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Mele amaro

 

Annino Mele, nato a Mamoiada (Nuoro) nel 1951, è pastore fin dall’infanzia. In carcere dal 1976 al 1980, viene nuovamente arrestato nel 1987 e condannato all’ergastolo per omicidio e sequestro di persona. Da allora non è più uscito dal carcere. Qui ha scritto: Il passo del disprezzo, Gia Editrice 1996, con Valdimar Andrade Silva, Sos camminos della differenza, Sensibili alle foglie 2001, Mai. L’ergastolo nella vita quotidiana, Sensibili alle foglie 2005, e con Efisio Cadoni La sorgente delle pietre rosse, Sensibili alle foglie 2007 . Attualmente è detenuto nel carcere di Fossombrone. Pubblichiamo brani di corrispondenza con due suoi interlocutori.

Annino Mele

Cari amici,

il clima meteorologico non è male, nevica e fa freddo, questo serve perché ultimamente stavamo quasi dimenticandoci dell’inverno. Pare che in qualche modo le stagioni si stiano riprendendo il loro spazio naturale. Mentre invece il clima intramurale resta assai confuso, e privo di cambiamenti non solo stagionali, ma anche annuali.

(…) Purtroppo la situazione carceraria è in continua decadenza, come avevo scritto in una poesia, dicevo nel finale: e se fosse solo qui/ mi sarei accontentato. La crisi investe in particolare l’esterno, e quando l’esterno vive una crisi economica e di paura generalizzata, a subirne restano sempre le fasce ai margini, e il carcerato appartiene a una di quelle fasce. Volevo dirvi che io ho finito il nuovo lavoro. Una narrazione basata più che altro sulla droga. Su quel che è ancora oggi il carcere, non in quel che può diventare, ma in quel che assurdamente continua a essere. Parto in un certo qual modo dal 1976, quando ancora la droga non era gestita dalla mala. E quando capitava di arrestare qualcuno coinvolto con la droga, in sezione non poteva salire, perché era considerato un magnaccia, proprio perché allora chi muoveva quel poco di droga era il giro della prostituzione. Figuratevi quante occhiatacce avrò da tutti coloro che oggi io li classifico come coloro che si son presi i guadagni del giro della prostituzione. E comunque, io cerco di descrivere il perché nessun ragazzo per droga non potrà essere arrestato, e quanto sia più semplice e meno costoso che i ragazzi e la droga vengano gestiti dalle comunità. E non solo la droga ma anche l’alcol, e quindi altro che braccialetti, ci vuole una depenalizzazione per chiunque si trovi in carcere per droga. C’è anche da superare le differenziazioni, nel senso che magari una depenalizzazione la si vuol dare meglio al consumatore, che al trafficante, secondo me la cosa migliore è togliere i ragazzi dalle mani di chi con la droga non guarda in faccia a nessuno pur di ottenere il suo potere economico. Una volta che i ragazzi a gestirli sono le comunità, tutto l’impianto diciamo pure di tipo criminale-economico viene spazzato via, il fenomeno crolla del tutto.

(…) Non capisco come mai io non riesca a ottenere un permesso per andare a visitare mia madre che piano piano si sta spegnendo, il permesso lo chiedo con la scorta, niente. Sono convinto che su di me ci sia qualcosa che non funziona, altrimenti come spiegare determinate restrizioni? possibile che sia solo per quello che scrivo (…) le mie reazioni poi non sono violente, cercando sempre di mantenermi dentro le leggi.

Cari saluti.

Annino Mele

 

Luigi Peruzzotti,

già senatore della Lega Nord, consigliere del ministro dell’Interno Roberto Maroni

 

Gian Maria Bellu,

vice direttore dell’Unità

Caro Annino,

ho letto la tua ultima missiva e mi sono venute in mente tutte quelle cose che mi hai raccontato in questi anni da quando ci siamo conosciuti: tutti quei problemi irrisolti che riguardano soprattutto il mondo dei giovani e il mondo carcerario, che non è un mondo a sè ma fa parte di quell'universo "giustizia" che meriterebbe una rivisitazione totale.

Quello che succede ad Annino Mele detenuto deve fare riflettere!

Ci sono detenuti che dopo i crimini più efferati ottengono privilegi, permessi o sconti di pena o addirittura libertà più o meno condizionate e ci sono persone come te che navigano verso i 30 anni di reclusione senza aver mai ottenuto niente.

E poi parlano di reinserimento nella società!?

Non è una questione di colore politico! Chiunque governi in questo paese si deve scontrare con il reale potere che è quello della burocrazia obsoleta e mi si consenta il termine borbonica.

Questa è la verita che però pochi hanno il coraggio di ammettere.

Pensa se le televisioni invece di deliziarci con le cose più assurde entrassero nel merito dei problemi dei tanti Annino Mele che popolano le carceri italiane forse qualcosa cambierebbe ma temo che questo non succederà mai.

E' più facile ottenere ascolti con altre amenità nascondendo la testa sotto la sabbia come gli struzzi, facendo finta di non vedere, non sentire e non capire.

Comunque caro Annino il tuo dramma, perchè di dramma si tratta, ha trovato anche persone che cercheranno di aiutarti e di seguire anche le tue proposte e i tuoi consigli per cercare di risolvere, se non tutti, almeno in parte i problemi che hai evidenziato.

E' una sfida dura e ambiziosama ma ce la faremo!

Ti sono vicino

 

Luigi Peruzzotti

 

Caro Annino,

come sai ho letto due tuoi libri: “Mai, l’ergastolo nella vita quotidiana” e “La sorgente delle pietre rosse”. Quest’ultimo, dove racconti la tua adolescenza nelle campagne di Mamoiada, l’abbiamo presentato, assieme a Flavio Soriga, nel carcere di Saluzzo. E’ stato dunque in qualche modo “approvato” dall’Amministrazione penitenziaria. Invece il primo – come mi hai spiegato e documentato in una lettera di qualche mese fa – ha suscitato dei malumori. In particolare non è piaciuto a un certo sindacato della polizia penitenziaria e, immagino, ad altre persone che possono prendere decisioni che ti riguardano. La ragione è evidente: racconti abusi che vengono perpetrati con facilità e, a volte, noncuranza, descrivi la routine carceraria con parole che è difficile smentire. Perché quei comportamenti, quei dispetti, chiamiamoli così, sembrano scaturire come il salnitro dalle stesse mura della tua prigione.

E’ vero: dalla pubblicazione di “Mai” sono passati tre anni, ma nei luoghi chiusi – ho pensato – il rancore, come l’aria cattiva, svanisce molto più lentamente.

La tua lettera mi suggerisce ora un’ipotesi parzialmente diversa attorno alla causa. Si tratta sempre di un libro – tu sei uno scrittore ed è inevitabile che da lì arrivino i problemi - ma non è soltanto quello sull’ergastolo nella vita quotidiana. E’ anche il più recente. Mi rendo conto che l’ipotesi può apparire azzardata. Nella “Sorgente delle pietre rosse” non parli di perquisizioni improvvise, di umiliazioni, di suicidi. Racconti la sapienza dell’acqua, il fischio delle aquile, le astuzie degli animali del bosco. Descrivi un mondo lontanissimo e quasi del tutto scomparso. Un mondo, ed è questo il punto, dove esisteva una relazione stretta, necessaria, tra le leggi della natura e le regole della vita quotidiana.

Non fraintendermi. Non mi accingo a fare una mitizzazione del mondo barbaricino perduto. Benché non l’abbia vissuto come te dall’interno, ne so abbastanza per conoscerne la durezza e so che a volte essa sconfina nella ferocia. Né voglio attribuire i dispetti di cui sei vittima allo storico contrasto tra le istituzioni del tuo mondo e quelle dello Stato. Se non altro perché sono ragionevolmente certo che le persone e gli uffici che ti sono avversi non ne hanno alcuna nozione. La mia ipotesi è più semplice: che il tuo ultimo libro – non solo per il suo contenuto ma anche per il solo fatto di averlo scritto e di avere con esso ribadito la tua voglia di continuare a scrivere – abbia posto una questione avvertita con fastidio e imbarazzo. Quella delle regole.

Le regole, il loro rispetto come condizione essenziale per la vita, sono il tema della “Sorgente della pietre rosse”. Le regole, la loro violazione, sono il filo conduttore di “Mai”. E, da quanto scrivi ora, deduco che è dedicato alle regole anche il tuo nuovo lavoro. Questa crisi, dici, potrà “mettere a rischio i valori di civiltà conquistati con tanti sacrifici”. E paventi il pericolo di una “decadenza” individuandone i sintomi nella violazione di una regola di costume carcerario che, fino a qualche tempo fa, portava a considerare lo spacciatore di droga alla stregua di un magnaccia.

Tu vivi, per via delle regole, una condizione estrema. Su di te le regole sono state applicate in modo assoluto. Si è infatti ritenuto che non potesse esistere una mediazione, un compromesso, tra la tua condanna e la tua vita. Che altro è “Fine pena mai” se non l’applicazione spietata di un regolamento convenzionalmente chiamato codice penale? Ecco, credo che il problema derivi da questo: dal fatto che tu comunichi al mondo una pretesa di identico rigore. E che questa pretesa – che tu hai reso perpetua diventando uno scrittore - nel mondo carcerario venga a volte considerata una provocazione, a volte un’insubordinazione. Il terribile dispetto di cui parli alla fine della lettera – l’impedirti di uscire dal carcere anche solo per incontrare tua madre per l’ultima volta – rivela il fine dei suoi autori. Negando un diritto fondamentale come quello che rivendichi, si liberano dalla fatica di mettere in relazione i tuoi diritti coi loro doveri. Sì, banalmente risparmiano fatica. E’ infatti faticoso applicare le regole con equità e rigore. Non è dunque “cattiveria” ma più probabilmente sciatteria. Un effetto “interno” di quella crisi che, come scrivi, “investe in particolare l’esterno”. Per questo considero i dispetti di cui sei vittima, “dispetti generali”. Ed è forse da qua che si può partire per tentare di interromperli.

 

Gian Maria Bellu

 

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Numero dei detenuti presenti su 43084

61.481 detenuti
il 7/2/2014


Osservatorio sulla contenzione
a cura di Grazia Serra

  
   

   
    a cura di Francesco Gentiloni

" Il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri"
Voltaire

 


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