Dietro le quinte del grande spot
Valentina Ascione
Sembra un film già visto. Quando, ad esempio, abbiamo assistito al parto di quel topolino chiamato legge “svuota-carceri”.
Al valzer, ridondante, di comunicati stampa, dichiarazioni e buone intenzioni. Al battage pubblicitario: quel gran baccano che, accompagnandone il varo, spesso maschera la reale utilità di provvedimenti annunciati come salvifici. Lo slogan “Mai più bambini in carcere” è volato per mesi di bocca in bocca, di microfono in microfono, tra governo, maggioranza e opposizione. L’obiettivo, comune e nobile, era di porre fine alla detenzione di piccoli innocenti al seguito delle proprie madri. Una follia che ancora oggi vede cinquanta e più bambini trascorrere le proprie giornate dietro le sbarre, lontani dai giochi e da tutte quelle esperienze che dovrebbero non solo accompagnare, ma favorirne la crescita. La normativa attuale risparmia il carcere solo a quelle donne con figli di età inferiore a tre anni. La proposta di legge approvata nei giorni scorsi alla Camera e in attesa del via libera definitivo dal Senato, innalza fino a sei anni questo limite di età. Una modifica che però rischia di trasformarsi in un’arma a doppio taglio. Il testo, infatti, non scioglie il nodo delle numerose detenute madri recidive, in attesa di giudizio o condannate in via definitiva, magari per crimini legati alla droga e alla prostituzione. Con tutta probabilità i loro bambini resteranno reclusi negli istituti di pena, perché il pericolo di fuga o di reiterazione del reato non consente a questa tipologia di detenute di scontare la custodia cautelare o la pena in un istituto a custodia attenuata (gli ICAM). Nel loro caso, quindi, l’innalzamento del tetto d’età a sei anni potrebbe comportare sia l’aumento dei bambini costretti in cella, che la durata della loro permanenza. Un vero e proprio paradosso. Inoltre, anche in presenza di tutti i requisiti richiesti, fino al 2014 sarà possibile accedere alle misure alternative solo nei limiti dei posti disponibili: un limite piuttosto restrittivo, visto che di ICAM al momento ce n’è solo uno, a Milano e non sono previste risorse per stanziarne di nuovi. Il testo è stato approvato all’unanimità, con l’eccezione dei Radicali che, pur essendo stati tra i primi a promuovere una legge a tutela del rapporto tra madri detenute e figli, ne hanno preso le distanze per via della copertura finanziaria insufficiente. Le soddisfazione è diffusa per la ritrovata unità politica su un tema così delicato. E il clima che si respira in vista del voto al Senato è di grande ottimismo. Un’euforia che però, se questo testo diventerà legge, è destinata a infrangersi contro il muro delle cifre. Che non fanno sconti a nessuno, specialmente a chi vuol fare le nozze con i fichi secchi e a suon di spot.
Gli Altri 4 marzo 2011
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