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Messaggi in bottiglia

1) A mio figlio

Caro figlio,

spero e confido in Dio che un giorno tu possa leggere questa lettera. Non so quando ti giungerà, nemmeno so se ti arriverà. Comunque sia, è arrivato il momento di parlare e lo farò mediante questa lettera, scritta con l’unico inchiostro disponibile in questa isola, il mio sangue.

Non mi conosci e io ti ho visto solo due volte, però ho seguito il percorso della tua corta vita per mezzo di alcune fotografie che conservo come un tesoro. Non so quando potrò rivederti, ma sogno quel giorno, è il mio nord. È la cosa che mi mantiene vivo.

Oggi, al mio quarantesimo anno, quando il mio orologio biologico è fermo sulle 12, rifletto sul percorso della mia vita. Ho molto tempo per pensare, giacché in questa isola dove sono naufragato da ben 10 anni non c’è nulla di meglio da fare. Penso alla mia libertà. A quando navigavo per mari sconosciuti e pericolosi, ma come dice la Bibbia: ”La stoltezza è legata al cuore del ragazzo…”. Troppe volte mi sono imbarcato in imprese assurde, finché una tempesta mi ha scagliato fin qui. Chissà quando il giudice Divino considererà che potrò tornare a casa!

Sto già costruendo la mia zattera con tronchi di cipresso, e aspetto venti favorevoli per gettarmi in mare, non vorrei sbagliare di nuovo, visto che non ho le stesse energie di una volta.

Sai, è facile sbagliare perché fa parte del nostro DNA ed è molto difficile riconoscere i propri errori e ancor più difficile chiedere scusa se con quegli sbagli abbiamo offeso qualcuno. Lavora su questo aspetto e sarai miglior persona.

Studia e preparati perché in questo mondo dinamico che muta a una velocità impressionant,e se non hai una mente predisposta all’analisi, allenata ed elastica, rimarrai indietro. Per cui non perdere tempo, perché il tempo perso è irrecuperabile.

La genesi di ogni male sono la cupidigia e l’invidia. Stai alla larga dagli adulatori. Cerca Dio e studia la Sua parola, la Bibbia, che è l’ unica vera fonte di saggezza.

Sii come il fior di loto che, anche se nasce, vive e muore negli stagni, non bagna mai i suoi petali. Con questo voglio dirti che, anche se vivi in questo mondo, non devi lasciarti travolgere da esso. Potresti naufragare e ritrovarti un giorno in una delle tante isole che fanno parte del suo complesso universo.

Ricorda sempre che sei un vincitore, dallo stesso momento del tuo concepimento. Al principio non eri altro che uno dei tanti milioni di spermatozoi in gara, con le stesse qualità e la stessa opportunità di tutti gli altri. Però sei stato più veloce, più astuto, più agile e sei arrivato per primo. Perciò, se sei riuscito a superare la prova più difficile che è ottenere il dono della vita, cosa non potresti fare se te lo proponessi?

Comunque non ti montare la testa, prefiggiti obbiettivi realistici e concreti e non fare mai il passo più lungo della gamba perché perderesti l’equilibrio e cadresti. Però se cadi non ti abbattere, alzati, scuotiti e comincia da capo.

Abbi cura di tua madre e onorala non solo perché ti ha portato al mondo, ma anche perché - sono più che sicuro - si è fatta in quattro per darti sempre il meglio. Io non ho potuto fare lo stesso; lo avrei voluto, ma quest’ isola mi ha tenuto imprigionato. Rimpiango amaramente di non esserti stato vicino quando hai pronunciato la prima parola o quando ti è spuntato il primo dentino. Oggi, dalla mia isola, posso soltanto chiederti scusa e sperare che il tuo giudizio non sia molto severo e che un giorno tu mi possa perdonare.

Comincia a far buio. Il sole si nasconde sotto la linea dell’orizzonte, sembra d’essere nella foresta amazzonica, quando stormi d’uccelli, come ogni animale selvaggio, si rintanano in attesa della notte.

Domani sarà un altro giorno e porterà con sé ansie e angosce, però io continuerò qui, fiducioso che sia il giorno buono per i venti favorevoli che mi riporteranno a casa.

Chiudo qui questa lettera e spero che la bottiglia che la contiene resista e le correnti la spingano fino alla terraferma, dove qualcuno di buon cuore la raccolga e te la consegni.

Ricevi tutto il mio amore e che Dio ti benedica oggi e sempre

tuo padre

 

Leonardo De Pace López

2) Corazòn Rebelde

Vorrei che tu ti riempissi di me fino a vedere i tuoi occhi brillare e scoppiare in pianto. Vorrei che tu mi dicessi: “Ti odio, ma prima di odiarti ti amo, e perciò, anche se ferita, rimarrò ancora al tuo fianco”. Se solo tu lo avessi fatto…! Mi sarei sentito mille volte più verme di come mi sento adesso, e avrei dedicato ogni secondo e minuto della mia vita ad adorarti facendo di te la mia Dea, inseguendo eternamente così il tuo perdono, ma tu non sei più disposta a credere alle mie parole, oramai per te il mio nome si associa solo all’inganno.

Se solo potessi…Strapperei il mio cuore per consegnartelo avvolto in una bandiera bianca, in segno di mia totale e incondizionata resa, affinché tu possa leggerci il mio dolore, e il mio rammarico, senza dover udire le mie parole, parole verso le quali non hai più fiducia, anche se a mia scusante potrei dire: parole che poche volte ti hanno ingannato e che ogni notte, quando nel sonno ti sussurravano: ti amo, senza aspettar risposta, non hanno mai mentito.

Non capisci vero? Sinceramente neanch’ io capisco il fine di questa mia lettera, ed è assai probabile, anzi sicuro, che tu non la leggerai mai e che finirà là, dove io ripongo tutte le mie cose più intime, e scomode, nel fondo della mia anima.

Da quando sto qui ho compreso tante cose, una fra queste è che non tutto si può capire, in fondo: appena si vive! Tuttavia ho provato, ho cercato una ragione al tuo così netto allontanamento; sì, lo so, ti sono stato infedele, ma credo ci sia dell’altro, e così non trovando risposte, e stanco di vagare nella memoria, ho risolto che ci sono cose che non sempre siamo in grado di capire, in fondo: appena si vive! Che presunzione quella di voler dare a ogni cosa una sua spiegazione, ci sono cose che non possiamo capire semplicemente perché non ne siamo in grado, e la nostra separazione è una di queste. Se solo fossi stato capace di immaginare che un giorno ti avrei perso, avrei saputo amarti molto meglio di come ho fatto, ma credo che un po’ di colpa sia anche tua: mi hai dato così tanto che non mi hai fatto desiderare altro, e forse questa mia sazietà nell’amore mi ha fatto andare in giro per la vita con troppa sconsideratezza.

In ogni modo, adesso come ieri, vorrei averti qui con me, anzi mi correggo: vorrei essere lì con te e respirare quell’ aria fresca che soffoca e congela i polmoni sotto il cielo stellato, ma soprattutto sotto le tue braccia. Ancora oggi mi basta pensarti per perdermi nei ricordi e riassaporare il tuo profumo.

Ti giuro, non capisco quello che mi succede quando ti scrivo, mi sento così distante dal luogo in cui mi trovo, senza saperlo continuo ad aggrapparmi a te e al tuo amore, così come facevo stando fuori; continuo ad aggrapparmi all’assurda speranza di un domani di nuovo insieme, e in quel momento il mio cuore batte all’impazzata. Fino a poco tempo fa credevo battesse di gioia, ma poi ho compreso che quel suo battito era come volesse dirmi: “smettila stupido, svegliati, perché farci del male?” Sì, io continuo a farmi del male e non capisco perché, forse sarà perché qui dentro il tempo si è fermato al giorno del mio arresto, giorno in cui aspiravo al tuo totale perdono, perdono che sono sicuro avrei ottenuto se solo avessi potuto inseguirti fuori da queste maledette mura, ma come già ti ho detto, non tutto, non tutto si può capire, amore mio…, appena si vive!

Tra i miei ricordi cerco sempre il più bello, quello a me più caro, per usarlo come analgesico e dare così tregua al mio corpo che mi tormenta e soffre come un cane bastonato; in quei momenti cerco il mio cuore affinché mi aiuti, affinché mescoli a questo mio pianto di ricerca una risposta. Ma io credo che non ho più un cuore, oramai se n’è andato… Sono tante le cose che di me se ne sono andate, da troppo tempo vesto questa maschera di spensieratezza per affrontare la mia cattiva sorte, al punto che non so distinguere chi sia la maschera e chi sia io, ma ciononostante entrambi ti cerchiamo, entrambi abbiamo l’anima assetata di te, il mio corpo ardente ti reclama, ma io non ho più un cuore, se n’è andato, è lontano.

Eppure in quel pomeriggio di luglio, in quella giornata bordata di giallo e verde, con quel cielo azzurro l’ho sentito di nuovo. È successo quando ti ho vista, quando ti ha vista e si è messo a battere forte, in quel momento il mio corpo tremava agitato, la mia anima non mi obbediva e, come impazzita, chiedeva di non lasciarti andare… Te ne andasti… Il mio corpo allora si rifiutò di muoversi e la mia anima, beh la mia anima, anch’essa, rimase ferma, a pezzi, a combattere con il mio orgoglio, immobile, rinchiusa in una profonda malinconia finché il mio corpo in un sussulto tornò a tribolare: non comprendeva tanta ribellione, non capiva. E io gli dissi: “Perché capire? Neanche io lo so. Esistono cose che non si capiscono, in fondo… appena si vive!”

A.N.N.

3) Il mio canto di sirena

Affidare un messaggio a una bottiglia potrebbe essere rischioso… e anche difficile per il distacco dovuto al suo allontanamento in mare; ma certamente si spera che vada verso la corrente giusta e che il fato sia dalla nostra parte! che raggiunga la meta desiderata o predestinata e che, comunque, arrivi a destinazione.

A quante persone, luoghi o oggetti di ogni tipo potrei, vorrei inviare il mio messaggio in bottiglia! Ma non posso fare di meglio che sperare che giunga in un porto per me sicuro, dove le correnti del cuore fluttuano nell’oceano dei miei desideri, nelle speranze….

Lo voglio inviare al mio compagno, all’uomo che amo, voglio uscire da questi schemi ipocriti e fasulli; non ho nulla da nascondere più di quanto il mondo non conosca già di me (che presunzione!). No, non è come si immagina! Avere il coraggio di amare in un modo “normale” è così prezioso e delicato, così importante che, quando subentra il pregiudizio o la più squallida ignoranza, il mio cuore soffre e, insieme a lui, quello del mio compagno e di quanti mi vogliono bene, ma bene, bene!

Stupire? Scandalizzare? No grazie, non mi interessa. Se questa fosse la ragione per la quale valga la pena di dire al mio compagno quanto gli sono grato per tutto l’amore che mi dà, allora che il mio messaggio rompa il vetro della bottiglia e i cocci cadano sul fondo del mare e sotterrino la malvagità…!

Non so se ora potrai capirmi e afferrare il mio canto di sirena, ma, al contrario di una storia d’amore senza senso, intrisa di cinismo e banalità, di noia e abitudine, voglio descrivere l’allegria, il coraggio che mi infondi, e dirti grazie. Quando le tue mani mi tengono, il mio essere riconosce cosa sia l’amore. Il destino ci ha riservato anni di privazioni e mancanza di luce. Quanti i sorrisi forzati, quante le lacrime che si confondono con i giorni cupi della detenzione! Oggi tu sei presente sempre con pazienza e dolce ironia… Fai filtrare dei raggi di sole nella mia alienazione, e con quanto sacrificio riesci a cogliere parti di me per farmi in qualche modo sentire non più colpevole di un errore che commisi anni fa. Tu hai saputo riconoscere, amore mio, quella parte di me che tenevo nascosta, difendevo a denti stretti, per paura di vedere violata la mia sofferenza. In fondo, lo sai, ti amai in silenzio senza il bisogno che tu rispondessi a quel mio “messaggio”. Ecco, ora sono io che te lo invio, ma è solo per spiegarti che adesso non sei più solo un insignificante rumore nel fondo del mio cuore: le tue mani, le tue mani mi hanno afferrato dicendomi: vivi! amami! vieni a galla!

So che la mia bottiglia arriverà al destinatario, anche se dovrà attraversare le impervie correnti delle crudeltà e nefandezze umane, ma che importa, se poi la risposta sarà svegliarsi nello stesso letto la mattina e dirsi ancora: ti amo?

Parole insignificanti per chi non afferra il messaggio, ma indissolubili per te che hai scelto di essere parte di me.

 

Angelo Domenico Verdoni

 

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Numero dei detenuti presenti su 43084

61.481 detenuti
il 7/2/2014


Osservatorio sulla contenzione
a cura di Grazia Serra

  
   

   
    a cura di Francesco Gentiloni

" Il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri"
Voltaire

 


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