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Ganci al 41bis: dignità della persona e differenza del diritto

 

di Stefano Anastasia

 

Qualche settimana fa, per mezzo del Ministro della Giustizia, il Governo è intervenuto con un proprio decreto a impedire che una pronuncia della magistratura avesse il suo corso; peraltro senza che Marco Travaglio se ne adontasse, come fa abitualmente e legittimamente in casi del genere. No, non si tratta del triste caso di Eluana Englaro (nel quale l’intervento censorio del Ministro Sacconi risale un po’ più indietro nel tempo), ma del terribilmente indigesto ‘caso Ganci’, così indigesto che neanche il principale paladino della magistratura italiana ha avuto il coraggio di spendere qualche parola in difesa della decisione giudiziaria che lo ha sottratto (per qualche ora) al regime detentivo speciale del 41bis, il famoso (benedetto o famigerato che sia) “carcere duro”. A onor del vero non conosciamo gli elementi nuovi che il Ministro Alfano ha potuto acquisire nelle ventiquattrore che sono passate tra la decisione del tribunale di Roma e il nuovo decreto di applicazione del ‘carcere duro’ a Ganci. Nella presunzione della buona fede, immaginiamo che vi fossero, che fossero rilevanti, e fossero stati acquisiti proprio in quelle ventiquattrore. Al contrario, assai grave sarebbe stato il comportamento del Ministro se quegli elementi “tali da far ritenere la perdurante sussistenza di collegamenti” con l’organizzazione criminale di appartenza fossero stati più vecchi e tenuti nel cassetto per una settimana, un mese, o fosse anche per un giorno solo, mentre il Tribunale di Roma veniva chiamato a decidere su una questione così delicata. Dunque, presumendo la buona fede, possiamo dire che non c’è stata una invasione di campo del Governo nella giurisdizione, e dunque possiamo rassicurare Travaglio e potremmo chiudere qui la questione. Se non fosse che, ancora una volta, le reazioni alla decisione del Tribunale di sorveglianza di Roma sono andate un po’ sopra le righe, prefigurando il regime detentivo speciale previsto dall’articolo 41bis dell’ordinamento penitenziario come il regime detentivo ordinario dei condannati per fatti di criminalità organizzata, cosa inaccettabile anche se lo scrivono fior di professori sui più diffusi quotidiani nazionali. Da qualche secolo in qua, per fortuna, abbiamo smesso di torturare e smembrare i corpi dei criminali e ci contentiamo (salvo chi mantenga l’inumana pratica della pena di morte) di imprigionarli per un periodo di tempo variabile a seconda della gravità del reato. Dunque, a reato più grave, corrisponde pena più lunga. E certamente Ganci e i suoi correi meritano la pena della durata più lunga, secondo un giusto criterio di proporzionalità. Ma una pena più lunga non è una pena di specie diversa, non può limitare i diritti fondamentali del detenuto, quel residuo di libertà (come lo chiama la Corte costituzionale) che forma la insopprimibile dignità di una persona anche nel chiuso del carcere. Per questo il 41bis è un regime speciale e provvisorio, sottoposto alla valutazione di un giudice terzo, responsabile della salvaguardia della dignità umana del peggiore criminale, e con essa, della legittimità del potere punitivo dello Stato e della differenza del diritto dalla vendetta.

 

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