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Una grazia per Carmine

Stefano Anastasia

Carmine non è uno stinco di santo, anzi: varie rapine, omicidio tentato e consumato, sequestro di persona e altro quando era fuori; tentata evasione con sequestro di persona ed estorsione in carcere. Non uno di quelli che muovano il cuore, insomma. Eppure anche Carmine ha le sue ragioni.
Arrestato nel 1981, nel 1998 viene trasferito in Italia, in applicazione della Convenzione di Strasburgo che consente di scontare nel proprio Paese una pena comminata in un altro che vi aderisca. Carmine ha già scontato diciassette anni di carcere e, all’atto del suo trasferimento in Italia, avrebbe dovuto scontarne ancora quattro, se fosse rimasto in Germania. In Italia, invece, è ancora in carcere: fine pena mai.
In Germania, come in molti altri Paesi europei, la condanna all’ergastolo è ordinariamente soggetta a revisione: se ti comporti bene, senza che neanche tu lo chieda, dopo quindici anni sei fuori; altrimenti – come fu per Carmine – il fine pena può esserti prorogato, di un anno, due anni o più, ma sempre a seguito di una decisione giurisdizionale d’ufficio, che non fa mai mancare nel tuo casellario un fine pena certo. In Italia, al contrario, un ergastolano è un ergastolano: il suo fine pena non è determinato. Se fa il bravo, può chiedere la liberazione condizionale dopo ventisei anni di carcere e il giudice competente può riconoscergliela. Altrimenti la porta è chiusa e la chiave è buttata.
La benemerita Convenzione di Strasburgo, che ha consentito a centinaia di detenuti di scontare la propria pena vicino alla propria casa e ai propri affetti, ha questo piccolo-grande difetto: stabilisce equivalenze tra reati e pene, dimenticando le loro modalità esecutive. Capita così che Carmine sia stato condannato all’ergastolo in Germania per un reato che in Italia è punibile con l’ergastolo e la Corte d’appello competente in Italia riconosce la sentenza straniera senza curarsi degli effetti maggiormente punitivi che essa comporta su Carmine.
Che fare, dunque? Certamente andrebbe rivista e aggiornata la Convezione, per renderla più aderente alla diversa realtà dell’esecuzione penale. Ma intanto, con Carmine e i suoi colleghi di sventura che si fa? Se là dove hanno commesso i loro delitti non li terrebbero più in galera, perché dobbiamo farlo noi? Ai giudici la responsabilità di riconoscere la liberazione condizionale, quando ve ne siano i presupposti di legge, ma forse – in simili casi di conflitto tra la rigidità delle norme e il comune senso di giustizia – si potrebbe chiedere qualcosa di più al Presidente della Repubblica.
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(14 ottobre 2009)

Terra 15.10.2009
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