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Giustizia: quando si legifera sulla sicurezza "a colpi di galera"
Ferragosto 2009. Centocinquanta deputati varcano la soglia del carcere, entrano nelle galere, vedono le celle, parlano con gli uomini e le donne detenute. Tre giorni di visite volute dai radicali per portare nelle prigioni quelli che troppo spesso fanno le leggi sulle prigioni senza averle mai viste, dissertano di sovraffollamento senza sapere cos’è una cella da due abitata da cinque dove si vive chiusi per venti ore al giorno, legiferano sulla sicurezza a colpi di galera ma con un detenuto non hanno mai parlato.  Certo, i direttori li aspettavano. Il peggio è stato occultato. I materassi buttati per terra nelle palestre e nei locali comuni non c’erano. Ma il passo è stato fatto. Centocinquanta deputati hanno superato - molti per la prima volta - il portone blindato.
Parlando con gli agenti forse hanno imparato un verbo galeotto, un verbo cioè che si coniuga solo dietro le sbarre: spiccare. Non spiccare un volo però. Spiccare è l’atto che si compie quando si impedisce a qualcuno di impiccarsi: tu ti impicchi, io ti spicco. È uno dei tanti neologismi del carcere. Gli agenti e i detenuti compiono molte volte questo gesto: spiccare. A volte arrivano in tempo. Altre volte no. E quando arrivano troppo tardi, si allunga la lista di chi in carcere è morto, di chi in carcere si è tolto la vita.
Un centinaio i morti nei primi mesi dell’anno. Quarantacinque i suicidi. Si chiamavano Aziz, Edward, Vincenzo, Mohamed, Leonardo, Giuliano, Jed, Marcello, Francesco, Carmelo, Gianclaudio, Andrei, Antonino, Daniele, Franco, Graziano, Ion, Nabruka, Vincenzo, Antonio, Dibe, Stefano, Emilio, Antonio. Di qualcuno restano solo le iniziali, come M.B.. Di altri neanche quelle. Loro non hanno fatto in tempo a incontrare i parlamentari, a raccontare le loro storie, i loro dolori, l’angoscia e le difficoltà della vita galeotta. Hanno ceduto prima, rinunciando del tutto a vivere.
Difficile conoscere un mondo così complesso come quello del carcere con una visita guidata di poche ore. Ma è meglio che niente. Forse gli sguardi inquieti, le richieste sussurrate, gli appelli lanciati dietro le sbarre, la sensazione di solitudine, separazione, dolore accompagneranno la votazione delle prossime leggi. Forse prima di invocare più galera per tutti, soprattutto se poveri, ci penseranno un po’ di più, ricordando i volti delle persone che hanno incontrato. E soprattutto speriamo che questa visita non resti una vicenda a sé, che finisce così come è iniziata, e che i centocinquanta parlamentari continuino a esercitare il loro diritto dovere di ispezione, verificando di persona le condizioni di vita nelle carceri italiane.
( Daniela De Robert, www.articolo21.info, 18 agosto 2009)
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