Il grigio della sofferenza quotidiana
Stefano Anastasia
Tra buone prassi e quotidiane emergenze si consumano i soliti discorsi sul carcere.
Il sovraffollamento, i suicidi, le violenze, la malasanità , e poi un call center, un laboratorio, la scuola, il lavoro all’esterno. Nero e bianco si alternano e convivono. E non si capisce perché quel nero continua a fare da sfondo e quel bianco debba restare puntiforme: se a tutti piace Bollate e non Poggioreale, se nessuno vuole che i detenuti si ammalino e si ammazzino in carcere, se tutti pensano che queste condizioni di detenzione rischiano di essere inumani e degradanti, perché il bianco e il nero continuano a convivere così ambiguamente? Forse perché rappresentano degli estremi, così netti come così irreali? Forse. Forse per capire il carcere è meglio guardare la sua quotidianità , la ordinaria sofferenza che esso impone ai suoi ospiti, una sofferenza fatta di banali prevaricazioni e di minime, progressive degradazioni.
Qualche tempo fa, a Francesco viene in mente di comprarsi un computer. E’ un ergastolano, il tempo non gli manca, vuole investire su di sé e un pc può fare al caso suo. Ma quando l’aveva visto usare da certi suoi compagni di detenzione, non immaginava costasse tanto: quasi 1700 euro gli chiedono, sottoponendogli un preventivo senza alcuna offerta concorrente. Prendere o lasciare. E Francesco prende, senza sapere che gli sarebbe costato altri 3600 euro di riparazioni, prima di collassare dopo due anni.
Avendoci speso ormai 5300 euro, Francesco vorrebbe mandarlo in riparazione all’esterno, ma il nuovo direttore dubita che quel tipo di computer possa restare in carcere, nella disponibilità di un detenuto. Passa quindi un anno e mezzo (e un reclamo al magistrato di sorveglianza) prima che il pc vada in riparazione. Riparato è riparato, ma qualche dubbio sopravvive sulla sua legittimità , e Francesco vien informato che il pc è in magazzino, e non gli viene dato.
Comincia così il primo sciopero della fame, interrotto da una promessa. Poi il secondo, il terzo e il quarto, ancora fermati da analoghe promesse. Ci riprova in questi giorni. Ma perché Francesco non può avere il suo computer, pagato – grazie alla mediazione dell’Amministrazione penitenziaria – come un cacciatorpediniere? Qualcuno gli ha raccontato di un ignoto regolamento. Ma se anche non esistesse questa occhiuta normativa, la verità è che l’essenza del carcere è proprio in questo potere di disposizione, incomprensibile e (quasi) assoluto. Tra il bianco e il nero, c’è questo grigio della sofferenza quotidiana.
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(01/03/2011)
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