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Il codice fiscale in carcere

Caro Presidente, le sottopondo un problema in apparenza (solo in apparenza) di modeste proporzioni. In carcere, non solo nel mio carcere, sono numerosi i detenuti stranieri irregolari, privi cioè di permesso di soggiorno  e della relativa documentazione. Tra gli atti di cui quei detenuti patiscono l’assenza c’è anche il codice fiscale. Pochi ci pensano, e soprattutto nessuno provvede, ma il codice fiscale ha indubbiamente una sua importanza nella vita quotidiana delle persone. Anche delle persone recluse. Anche delle persone recluse e straniere. Chi non dispone di quel codice alfanumerico è privato di alcune possibilità e la sua condizione di svantaggio risulta ancora più svantaggiata. Senza il codice fiscale, ad esempio, non si può ricevere la mercede, modesta, modestissima, quasi oltraggiosa per la sua esiguità, eppure preziosissima – che viene data ai detenuti lavoranti. Questo già fa sì che i detenuti stranieri irregolari vengano esclusi da qualunque attività remunerata che si svolga all’interno del carcere. Possibile che nessuno ci abbia pensato? Possibile che a nessuno sia venuto in mente di assegnare, che so?, un codice provvisorio, parziale, fittizio, ma utile a registrare un compenso ricevuto? Che ne pensa, presidente? Cosa propone di fare?

Grazie dell’attenzione e cordiali saluti.
Dott. Francesco Cuoco - psicologo


Caro dottor Cuoco,
ho raccolto informazioni per quello che riguarda Bologna e Firenze (intesi come carceri). La risposta è stata univoca. Il codice fiscale può essere ricavato dal competente Ufficio pubblico (che dovrebbe essere l’Agenzia delle entrate) da qualunque nome, sia o meno assistito da una documentazione. Anche un nome fasullo, un alias, può consentire di ricavarne un codice fiscale. Il problema pertanto può essere posto, ma ne è agevolmente possibile la soluzione. Certo, il carcere deve richiederlo all’ufficio competente, ma questo risponderà: si tenga presente che il codice fiscale serve a fare pagare le tasse e nessun ufficio pubblico si tirerà indietro. E’ possibile che qualche resistenza la faccia il carcere nel chiedere, ma è una resistenza sicuramente ingiustificata. Sandro Margara




Interrogazione lavoro in carcere - codice fiscale
Al Ministro delle Finanze
Al Ministro dell’Interno
Al Ministro della Giustizia
Al Ministro del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali
Per sapere - premesso che:

l’elemento fondamentale del trattamento intramurario è sicuramente il lavoro (art. 15, L. 354/1975) sia perché permette ai detenuti di occupare il tempo in maniera costruttiva, sia perché consente loro di garantirsi un minimo di indipendenza economica. Per gli stranieri questo aspetto diventa ancora più rilevante, anche perché spesso si trovano soli ad affrontare la carcerazione ed in tal senso necessitano di una sia pur limitata occupazione lavorativa capace di potergli fruttare un minimo di reddito, necessario per la loro sussistenza in carcere e per affrontare spese legali e di giustizia;

la normativa vigente detta i criteri per l’ammissione all’attività lavorativa intramuraria stabilendo che occorre assicurare tale possibilità prima ai condannati e agli internati, poi ai ricorrenti ed appellanti ed infine agli imputati sottoposti a custodia cautelare in carcere. In pratica vi è una sorta di graduatoria che tiene conto della posizione giuridica del detenuto nonché del periodo di pena da scontare e considerato che i periodi di attesa sono molto lunghi e che gli stranieri, nella maggior parte dei casi, hanno pene piuttosto brevi, risulta alquanto difficile, già in partenza, assicurare loro un’attività lavorativa;

oltre a questa difficoltà di ordine generale, gli stranieri extracomunitari reclusi in carcere e privi del permesso di soggiorno, per poter lavorare durante il periodo di detenzione, devono superare l’ulteriore ostacolo rappresentato dal mancato possesso del codice fiscale, documento senza il quale non è pensabile svolgere una qualsiasi attività lavorativa, né autonoma, né  dipendente e che può essere rilasciato allo straniero extracomunitario solo dietro presentazione di un valido permesso di soggiorno;

attesa la centralità del lavoro rispetto al trattamento intramurario, il Ministero della Giustizia – con la circolare emanata in data 12 aprile 1999 n. 547671/10 ad oggetto “Detenuti extracomunitari, avviamento al lavoro e rilascio codice fiscale” – ha stabilito che, a seguito di intese con il Ministero delle Finanze, può essere rilasciato il codice fiscale a coloro che non siano in possesso di un valido documento di identità e di un regolare permesso di soggiorno, attraverso la presentazione della richiesta, per conto del detenuto, da parte del Direttore dell’Istituto di pena. Tale richiesta deve essere accompagnata da una attestazione della direzione del carcere recante i dati anagrafici del detenuto che è stato identificato dall’autorità giudicante;

in pratica la circolare richiamata prevede che in questi casi, ai fini del rilascio del codice fiscale, non occorre né il possesso del permesso di soggiorno, dal momento che lo spazio di detenzione costituisce già di per sé una condizione di soggiorno obbligatorio, né un documento di identità valido, visto che il fatto che lo straniero detenuto sia stato sottoposto a procedimento penale e soggetto a condanna implica, di per sé, il superamento di ogni dubbio circa la sua identità (e quindi la mancanza di valido documento può essere superata tramite, appunto, la presentazione della richiesta di codice fiscale, intestato al detenuto, da parte del direttore del carcere o di un suo delegato);

nonostante la predetta circolare, a seguito dell’entrata in vigore della legge 15 luglio 2009 n. 94 recante “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica” e della coeva introduzione del reato di immigrazione clandestina (perseguibile d’ufficio), in alcuni istituti di pena non viene più rilasciato - alle persone recluse non in grado di esibire i documenti inerenti al soggiorno ex art. 6, comma 2, D.lgs n. 286/1998 -  il codice fiscale necessario allo svolgimento dell’attività lavorativa intramuraria e/o extramuraria (art. 21 Legge n. 354/1975); sicché l’unico modo che questa categoria di reclusi ha per poter svolgere una qualche attività lavorativa è quello di ricorrere all’ausilio dei volontari;

le innovazioni al codice penale e al Testo Unico sull’Immigrazione introdotte dalla legge n. 94/09 rischiano pertanto di spogliare della sua identità il clandestino ristretto in carcere: già prima, infatti, era molto difficile per l’extracomunitario non in regola con il permesso di soggiorno poter ottenere qualche documento dall’interno del penitenziario, ora è diventato quasi impossibile;

il preminente valore costituzionale della funzione rieducativa della pena, sotteso alla possibilità riconosciuta ad ogni singolo detenuto di lavorare all’interno o all’esterno del carcere, deve costituire la necessaria chiave di lettura delle modifiche introdotte dalla legge n. 94 del 2009, sicché l’interpretazione costituzionalmente orientata della richiamata normativa consente di affermare che la possibilità di svolgere attività lavorativa negli istituti non può essere, a priori, esclusa nei confronti degli stranieri privi del permesso di soggiorno, ciò perché deve essere senz’altro negata la possibilità di introdurre discriminazioni tra cittadini (e stranieri muniti di permesso di soggiorno) e stranieri in condizione di clandestinità, per la decisiva ragione che le relative disposizioni di legge sono dettate a tutela della dignità della persona umana, in sé considerata e protetta indipendentemente dalla circostanza della liceità o meno della permanenza nel territorio italiano (sotto questo profilo un’eventuale disparità di trattamento normativo risulterebbe indubbiamente contraria ai principi di uguaglianza e al canone della ragionevolezza di cui all’art. 3 della Costituzione);

il mancato rilascio del codice fiscale, impedendo la possibilità per il detenuto di svolgere attività lavorativa fuori dal carcere, appare totalmente contrastante non solo con gli art. 3 e 27 della Costituzione, ma anche con quella consolidata prassi amministrativa (e giurisprudenziale) tesa a riconoscere anche allo straniero privo del permesso di soggiorno la possibilità di accedere alle misure alternative alla detenzione. Ed invero, con circolare del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del 23.03.1993, trasmessa alle questure con circolare del Ministero dell’Interno n. 8 del 02/03/1994, è stato precisato che i cittadini stranieri sprovvisti del permesso di soggiorno “sono tassativamente obbligati in forza di una decisione giurisdizionale a permanere sul territorio italiano ed a svolgere attività lavorativa in alternativa alla pena detentiva.”. Le medesime regole sono state ribadite, anche successivamente all’entrata in vigore del D.lgs n. 286/1998, con circolari del Ministero della Giustizia del 16.03.1999, prot. 547899, e del Ministero dell’Interno n. 300 del 2.12.2000: in quest’ultima è dato atto che “riguardo alla posizione di soggiorno dei cittadini stranieri detenuti ammessi alle misure alternative previste dalla legge, quali la possibilità di svolgere attività lavorativa all’esterno del carcere, si rappresenta che la normativa vigente non prevede il rilascio di un permesso di soggiorno ad hoc per detti soggetti. In dette circostanze non si reputa possibile rilasciare un permesso di soggiorno per motivi di giustizia né ad altro titolo, ben potendo l’ordinanza del magistrato di sorveglianza costituire ex se un’autorizzazione a permanere nel territorio nazionale”;

peraltro la possibilità, per gli stranieri privi del permesso di soggiorno, di svolgere attività lavorativa all’esterno del carcere è stata disciplinata dalla circolare n. 27/93 del Ministero del Lavoro con la quale è stato chiarito che è sufficiente un apposito atto di avviamento al lavoro rilasciato dagli Uffici provinciali del Lavoro, e ciò “prescindendo dalla iscrizione nelle liste di collocamento, dal possesso del permesso di soggiorno e dall’accertamento di indisponibilità”; il predetto atto deve avere “validità limitata al tipo di attività lavorativa e al periodo indicati nel provvedimento giudiziario di ammissione al beneficio di cui trattasi e non costituirà titolo valido per la iscrizione nelle liste di collocamento alla cessazione del rapporto di lavoro per il quale è stato concesso”;

a giudizio dell’interrogante occorre urgentemente rimuovere gli ostacoli di carattere burocratico che – successivamente alla entrata in vigore del reato di immigrazione clandestina e delle modifiche apportate al Testo Unico sull’Immigrazione dalla Legge n. 94/2009 - incontrano i detenuti extracomunitari privi del permesso di soggiorno che intendono svolgere un’attività lavorativa, sia dentro che fuori le mura; ciò anche alla luce di quanto recentemente dichiarato dal Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, dott. Franco Ionta, il quale alla Fiera di Rimini ha definito il lavoro all’interno del carcere “una formidabile opportunità”, visto e considerato che “un detenuto che lavora probabilmente non delinque più e che senza il lavoro l’uomo si riduce a bestia”;

per sapere:

se e quali provvedimenti intendano adottare il Ministro della Giustizia e quello delle Finanze affinché sia chiarito, anche mediante circolari ministeriali esplicative dirette al personale dell’amministrazione penitenziaria e delle Agenzie delle Entrate regionali, che anche successivamente all’entrata in vigore della Legge n. 94 del 2009 e del reato di immigrazione clandestina, nulla inibisce il rilascio del codice fiscale ai detenuti extracomunitari non in regola con il permesso di soggiorno che intendono svolgere attività lavorativa all’interno o all’esterno del carcere secondo quanto previsto e stabilito dalle norme dell’Ordinamento Penitenziario;

se e quali provvedimenti intendano adottare il Ministero del Lavoro e quello dell’Interno affinché sia chiarito, anche mediante apposita circolare ministeriale esplicativa diretta agli Uffici Provinciali del Lavoro e alle Questure, che anche successivamente alla introduzione del reato di immigrazione clandestina e delle modifiche apportate al Testo Unico sull’Immigrazione dalla legge n. 94 del 2009, nulla osta al persistere dell’applicabilità della apposita procedura di avviamento al lavoro delineata nella circolare n. 27 del 15 marzo 1993.







Carcere e codice fiscale

Antonella Barone
Qualche volta succede che il carcere -pur  tra  problemi e carenze di ogni tipo – sperimenti percorsi  sociali virtuosi e persino avanzati. Per esempio è accaduto che a lungo proprio (e soltanto) in carcere gli stranieri privi di permesso di soggiorno avessero, almeno nell’attività lavorativa, diritti e doveri uguali agli italiani. Questo è stato possibile grazie ad un’importante  interpretazione   contenuta nella circolare n. 27 del 15.03.1993 del Ministero del Lavoro: la sottoposizione a procedimento penale, implica il superamento di ogni dubbio circa l’identità dello straniero, mentre lo spazio di detenzione costituisce di per sé una condizione di” soggiorno obbligatorio”  La circolare n.  547671/10 del 12 aprile 1999 del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria  aveva fatto espressamente conseguire  da tale affermazione la possibilità per lo straniero, pur in mancanza di documenti di identità e di permesso di soggiorno, di richiedere,il codice fiscale  tramite il direttore dell'istituto penitenziario o di un suo delegato.
Questi specifici interventi interpretativi sono stati resi necessari da alcune contorte logiche carcerarie secondo le quali gli stranieri avrebbero altrimenti avuto delle identità intermittenti, certe per scontare la pena, assenti per lavorare,andare in comunità o esercitare altri diritti.
E’ stato così che , per anni, in carcere hanno potuto lavorare anche i detenuti stranieri non in regola, vale a dire praticamente tutti i condannati, considerato che con l’attuale normativa sull’immigrazione, la pena detentiva rende automaticamente clandestini anche i“regolari”.
Ma ora anche questo sistema miracolosamente funzionante è minacciato.dalle innovazioni al codice penale e al Testo Unico sull’Immigrazione  apportate dalla legge n.94/09 . Infatti  l’introduzione del reato di immigrazione clandestina comporta l’impossibilità di assegnare il codice fiscale agli stranieri privi di permesso di soggiorno. Viene così messa a rischio quell’opportunità che ha consentito all’Amministrazione penitenziaria di rispettare alcuni fondamenti della legge  26 luglio 1975, n. 354 ed in particolare il combinato disposto tra l’art. 15 - che colloca il lavoro tra gli elementi del trattamento - e l’art. 1 comma 2 che impone  un trattamento“improntato ad assoluta imparzialità, senza discriminazioni in ordine a nazionalità, razza e condizioni economiche e sociali, a opinioni politiche e a credenze religiose”.
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Numero dei detenuti presenti su 43084

61.481 detenuti
il 7/2/2014


Osservatorio sulla contenzione
a cura di Grazia Serra

  
   

   
    a cura di Francesco Gentiloni

" Il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri"
Voltaire

 


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