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Fine pena mai?
di Valerio Onida


Lettera aperta al Presidente emerito Corte Costituzionale Valerio Onida

Siamo gli uomini ombra. Siamo gli uomini senza futuro.  SIAMO GLI ERAGSTOLANI ITALIANI. Quelli che hanno una pena che non finisce mai, perché soggetti alle preclusioni previste dall'art. 4 bis dell'ordinamento penitenziario. Dai giornali abbiamo appreso della creazione del sito innocentievasioni.net diretto da Luigi Manconi e Patrizio Gonnella sul quale Lei tiene una rubrica. Da qui l'idea degli ergastolani in lotta per la vita di Spoleto di rivolgerle qualche domanda.
SECONDO IL SUO PARERE:
L'ergastolo senza speranza è un crimine contro l'umanità?
L'ergastolo senza speranza è un crimine contro il diritto internazionale? L'ergastolo senza speranza è un crimine contro il diritto comunitario? L'ergastolo senza speranza è un crimine contro la Costituzione italiana?
Che differenza c'è tra il condannato a morte e l'ergastolano, dato che uno viene
seppellito da vivo e l'altro da morto?
Che ne pensa del fatto che in un decennio gli ergastolani sono passati da
un centinaio di ogni tempo alle migliaia attuali?
Pensa che questo possa celare una percentuale molto alta d'innocenti fra gli ergastolani dovuta ad una “giustizia che ha agito con la pala
invece che con la sonda, che ha accomunato responsabilità diverse, talvolta minime in un'unica pena come l'ergastolo?
Che ne pensa del fatto che un innocente che non ha mercanzia da offrire (la delazione per ottenere i benefici) si venga a trovare nella condizione di dover
pagare una pena maggiore, che nel caso il reato per il quale è stato condannato lo avesse veramente commesso?
Che ne pensa del fatto che negare la speranza, in base al reato per il quale è stato condannato sia un crimine maggiore di quello che si vuole punire?
Che ne pensa del fatto che vietare il reinserimento in base al reato e non ai propositi futuri del condannato, assomigli molto alla pena per il reato d'autore di nazista memoria?
Che ne pensa del fatto che la stragrande maggioranza degli ergastolani sottostanno alle preclusioni previste dall'art. 4 bis O.P.?
Che ne pensa dell'appello del cardinale Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano che ha detto che l'ergastolo toglie la speranza?
E' a conoscenza che gli ergastolani stanno attuando uno sciopero della
fame a staffetta in tutte le carceri italiane?
E' a conoscenza che 739 ergastolani italiani hanno proposto un ricorso al tribunale dei diritti dell'uomo di Strasburgo proc. N. 5592/08 per rivendicare una presa di posizione del parlamento europeo contro la pena dell'ergastolo così come si conta in Italia?
A proposito di questo ricorso le saremmo infinitamente grati se potesse offrirci la Sua disponibilità a sostenerlo nelle modalità e nelle sedi che riterrà opportune o a darci i Suoi preziosi consigli. Contiamo molto sul suo aiuto per portare avanti questa nostra lotta per la vita, una battaglia portata avanti in modo assolutamente pacifico. Vogliamo diffondere il nostro malessere e il nostro avvilimento noi che viviamo nel paese patria del diritto romano occidentale, paese dove oggi esiste nei fatti, una pena che è una tortura che finisce con la morte.

La ringraziamo. Gli ergastolani in lotta per la vita di Spoleto:
Carmelo Musumeci
Sebastiano Milazzo
Giovanni Spada
Ivano Rapisarda



Valerio Onida

Voglio dire subito che la battaglia per l’abolizione della pena dell’ergastolo continua e continuerà in sede politica e legislativa, nonostante i molti segnali che vanno in direzione esattamente opposta. Come scrisse la Corte costituzionale più di 40 anni fa, nella sentenza n. 114 del 1964, “le leggi penali vanno ispirandosi sempre più ai criteri di umanità riaffermati dalla nostra Costituzione. E’ una viva esigenza della coscienza sociale che un tale indirizzo, nel quadro di una efficiente difesa sociale contro il delitto, trovi sempre più civili e illuminate applicazioni”.
In ogni caso, sarebbe interessante sapere quanti sono in Italia i condannati all’ergastolo che hanno maturato i termini temporali per la concessione della liberazione condizionale, e che non l’hanno ottenuta dal Tribunale, e perché; quanti e quali sono, in definitiva, i casi in cui la pena rischia di trasformarsi davvero, in fatto, in pena perpetua, e quindi costituzionalmente inaccettabile.
Ma facciamo un passo indietro. Da decenni è aperto in Italia il dibattito (anche se oggi piuttosto sotto traccia) sull’abolizione della pena dell’ergastolo, facendosi osservare dai sostenitori di questa tesi, soprattutto, che una pena perpetua è di per sé in contrasto con la finalità rieducativa cui le pene debbono “tendere” secondo l’art. 27, terzo comma, della Costituzione: infatti se non c’è la prospettiva di tornare liberi, come può realizzarsi un percorso di ri-socializzazione, che deve essere rivolto a promuovere un reinserimento positivo del condannato nella società dei “liberi”?
La tesi abolizionista non è mai prevalsa finora in sede legislativa. Nel referendum a ciò rivolto, promosso dai radicali nel 1981, essa ebbe l’appoggio solo del 22,60 % dei voti validi, quindi di una minoranza (anche se di una minoranza più numerosa di quelle che appoggiarono gli altri  referendum promossi in quella occasione dai radicali, dal 14-15 % che votò per l’abrogazione delle leggi dell’ordine pubblico e sul porto d’armi, all’infimo 11,60 per cento che votò  a favore della ulteriore liberalizzazione dell’aborto rispetto alla disciplina della legge n. 194 del 1978).
Ma se fosse violata la Costituzione, l’opinione della maggioranza sarebbe irrilevante.
La questione di legittimità costituzionale della norma del codice penale che prevede la pena dell’ergastolo venne rigettata dalla Corte costituzionale nel 1974 (sentenza n. 264). La Corte da un lato affermò che la pena ha diverse funzioni (dissuasione, prevenzione, difesa sociale) e che il legislatore può (non deve) prevedere l’ergastolo quando esso sembri “indispensabile strumento di intimidazione per individui insensibili a comminatorie meno gravi, o mezzo per isolare a tempo indeterminato criminali che abbiano dimostrato la pericolosità e l‘efferatezza della loro indole”; dall’altro lato sottolineò che la possibilità (prevista dal 1962) di concedere anche ai condannati all’ergastolo la liberazione condizionale, quando il loro comportamento sia tale da far ritenere sicuro il loro ravvedimento, “consente l’effettivo reinserimento anche dell’ergastolano nel consorzio civile”. Secondo un’altra sentenza di poco precedente (n. 204 del 1974), che dichiarò illegittima l’attribuzione al Ministro, anzichè ai giudici, del potere di concedere la liberazione condizionale,  vi è un “obbligo tassativo” per il legislatore di predisporre mezzi idonei a   realizzare e garantire le finalità rieducative della pena, onde il condannato ha il diritto, quando vi siano le condizioni stabilite dalla legge, a veder riesaminata la sua situazione per verificare se il protrarsi della pena non sia più giustificato, avendo essa assolto il fine rieducativo. Qualche anno dopo la Corte (sentenza n. 274 del 1983) ritenne irragionevole l’esclusione dei condannati all’ergastolo dal beneficio della cosiddetta liberazione anticipata (lo sconto di pena, allora di 20 giorni, oggi di 45 giorni, per ogni semestre di carcerazione) ai fini di raggiungere il limite minimo di pena scontata necessario per accedere alla liberazione condizionale (così dai 26 anni previsti dal codice si può scendere, con lo sconto, a 21 anni). In quella sede la Corte sottolineò che la pronuncia che aveva respinto la questione di incostituzionalità dell’ergastolo ”faceva perno” proprio sulla ammissibilità della liberazione condizionale.
Successivamente il giudice costituzionale (sentenza n.168 del 1994) ribadì che spetta al legislatore valutare, nelle sue scelte di politica criminale, se conservare o meno l’ergastolo fra le pene, ma sottolineò ancora come ormai questa pena, con le innovazioni introdotte sulla liberazione condizionale, avesse cambiato natura rispetto all’impostazione originaria del codice, avendo perso di significato il “carattere della perpetuità che all’epoca della emanazione del codice lo connotava”: cioè non è più, concretamente, una pena perpetua. In quella stessa occasione la Corte dichiarò incostituzionale l’applicazione dell’ergastolo agli imputati minorenni: per questi, affermò, è costituzionalmente necessario un trattamento penale differenziato, e la pena deve avere “una connotazione educativa più che rieducativa”.
Una nuova sottolineatura della centralità dell’istituto della liberazione condizionale ai fini di rendere non illegittima la previsione dell’ergastolo si ebbe con la sentenza n. 161 del 1997. Dichiarando la illegittimità della norma che vietava una  nuova concessione della liberazione condizionale ai condannati all’ergastolo cui il beneficio, già concesso, fosse stato revocato, la Corte osservò che la liberazione condizionale “è l’unico istituto che in virtù della sua esistenza nell’ordinamento rende non contrastante con il principio rieducativo, e dunque con la Costituzione, la pena dell’ergastolo”; reciprocamente, la pena perpetua contrasterebbe con la Costituzione se vi fosse una preclusione assoluta alla concessione della liberazione condizionale, sia pure dopo uno o più esperimenti negativi. Infatti, come la Corte ha ribadito ancora una volta nella sentenza n. 78 del 2007 (sulla concedibilità delle misure alternative agli stranieri irregolari), una preclusione assoluta e automatica “avrebbe escluso il condannato in modo permanente e definitivo dal processo rieducativo e di reinserimento sociale”.
Infine il giudice costituzionale (sentenza n. 135 del 2003) ha respinto la questione di costituzionalità della norma che subordina la concessione della liberazione condizionale, ai condannati per certi reati di criminalità organizzata, alla collaborazione con la giustizia, in quanto la preclusione discende sempre da una “libera scelta del condannato”, e tale scelta varrebbe come “criterio legale di valutazione” ai fini di accertare il “sicuro ravvedimento” (su ciò, però, si potrebbero nutrire delle perplessità): ma sempre a condizione “che la scelta se prestare o meno la collaborazione sia oggettivamente e giuridicamente possibile”.
Quali conclusioni trarre da questa lunga “storia” giurisprudenziale? Soprattutto questa: poiché la possibilità effettiva di riconquistare la libertà, e cioè, in concreto, oggi, la ammissibilità alla liberazione condizionale del condannato all’ergastolo dopo  almeno 21 anni di pena, è la condizione necessaria per la legittimità costituzionale della pena dell’ergastolo, non è affatto indifferente il modo in cui i Tribunali di sorveglianza applicano concretamente l’istituto della liberazione condizionale. Il termine di 21 anni è alquanto lungo, più di quello previsto da altri ordinamenti europei. La condizione dell’assolvimento delle “obbligazioni civili” – cioè il risarcimento del danno alle vittime del reato – ha carattere oggettivo e non è discriminante nei confronti di chi non può pagare perché è previsto che essa venga meno se il condannato dimostri l’impossibilità di farlo.  La valutazione del “sicuro ravvedimento” contiene invece in sé un grado ineliminabile di discrezionalità dei giudici, trattandosi di una valutazione “prognostica”: tuttavia non dovrebbe potere essere effettuata dai Tribunali con criteri troppo diversi da caso a caso, né così restrittivi da risultare in definitiva tali da escludere la liberazione, e da rendere quindi di fatto  perpetua la pena. Da questo punto di vista può suscitare perplessità una giurisprudenza che nega  la concessione della liberazione a condannati, che pure hanno compiuto un reale e significativo percorso di revisione  e di risocializzazione, sol perché non avrebbero assunto nei confronti della vittima del reato o dei suoi familiari  iniziative idonee a mostrare il sicuro “ravvedimento”. L’incontro e la mediazione penale fra autori e vittime o famiglie delle vittime dei reati, diretti a far maturare nei primi una piena consapevolezza del significato umano dei fatti compiuti e delle loro conseguenze concrete, e nei secondi una possibilità di elaborare positivamente l’ingiustizia e le sofferenze subìte, sono un giusto obiettivo da perseguire: ma si dovrebbe sempre, mi pare, aver riguardo alla concretezza delle situazioni e non irrigidire criteri che possono finire per divenire formalistici.



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il 7/2/2014


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