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De Andrè sulla soglia della cella
di Fabio Fazio

Don Raffaè è di certo una delle canzoni più note, orecchiabili e di successo di Fabrizio De Andrè: fa parte delle Nuvole, album del 1990. Un album ancora una volta capolavoro. 
E ancora una volta Don Raffaè ci parla di prigione, guardie e ladri in una pochade perfetta: un vero e proprio testo teatrale costruito con un susseguirsi di azioni a scandire il monologo di Pasquale Cafiero “brigadiero” del carcere, a dividere quelli che a teatro si chiamano atti.  Non si può fare a meno di sorridere ad ogni ascolto e ad ogni ascolto capita di scoprire qualcosa di nuovo, un dettaglio apparentemente insignificante e che invece contribuisce a costruire la perfezione della scena.
Andiamo con ordine e cerchiamo di non perdere nulla di quello che De Andrè ancora una volta sulla soglia della cella decide di raccontarci.
Prima stranezza: è la guardia a parlare in una sorta di parlatorio alla rovescia. Il prigioniero ascolta e il secondino racconta. Una perfetta confessione come se Cafiero si trovasse in un confessionale al cospetto di un sacerdote. Per di più non per chiedere la assoluzione ma la grazia anzi, una serie di grazie, di favori.
Il sorvegliante schierandosi decisamente al fianco del prigioniero gli riconosce autorità e potere.
Seconda stranezza: chiede di agire per aiutarlo a chi per definizione ne è impedito, a chi è recluso. Ma si sa, le celle possono essere permeabili e il potere, quello vero, non si può costringere in quattro mura. E poi non dobbiamo dimenticare che Pasquale Cafiero sta a Poggioreale dal ’53, come a dire che anni di carcere se ne è fatti parecchi pure lui e che il vero detenuto è semmai proprio lui. Per di più, come dicevo, Cafiero riconosce a Don Raffaè di essere addirittura vittima di una ingiustizia che lo ha portato dentro a pagare, a scontare la pena mentre quegli altri, i veri colpevoli, “i fetienti” se la spassano fuori.
Lui i fetenti li conosce, a contatto come è tutto il giorno con “briganti, papponi, cornuti e lacchè”. Don Raffaè è la sua ricompensa, il suo riposo, il suo privilegio: può godere della compagnia di Don Raffaè che generosamente lo ascolta , gli dispensa consigli e gli spiega quello che pensa. Quello che pensa…Pasquale Cafiero: lo aiuta a comprendere cioè i suoi stessi pensieri durante la lettura del giornale mentre beve il famoso caffè. Don Raffaè interpreta così un ruolo a metà fra l’educatore e l’assistente sociale.
Del resto di guai Cafiero ne ha tanti e nemmeno una soluzione. Un fratello disoccupato, pochi soldi, le speranze di una vita migliore affidate a un ambo al lotto ammesso che il padre gli appaia in sogno. Niente di concreto insomma.
A Don Raffaè basta una voce per trovare casa a un disgraziato con sei figli a cui l’assessore non ha nemmeno concesso la roulotte: quella si sa, serve a lui per allevarci i visoni.
Che disastro, che disperazione: nel vero senso della parola. Che tempi senza speranza!
E poi arriva il problema dei problemi: Innocenza ( nome non casuale…), la figlia del brigadiere deve sposarsi, “ vuò marito non tiene pazienza” e lui, che deve accompagnarla all’altare, non ha l’abito adatto. E così il brigadiere Pasquale Cafiero chiede a Don Raffaè di prestargli vestito gessato e cappotto cammello per le nozze.
Terza stranezza: ma dove l’ha visto lui Don Raffaè così agghindato? Di certo non in cella. E infatti lo ha visto alla televisione, al maxi processo dove lui era indubitabilmente il più bello.
Vale la pena a questo punto di riportare di seguito e per intero i versi di De Andrè che danno conto di ciò:
“Voi tenete un cappotto cammello che al maxi processo eravate ‘o chiù bello
Un vestito gessato marrone
Così ci è sembrato alla televisione”.
E qui c’è un particolare che ho scoperto da poco e che trovo davvero straordinario. Si tratta della particella pronominale “ci”. “…così ci è sembrato alla televisione”.
Ci. Plurale modestiae o prima persona plurale? Era solo davanti al televisore Pasquale Cafiero quando ha visto Don Raffaè al maxi processo o era in compagnia dei familiari?
Sarebbe la prima volta che De Andrè avrebbe adoperato il plurale modestiae in tutta la canzone. Pasquale Cafiero parlando di sé dice sempre “mi”, “io” e mai noi. Opto dunque per la visione collettiva  a casa del brigadiere Cafiero del maxi processo. De Andrè è geniale. Con un semplicissimo “ci”, fa vedere un’altra canzone. Una nuova scena, un set esterno.
Facile immaginarsi il brigadiere Cafiero che fa presente ai parenti la propria familiarità con Don Raffaè, facile immaginarsi l’incredulità e l’apprezzamento dei presenti, l’invidia forse, di certo la stima per chi conosce uno tanto elegante, uno che sta in televisione.
In quel quadretto familiare non cantato e solo immaginato c’è probabilmente più verità di quanta non ce ne sia in tutto il maxi processo e ancora una volta in quel salotto, lo schermo del televisore è la parete che rende trasparente anche questa ulteriore cella cantata da De Andrè.
Tutti vittime separate solo da un vetro sottile.
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Numero dei detenuti presenti su 43084

61.481 detenuti
il 7/2/2014


Osservatorio sulla contenzione
a cura di Grazia Serra

  
   

   
    a cura di Francesco Gentiloni

" Il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri"
Voltaire

 


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