del proprio status sociale, alle forme alternative di esecuzione della pena previste dall’Ordinamento Penitenziario . I dati disponibili sulla recidiva degli stranieri beneficiari del provvedimento di indulto sono in grado di offrire un contributo al dibatti sul tema che in parte smentisce la tesi dominante secondo la quale gli stranieri sarebbero maggiormente inclini alla reiterazione del reato. I dati presentati nella tabella 7 mostrano una netta maggiore tendenza al rientro in carcere fra gli italiani: la percentuale di reingressi fra gli stranieri è del 21,36%, mentre fra gli italiani risulta essere il 31,99%. Ora, a mitigare la sorpresa per tale dato possono influire diversi fattori. In primo luogo, non occorre trascurare il fatto che alle scarcerazioni di soggetti stranieri sono con frequenza seguiti provvedimenti di espulsione che potrebbero aver diminuito la capacità recidivante dei soggetti stranieri scarcerati. Tuttavia, in assenza di dati certi sul numero di espulsioni di soggetti beneficiari del provvedimento di clemenza realmente eseguite, non è possibile quantificare con esattezza il fenomeno; inoltre, l’esperienza insegna che, a fronte di un elevato numero di provvedimenti di espulsione nei confronti di cittadini stranieri privi di regolare permesso di soggiorno, e di conseguenti ingressi nei Centri di Identificazione e di Espulsione, i rimpatri materialmente eseguiti sono in realtà un numero assai ridotto. In secondo luogo, non occorre trascurare il fatto che lo stato di clandestinità permette, per alcuni soggetti, di vivere in una condizione di “ombra”, fatta fra l'altro di dati anagrafici inesatti o difficilmente riconducibili alla reale identità dell'individuo. Tale condizione permette ad alcuni, una volta fermati, di sfuggire all'identificazione e quindi di non risalire ai reali precedenti penali. In questo senso, i dati statistici sui reingressi dei soggetti stranieri debbono necessariamente essere valutati con una certa prudenza. Ciononostante, una differenza così marcata fra i due gruppi impone delle riflessioni che in qualche modo vadano ad intaccare i presupposti su cui si fondano le attuali politiche penali che vedono nel cittadino immigrato l'obiettivo principale delle politiche repressive. Se, infatti, si accosta il dato sulla recidiva degli indultati a quello sull'attuale composizione della popolazione carceraria, che vede il numero di stranieri oramai prossimo al 40%, alcune considerazioni appaiono necessarie. In particolare, ciò che emerge è che l'attuale aumento della popolazione detenuta straniera non è dovuto al comportamento recidivante dei soggetti liberati a seguito dell'indulto, ma ad una progressivo inasprimento del controllo nei confronti della popolazione immigrata. Ciò si manifesta in primis nell'utilizzo del carcere come strumento cautelare e punitivo, in nome di criteri di affidabilità che non paiono confermati dal dato sui tassi di recidiva.

Tabella n.7. Tasso di recidiva rispetto alla nazionalità
Nazionalità    Numero di dimessi    Numero di rientrati    Tasso di recidiva
Italiani    23.938    7.658    31,99%
Stranieri    11.856    2.532    21,36%
Totale    35.794    10.182    28,45%

Conclusioni
Il monitoraggio sull'impatto del provvedimento di indulto, giunto oramai alla soglia del terzo anno dall'approvazione della legge, permette di avanzare dei giudizi che possono considerarsi pressoché definitivi.
In primo luogo, la lettura dei tassi di recidiva, confrontati con i dati emersi dai (pochi) studi che hanno affrontato il fenomeno, e letti alla luce dell'andamento mensile dei reingressi in carcere, permettono di affermare che i beneficiari del provvedimento di indulto hanno tassi di recidiva inferiori rispetto a coloro che abitualmente scontano la pena per intero in carcere. Questo dato contraddice nettamente quello che è un senso comune diffuso sugli effetti criminogeni dei provvedimenti di clemenza e sull'esigenza della certezza della pena come strumento di prevenzione speciale nei confronti del reo. Al contrario, è possibile affermare che, soprattutto per coloro che si trovavano alle prime esperienze detentive, la clemenza è stato uno strumento per sfuggire dai circuiti devianti che all'interno del carcere trovano un'efficace strumento di consolidazione, e per intraprendere percorsi esistenziali non caratterizzati dalla commissione di nuovi reati.
In secondo luogo, come in tutti gli altri studi che hanno affrontato il fenomeno, coloro che scontavano la pena in misura alternativa, si sono mostrati recidivi in misura inferiore rispetto a chi proveniva dal carcere. Lo studio condotto attraverso il rapporto fra tassi di recidiva e numero di precedenti carcerazioni ha permesso di evidenziare come all'interno delle attuali politiche penali ci sia lo spazio per un maggiore utilizzo di misure alternative alla carcerazione nell'ottica di una riduzione dei comportamenti recidivanti. Inoltre, in apparente contraddizione, il fatto che lo scarto percentuale fra recidivanti provenienti dal carcere e provenienti dalla misura alternativa sia meno evidente rispetto a quello riscontrato in altre ricerche, offre ulteriori argomentazioni a favore di un incremento nell'utilizzo di tali misure. Infatti, il caso dell'indulto pare mostrare come l'improvvisa interruzione di programmi aventi un reale valore trattamentale nei confronti di soggetti bisognosi di un supporto possa, per alcuni di essi, risultare dannoso; al contrario, la scarcerazione non pare aver prodotto il medesimo effetto sulle persone coinvolte.
In terzo ed ultimo luogo, la ricerca pone seri interrogativi sugli stereotipi attraverso i quali troppo spesso sono affrontate le politiche criminali. Il caso del cittadino straniero appare in questa fase storica come il fenomeno di maggiore evidenza. Pur senza la pretesa di spiegare tutto attraverso un unico dato, e con tutte le cautele di cui si è detto, il fatto che negli ultimi tre anni nel nostro paese si sia assistito ad una progressiva incarcerazione dei soggetti migranti, solo in minima parte già beneficiari del provvedimento di clemenza, deve necessariamente portare a delle riflessioni sulle politiche penali adottate in questi ultimi anni e sull'eccessiva criminalizzazione cui è stato sottoposto il fenomeno migratorio.

Bibliografia
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61.481 detenuti
il 7/2/2014


Osservatorio sulla contenzione
a cura di Grazia Serra

  
   

   
    a cura di Francesco Gentiloni

" Il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri"
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