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I laureati del carcere duro
Di Sergio D’Elia, Segretario di Nessuno tocchi Caino

L’ora d’aria si fa a gruppi di cinque in passeggi di dieci metri per venti tra muri di cemento con sopra una rete a chiudere i detenuti come in un pollaio. Alla finestra della cella gli sbarramenti possono arrivare fino a quattro: una prima fila di sbarre vere e proprie, poi una seconda fila sempre di sbarre, ancora una rete metallica a maglie molto fitte e, infine, un pannello di plastica opaca attaccato alla finestra dall’esterno. Questo pannello, che fa filtrare poca aria e poca luce, è detto “gelosia”. Non so da dove derivi il nome, ma il concetto mi sembra quello di modi e tempi passati, come quando si pensava di difendere l’onore familiare con la cintura di castità o di garantire la sicurezza sociale con le finestre a “bocca di lupo”. Marchingegni medioevali che sopravvivono oggi in quei “monumenti” della lotta alla mafia che sono le sezioni del 41 bis, dove di molte misure spesso sfugge il senso pratico che non sia quello di una ordinaria e continua afflizione. Avere, ad esempio, un solo colloquio al mese e due ore d’aria al giorno, al massimo due pacchi viveri e il fornellino per scaldare vivande ma non per cucinarle… che ragione ha, ai fini della sicurezza? E cosa c’entra con la lotta alla mafia il fatto che i detenuti in 41 bis non possano lavorare né frequentare corsi scolastici? Possono studiare solo da autodidatti, senza l’ausilio di insegnanti o professori. Ciò nonostante, non sono pochi quelli che, in queste condizioni, sono riusciti a diplomarsi e pure a laurearsi, anche se sulla materia non esistono o non sono pubbliche notizie e statistiche ufficiali. Una sorta di segreto di Stato continua a coprire tutto ciò che ha a che fare con il 41 bis e chi prova a conoscere e a svelare la realtà della detenzione speciale in Italia pare che metta in pericolo la sicurezza nazionale. Quella che segue, quindi, è solo una parziale e, forse, imprecisa rassegna di casi di laurea in regime di massima sicurezza.

I fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, ritenuti i potenti boss del quartiere Brancaccio di Palermo, hanno facce da bravi ragazzi e certificati penali da far paura. Sono al “carcere duro” da quindici anni e con il “fine pena: mai” per una serie di ergastoli per strage a cui sono stati condannati. Nelle more di una pena che durerà una vita, Giuseppe si è laureato in biologia molecolare e Filippo in matematica.
Pietro Aglieri, soprannominato ‘U Signurinu per il vestire elegante e il diploma di liceo classico, è in 41 bis da quando è stato arrestato nel giugno del ’97. Nel suo “covo” pare avesse allestito una cappella con tanto di altare per pregare e, in crisi di coscienza, manifestato anche l’intenzione di costituirsi… non alla polizia, ma all’arcivescovo di Palermo. L’ex capo del mandamento di Santa Maria di Gesù si è laureato in Storia della Chiesa alla facoltà di Lettere della Sapienza di Roma, con tanti trenta e lode sul libretto degli esami sostenuti in una cella di Rebibbia adibita per la circostanza ad aula universitaria, molto blindata e sorvegliata da un piccolo esercito di agenti di custodia, attirati più dall’insolita scena che dalla pericolosità del boss condannato all’ergastolo per la strage in cui morirono il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti di scorta.
Carlo Marchese, un palermitano affiliato alla stidda nissena condannato all’ergastolo per omicidio, ha ripreso gli studi nel ‘96 dopo essere finito nel circuito speciale. Ne è uscito nel 2003 e, nel dicembre 2004, si è laureato in giurisprudenza con un brillante centodieci e lode. La discussione della tesi in filosofia del diritto si è svolta al Pagliarelli di Palermo, in una delle sale riservate per i colloqui tra detenuti e avvocati.
Antonio Libri è stato condannato per associazione mafiosa e deve scontare un ergastolo per omicidio. Arrestato nel maggio del 2000 dopo sei anni di latitanza, è finito direttamente al 41 bis dove si è laureato in sociologia.
Salvatore Benigno era un incensurato studente di Medicina quando fu arrestato nel luglio del 1995 e subito messo in 41 bis. Condannato in via definitiva a due ergastoli, uno dei quali per l’autobomba fatta scoppiare in Via dei Georgofili a Firenze nel ‘93, ha completato gli studi nel supercarcere dell’Aquila. La discussione della tesi di laurea in ortopedia è avvenuta in videoconferenza, nel marzo del 2005. Dal febbraio 2007 non è più in 41 bis.
Ferdinando Cesarano, noto come Nanduccio e’ Ponte Persica, era fuggito rocambolescamente dall’aula bunker di Salerno nel giugno del ‘98. Altrettanto rocambolescamente era stato catturato due anni dopo e subito detenuto nell’Area Riservata della sezione speciale del carcere di Parma con la prospettiva di una pena fino alla morte per i tanti ergastoli da scontare. Si è iscritto a Sociologia presso l’Università degli Studi di Napoli e nel giro di tre anni ha superato gli esami previsti dal programma: i primi svolti in Facoltà, in segreto e tra mille precauzioni, gli altri in carcere, in videoconferenza.
Carmelo Musumeci ha già scontato venti anni di carcere. E’ entrato con la licenza elementare e ha ripreso gli studi all’Asinara, in regime speciale. Da autodidatta ha terminato le scuole superiori e, nel 2005, dopo quattordici anni di carcere speciale, si è laureato in giurisprudenza presso l’Università di Firenze con una tesi in sociologia del diritto dal titolo “Vivere l’ergastolo”. Attualmente è nel carcere di Spoleto, con la condanna a vita ma senza il 41 bis. E’ iscritto all’Università di Perugia al corso di laurea specialistica, dove gli mancano pochi esami.
Giuseppe Gullotti si è laureato in giurisprudenza presso l’Università di Torino nel dicembre del 2006 dopo sette anni di “carcere duro” e una condanna definitiva a 30 anni per avere ordinato l’omicidio del giornalista Beppe Alfano. Sottoposto al regime speciale, ha superato l’esame di laurea discutendo una tesi proprio sull’art. 41 bis della legge penitenziaria. Il fatto non ha solo un valore simbolico: chi ha letto la tesi sostiene che ha anche un notevole valore scientifico e pratico, per la nutrita serie di riferimenti giurisprudenziali relativi al regime penitenziario speciale che possono essere utili a quanti da anni tentano di uscirne.

Di altri casi posso parlare per conoscenza diretta. Nell’estate del 2002, nel fare con Maurizio Turco un giro cella-a-cella in tutte le sezioni del 41 bis (da quel giro di visite ispettive è nato poi il libro-inchiesta “Tortura Democratica”), ho incontrato non pochi detenuti curvi sui libri e alle soglie della laurea che nel frattempo credo abbiano tutti conseguito. Guerino Avignone di Cittanova, condannato a 15 anni e all’ergastolo per associazione mafiosa e omicidio, ha fatto undici esami fuori nella Facoltà di Economia e Commercio presso l’Università di Messina. Gli altri li ha finiti dentro insieme alla tesi sul diritto al lavoro in carcere. Nei due anni di carcere speciale, ha fatto tutto senza computer e calcolatrice, vietati al 41 bis. Antonino Chirico, originario di Gallico, condannato in via definitiva a 25 anni, 9 mesi e 15 giorni per fatti di ‘ndrangheta, è entrato in 41 bis nel 1995 e ne è uscito nel 2005. Nel carcere di San Vittore si è diplomato in ragioneria; al 41 bis ha fatto l’Università, corso di laurea in Lettere e Filosofia. Domenico Gallico, considerato un capo della ‘ndrangheta e condannato all’ergastolo, è uscito dal 41 bis nel 2005, dopo tredici anni. Quando l’ho incontrato nel Carcere di Spoleto, stava studiando Giurisprudenza e aveva già fatto otto esami. Anche Marcello Dell’Anna, originario di Nardò, studiava Legge quando l’ho visto nel Carcere di Novara. Era dentro da dieci anni e in 41 bis da tre, condannato in via definitiva all’ergastolo per concorso in omicidio. A Novara si è diplomato in ragioneria e per “sfuggire alla morsa del 41 bis” si è iscritto alla Facoltà di Giurisprudenza di Milano. Non so se sia lui il Marcello Dell’Anna, detenuto alle Sughere di Livorno, che nel novembre 2008 si è aggiudicato il terzo posto per la poesia nel “Premio Casalini”, concorso letterario per carcerati. Antonino Pesce, originario di Rosarno, condannato all’ergastolo per omicidio, è uscito dal carcere duro alla fine del 2002 dopo sette anni di Alta Sicurezza e tre di 41 bis. Si è messo a studiare appena finito in carcere: prima ha conseguito il diploma di ragioniere, poi si è iscritto all’università, Facoltà di Economia e Commercio. Quando l’ho incontrato nel Carcere di Terni aveva già sostenuto numerosi esami.

Esperti di mafia e galere sono convinti che questi detenuti non abbiano cambiato mentalità: se la materia preferita è Legge è perché “vogliono capire dov’è che hanno sbagliato” oppure perché “sperano di uscire un giorno e di evitare di finire di nuovo dentro grazie a una più accurata conoscenza dei codici”; se studiano è per “ottenere un permesso per andare a fare gli esami nella città d’origine” dove ha sede l’università a cui si sono iscritti e la cosca a cui sono affiliati, ed “è assurdo allentare in questo modo un regime di alta sicurezza fatto apposta per impedire ogni contatto con il mondo criminale esterno”.
In carcere non si considera mai la possibilità che un detenuto cambi registro, si sospetta sempre che pensi solo a come farla franca, e per ciò simula buona condotta. Ma i casi qui descritti sono quasi tutti di detenuti in 41 bis laureati o laureandi in facoltà vicine alle sezioni speciali, le quali sono state allestite tutte da Secondigliano in su, in base alla fine considerazione che i “mafiosi” sono quasi tutti originari di luoghi più a sud. In ogni caso, gli esami universitari dei detenuti speciali si svolgono ormai solo in videoconferenza, come i processi. Per la discussione della tesi di laurea di Salvatore Benigno, undici professori della Facoltà di Medicina si sono spostati nell’aula-bunker del tribunale di Palermo, dove il detenuto è apparso dal supercarcere dell’Aquila attraverso i monitor delle videoconferenze. Come avviene per i processi, con giudici e accusatori da una parte in un’aula di tribunale e imputati da tutta un’altra parte, in una saletta del 41 bis davanti a una telecamera: si tratta di processi virtuali, che si concludono però con pene vere e condannati in carne e ossa che hanno fatto da telespettatori.
Quando le notizie dei mafiosi laureati al 41 bis sono finite sui giornali, molti hanno gridato allo scandalo: lo Stato che conferisce una laurea a chi lo Stato ha combattuto… è intollerabile. Ma le storie di questi detenuti, a ben vedere, segnano non una resa ma un primato del diritto sul delitto, e mostrano che il carcere, che per molti si rivela essere la prima università del crimine, per alcuni può essere università vera e occasione di riscatto. Ma anche se la laurea si rivelasse solo un modo di espiare la pena senza perdere il lume della ragione o un tentativo di “evadere”… una pratica che da noi si chiama “carcere duro” e che nel diritto internazionale si configura come tortura, non sarebbe fatto da disprezzare. Sarebbero innocenti evasioni. Perché l’intollerabile è che da questo regime di 41 bis si possa uscire solo tramite il “pentimento” oppure - come si dice - coi piedi davanti.

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Numero dei detenuti presenti su 43084

61.481 detenuti
il 7/2/2014


Osservatorio sulla contenzione
a cura di Grazia Serra

  
   

   
    a cura di Francesco Gentiloni

" Il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri"
Voltaire

 


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