Dodici mesi a Rebibbia
Il tema dominante dei calendari “carcerari”per il 2010 sembra essere la cucina e l’alimentazione: dalla casa circondariale di Rimini arriva “ Saperi e sapori”, da Siracusa “Arte e cultura nei sapori della cucina tradizionale”, da Enna “L’arte di arrangiarsi. Tasselli di vita quotidiana in carcere”. Un po’ in controtendenza “Un anno a Rebibbia” realizzato da insegnanti e detenuti della casa di reclusione romana, propone scene di ordinaria attività “intramurale”corredati da testi e poesie. “L’idea nasce da un “credo nella formazione”dice Maria Falcone, docente della scuola carceraria e coordinatrice del progetto “Con ciò intendo dire che io credo fermamente nelle possibilità evolutive di una persona. Tali possibilità si riferiscono a una innata predisposizione dell’altro all’apprendimento, ovvero, alla modifica del comportamento a partire dalle esperienze che vive. L’uomo per natura, in contatto con un ambiente, apprende. Partendo da questo presupposto, durante la mia attività lavorativa, cerco sempre di proporre ai detenuti attività che li vedano coinvolti in altre esperienze di formazione. Lavoro da nove anni nelle carceri e il calendario è un’idea che nasce dalla volontà di fare dei gesti concreti che rispondano alle necessità apprenditive. Ho messo in pratica quello che da anni propongo nel gruppo pedagogico, prima nel carcere di Monza ed ora al Rebibbia Reclusione. Tale progetto si può sintetizzare con la frase di uno dei ragazzi intervistati da Gérard Lutte, che racchiude lo spirito di una Pedagogia dell’emancipazione”. “ Quando hai una difficoltà riesci a risollevarti solo se incontri qualcuno che ti consente di vivere esperienze diverse”. Ci sono state difficoltà nella realizzazione del progetto? Non c’è stata nessuna difficoltà nel realizzare tale iniziativa. La parte relativa al finanziamento poteva sembrare un’iniziale difficoltà. Non avendo trovato nessuno che sponsorizzasse il calendario si è attivata quella che abbiamo definito “una meravigliosa macchina di solidarietà”. I detenuti, i docenti, gli educatori e volontari vari hanno autofinanziato il progetto. Su richiesta dei detenuti, inoltre, i proventi che deriveranno dal ricavato delle offerte volontarie, escluse le spese per la tipografia, saranno devoluti all’associazione “A Roma Insieme” che si occupa dei bambini del nido di Rebibbia Femminile. Nelle immagini del calendario non si vedono sbarre o ambienti tipicamente carcerari. Perché questa scelta? Le immagini del calendario sono state concordate con Giovanni Iacomini, docente della sezione staccata presso il carcere dell’Istituto “ J. Von Neumann”, che ha anche realizzato il servizio fotografico. Tali immagini riprendono momenti di vita quotidiana e nello specifico: le attività scolastiche e formative, il gruppo universitario, i momenti ricreativi, i volti. L’espressività dei volti è esemplare perché comunica emozioni, mostra i segni del tempo e ha un valore sul piano personale e sociale. Si è scelto di mostrare forme di vita perché, a mio parere, il carcere non è un nucleo isolato dalla società. Il carcere è società. Se ci si convincesse di questo saremmo tutti un po’ più consapevoli del fatto che dare un contributo agli altri significa darlo a noi stessi. Le fotografie sono corredate da testi e poesie dei detenuti, tutte moltocurate, alcune particolarmente efficaci. Quanto è importante la scrittura in carcere? Il detenuto in carcere espia una pena fisica che è la privazione della libertà e una pena mentale che è pena del pensiero. Il pensiero ha una illimitata capacità di creare, di andare oltre i confini stabiliti dalle mura e nessuno può limitarla. La scrittura è l’arte del pensiero. Pensiero libero, puro e genuino. In quasi tutte le poesie c'è un sentimento di fiducia e di speranza. E' un caso o si riscontra nella maggior parte delle persone che vivono la detenzione? La fiducia e la speranza implicano una certa consapevolezza nei confronti della vita, che corrisponde a una visione positiva di se stessi e degli altri. Tale predisposizione non è innata, ma si acquisisce solo se si predispongono le condizioni fisiche e sociali. E’ necessario adottare una siffatta misura poiché, come molti sanno, superata una certa soglia critica di dolore, non c’è più apprendimento. Le persone che vivono la detenzione devono essere messi nella condizione di poter sviluppare e coltivare sentimenti di fiducia e di speranza. "Non è lecito infliggere una pena con un altro fine se non quello che chi ha peccato si corregga". E' una frase tratta da un brano degli" Elementi filosofici sul cittadino" di Hobbes che avete scelto di inserire nel mese di ottobre. Secondo la sua esperienza il carcere oggi in Italia assolve in qualche modo una funzione rieducativa? Gli operatori carcerari (direzione, educatori, insegnanti, psicologi, assistenti sociali, polizia penitenziaria) giorno dopo giorno si adoperano affinché la formazione di un detenuto possa realizzarsi nella maniera più efficace possibile. Nelle carceri italiane tale possibilità dovrebbe essere maggiormente ampliata perché uno Stato che pone attenzione alla persona è uno Stato degno di essere vissuto. Riuscire a guardare l’altro con uno spirito di vicinanza è un obiettivo che tutti dovremmo sentire come dovere. |
- Pubblichiamo il racconto di Antonio Argentieri, apparso sul sito www.terramara.it, in cui denuncia un pestaggio subito da alcuni agenti del carcere di Arezzo nel 2004
- Pubblichiamo una serie di lettere inviate da detenuti a Radio carcere, trasmissione settimanale a cura di Riccardo Arena, su Radio Radicale
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