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Dolci evasioni

 

di Patrizio Gonnella

 

Dalle galere si cerca di scappare. Ci hanno provato, fra gli altri, Steve McQueen, Clint Eastwood, François Leterrier, Renato Vallanzasca, Licio Gelli. Questa è la storia di una evasione, ma anche la storia di un direttore penitenziario, ma anche la storia di un certo modo di amministrare le carceri. Il nostro (ossia l’evasore) aveva provato a scappare mentre era detenuto in un piccolo carcere nebbioso. Poi ci riprovò da un altro carcere nebbioso. Ci riuscì. La storia di questa evasione è un bella storia di guardie, ladri, spie, infami e corrotti. Fu mandato via il direttore, uomo ritenuto debole e incapace. A lui facevano schifo i poliziotti. Per non incontrali si faceva il caffè nella sua stanza con la moka. Non aveva colpe. Aveva segnalato ai capi a Roma che il nostro voleva evadere. Non aveva ricevuto risposta dai ministeri e dai ministri. Uomini tutti d’un pezzo. Vera razza padana. I ministri litigarono fra loro. Un gran casino scoppiò. Poi tutto finì a tarallucci e vino. L’accordo fu raggiunto: la colpa era del direttore. In ispezione mandarono un improbabile sottosegretario di Stato. Lui, dall’italiano incomprensibile, si sentì offeso perché i poliziotti terroni non lo salutarono con il cappello in testa e il present arm in bocca. Il carcere fu definito un colabrodo. Si diceva che la sicurezza faceva acqua. Fu pretesa una svolta: “ora si cambia regime, ora si cambia registro”. Ci vuole un nuovo direttore. Tutti, in primis i detenuti, si aspettavano che arrivasse qualcuno dal pugno di ferro, uno di quelli dal muso duro e che sanno indossare la tuta se necessario. Al limite si attendeva l’arrivo di un funzionario particolarmente probo e ligio al proprio dovere. Invece no! Queste sono le meravigliose sorprese dell’amministrazione penitenziaria. I capi delle carceri per qualche mese non mandarono proprio nessuno a sostituire l’incapace. Passata la buriana arrivò un nuovo direttore. Sorpresa delle sorprese. Non indossava tute. Non era un violento. Non era un fascista. Non era neanche un buono, un garantista, un democratico, uno aperto. Non era nessuno. Aveva paura della sua ombra. Non decideva mai. Se uno tentava di evadere lui aspettava un paio di settimane per poi partorire una grande decisione: “Ai miei subordinati perché decidano che fare”. Un giorno un detenuto disse che in carcere un poliziotto portava droga. Lui suggerì di non fare niente: “Sennò finirà che faranno trovare la droga nella tua borsa”.

Questa non è una storia esemplare di come funziona l'amministrazione penitenziaria. O se lo è, non è forse la cosa più importante. E', piuttosto, una storia che potrebbe essere una puntata di Blu Notte. Oppure un’inchiesta “di quelle che si facevano una volta”. La morale - ma anche il finale - è quella del capro espiatorio. In questo caso, di tanti capri espiatori: i poliziotti, i detenuti, i direttori, “quelli che possono evadere e, quindi, stiamoci molto attenti”, quelli che non evadono mai...

 
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il 7/2/2014


Osservatorio sulla contenzione
a cura di Grazia Serra

  
   

   
    a cura di Francesco Gentiloni

" Il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri"
Voltaire

 


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