Da violentato a violentatore? di Luigi Manconi
La parlamentare radicale Elisabetta Zamparutti segue da tempo la vicenda di Gratian Gruia, quattro anni non ancora compiuti. Il bambino venne trovato due anni fa in una situazione terribile dalla squadra mobile di Roma: abbandonato dalla madre, era costretto dalla nonna a mendicare. A seguito della perdita della potestà genitoriale da parte del padre e della madre, Gratian veniva accolto in una casa famiglia di Roma. Qui lo raggiunse una richiesta di riconsegna da parte del Governo romeno e l Tribunale dei minori di Roma decideva il rimpatrio di Gratian, nonostante il parere negativo del Pm e dei consulenti. E così Gratian, dopo esser stato affidato a un’assistente sociale romena, venne poi assegnato, dal tribunale locale, a familiari del clan Gruia. Non è certo un caso isolato. La Romania sta adottando una politica di “recupero dei minori non accompagnati” a cui il Governo italiano si è reso disponibile firmando un accordo di cooperazione. Si noti che le circa tremila richieste di rimpatrio, riguardano esclusivamente bambini in età pre-scolare: e questo rende ancora più inquietanti i timori sul loro destino. Ma c’è un ulteriore considerazione da fare. Al di là delle deformazioni mediatiche e delle campagne di manipolazione degli allarmi sociali, è in dubbio che esista una qualche correlazione tra romeni in condizioni di marginalità sociale e atti di violenza sessuale. Le interpretazioni sono tante e le cause, probabilmente, assai fitte e inestricabili. Ma un’ ipotesi va fatta, senza attribuirle alcuna pretesa di lettura generale e, tanto meno esaustiva. La storia e la cronaca della Romania presentano uno scenario drammatico dove è strettissimo l’intreccio tra infanzia/adolescenza e condizioni diffuse di maltrattamenti, abusi, violenze sessuali, in ambito familiare e non. Nella storia della Romania post-comunista la tragedia dei bambini abbandonati è stata documentata mille volte. Ma si tratta di situazioni che, probabilmente, affondano le radici in epoche assai precedenti. Fino a configurare una sorta di modello latente di rapporto con l’infanzia/adolescenza dove la pratica dell’abuso e della sopraffazione costituisce un tratto significativo. Se tali comportamenti, ispirati alla violenza e alla violenza sessuale, hanno nutrito il senso comune di successive generazioni, o comunque di parti di esse, come stupirsi se si hanno le conseguenze attuali: bambini cresciuti all’interno di simili modelli culturali, e vittime di quegli stessi modelli, perché mai – una volta diventati adulti – non dovrebbero trasformarsi in predatori?
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