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Il buon giudice - Sandro Margara risponde

Caro Presidente,

per un reato molto grave, commesso  molti anni fa e quando ero molto giovane, sono stato condannato a trent’anni. Dopo quindici anni di carcere ho iniziato ad usufruire di permessi premio. L’esperienza si è interrotta in seguito ad una sanzione disciplinare  Secondo l’ordinamento penitenziario avrei dovuto subire la sospensione dei benefici per due anni ma così non è stato. Nonostante una relazione di sintesi che si esprime favorevolmente rispetto alla ripresa dei permessi premio, il magistrato di sorveglianza continua a respingere le mie richieste di benefici . Ma, quel che è peggio sono le motivazioni dei vari rigetti che tirano in ballo la “la gravità del reato commesso” e mettono in dubbio il mio equilibrio psichico, benché non sia mai stato classificato come paziente psichiatrico. La relazione,elaborata su  apposita richiesta del magistrato dallo psichiatra, è stata ritenuta inadeguata  forse perché non c’era scritto quello che il giudice sperava di trovarvi: “quest’uomo è pazzo”. Qualche giorno fa, poi, ho ricevuto il rigetto ad un  ricorso che  avevo inoltrato dopo l’ennesimo rifiuto di un beneficio e il collegio  ventila  addirittura un mio possibile ricovero in casa di cura e custodia al termine della pena. Questa possibilità  mi spaventa e mi  disorienta perciò le chiedo: quali  strumenti ho per evitare tutto questo?

Fabio Barone



Caro Corrispondente o come ti devo chiamare,

E’ pacifico che c’è una incapacità, per i detenuti, di capire cosa gli capita. Infatti le leggi stanno diventando sempre meno comprensibili, sia perché scritte male, sia perché piene di rimandi e anche di rimandi ad altre leggi ancora. Interpretarle è una corsa a ostacoli.
Così, devo cercare di rendere comprensibile la tua richiesta prima di rispondere alla stessa.

Primo. La interruzione dei permessi non è dovuta ad una “sanzione disciplinare”, come dici, bensì ad un rapporto disciplinare con il quale venivi denunciato per un reato. Per l’art. 30ter, comma 5, “nei confronti dei soggetti che, durante l’espiazione della pena…hanno riportato condanna o sono imputati per un delitto doloso commesso durante la espiazione della pena…la concessione (dei permessi) è ammessa soltanto decorsi due anni dalla commissione del fatto”. Quindi la sospensione del permesso “per due anni”, come poi chiarisci anche tu, è dovuta al reato per cui sei stato denunciato e sei imputato (può essere una resistenza o una minaccia a un poliziotto penitenziario o una lesione volontaria a un compagno, procedibile d’ufficio o a querela, nel caso, improbabile, che la querela ci sia). Per la verità essere denunciato e essere imputato non è la stessa cosa e la norma ora citata richiede la seconda cosa: cioè essere “imputato”, e questo è chiarito dall’art. 60 del C.p.p.: ci dovrebbe essere almeno la richiesta di rinvio a giudizio nella quale si indica l’imputazione. Qui bisognerebbe sapere cosa è successo di quella denuncia e che sviluppo giudiziario ha avuto. Devo aggiungere che molti giudici si accontentano della denuncia per sospendere i permessi, ma fanno male perché la legge è chiara: bisogna essere imputati (o, ovviamente condannati).

Secondo. Per capire interamente il tuo caso bisognerebbe avere poi un altro chiarimento. Tu fai riferimento a un problema psichiatrico che è stato sollevato dai giudici. Mi dici che sei condannato a trenta anni “per un reato molto grave”. E’ possibile che tale pena sia stata inflitta (invece dell’ergastolo), riconoscendo la seminfermità mentale e, quindi, diminuendo la pena, ma prevedendo la applicazione della casa di cura e custodia, che dovrebbe seguire, di regola, la conclusione della esecuzione della pena? Se le cose stessero così, si spiega “la casa di cura e custodia al termine della pena”, di cui parla un ultimo provvedimento del tribunale di sorveglianza. Però, questo discorso ha senso solo se è vera l’ipotesi che ti hanno riconosciuto la seminfermità e applicato la misura della casa cura e custodia con la sentenza. Se non è così, è improponibile applicare ora la misura. E anche se la stessa fosse applicata in sentenza non sarebbe ora il momento di intervenire: come regola, a fine pena, dovrebbe essere il magistrato di sorveglianza ad accertare la pericolosità sociale a quella data, cosa che sarebbe da escludere se tu avessi avuto un percorso penitenziario quale quello che stavi avendo prima della denuncia e che potresti tornare ad avere. Altro sarebbe se durante la pena fossero emersi problemi psichiatrici veri e propri: il che lo psichiatra di cui mi parli, almeno oggi, avrebbe escluso.

Terzo. I due punti precedenti sono essenziali per capire il tuo caso. Quanto alle valutazioni del giudice che non ti vuol ridare i permessi che, evidentemente un altro, ti aveva già concesso, che posso dirti? Effettivamente quello di tornare oggi sulla gravità del reato per cui è stata inflitta la pena, smentisce la valutazione dell’altro giudice che i permessi te li aveva già concessi. E questo non è bene: almeno nello stesso Ufficio, ci dovrebbe essere una comunicazione fra i giudici che produce una certa omogeneità di valutazioni. Quanto alla esigenza di una valutazione psichiatrica non capisco come sia sorta. Se è solo perché in sentenza vi sono quelle valutazioni che io ho supposto, sarebbe minimamente ragionevole, ma, se è vero quello che mi dici, lo psichiatra non ha rilevato problemi attuali. Come pare non farlo anche il gruppo di osservazione che ritiene che tu possa tornare ai permessi. Anche qui, comunque, c’è il fatto delle concessioni precedenti. Per finire c’è quel reato per cui ti hanno denunciato in carcere. I due anni sono comunque passati e se il gruppo di osservazione è favorevole ai permessi quel fatto non dovrebbe essere una gran cosa: almeno penso.
Cosa posso concludere e dirti? Di ricorrere anche per Cassazione contro le ordinanza del Tribunale di sorv. emesse a conferma dei rigetti del magistrato di sorv.. La soluzione favorevole, anche per questa via, non è sicura. Forse è meglio affidarsi ancora agli operatori e alle buone ragioni che possono tornare a fare valere presso il giudice.

Sandro Margara

 

 
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