Dietro i suicidi il fallimento della politica |
Tra i pochi strumenti che esistono per monitorare lo stato di “salute” della popolazione detenuta, uno – il più crudele – si rivela spesso come il più “sensibile”: è il computo degli atti di autolesionismo e dei suicidi che si registrano tra i reclusi. Stando a questo indicatore, per il sistema penale italiano questi ultimi mesi sono stati terribili: 19 suicidi registrati al 31 marzo 2009 dal 1 gennaio scorso. Se questo andamento rimanesse stabile nel corso dell’anno, al 31 dicembre prossimo si avrebbero 76 morti per suicidio. Sarebbe un record assoluto: ovvero, si registrerebbe un tasso suicidario 19 volte superiore a quello registrato mediamente nella popolazione libera (per ogni suicidio tra la popolazione non detenuta, in carcere se ne verificherebbero quasi 20). Nel corso del 2008 le morti per suicidio erano state 48; nel 2001, annus horribilis di questa macabra statistica, erano state 72. Mediamente, nell’ultima decade, si attestavano di anno in anno tra le 50 e le 60. L’anomalia di queste cifre esige un’interpretazione. E una premessa, in tal senso, è doverosa: la ragioni di un suicidio sono e rimangono per lo più intime. Derivano, cioè, da motivazioni esistenziali e circostanze che sfuggono a qualunque ricostruzione. Tuttavia, la ricerca nel campo delle politiche penali prova l’esistenza di una robusta correlazione tra affollamento penitenziario e ricorso al suicidio; prova, cioè, come al crescere della popolazione reclusa – in assenza di una maggiore disponibilità di spazi detentivi – cresca in misura non proporzionale il ricorso ai gesti autosoppressivi. La parola “affollamento” va declinata e letta attentamente: vuol dire condizioni igieniche spesso pessime, scarsità di personale medico, di psicologi, di educatori; e, ancora, strutture fatiscenti, servizi inadeguati, rapporti assai problematici con l’amministrazione e con il personale di custodia; e massima difficoltà di accesso alle attività ricreative, formative, lavorative. L’affollamento, in altri termini, è un indice del grado di invivibilità di un carcere, un indicatore di tutti quei fattori che fanno degli istituti di pena luoghi di abbrutimento, meccanismi spesso inesorabili di riproduzione e moltiplicazione della criminalità. È quanto descritto da Salvo Fleres, garante regionale dei detenuti in Sicilia, quando racconta del carcere di Catania, dove si dorme in 12, per terra, in una stessa cella e in compagnia dei topi. È un caso, dunque, se il picco numerico di suicidi registrato nei primi mesi dell’anno coincide con il record storico di affollamento dei nostri istituti di pena dai tempi dell’amnistia togliattiana? A fine marzo erano recluse 61.057 persone (prima dell’ultimo indulto erano 60.710); se si procede con questo tasso di carcerizzazione (circa mille unità in ingresso ogni mese) nei primi giorni di giugno si dovrebbe sfondare il tetto della “tolleranza” (un indice che, prevista un capienza regolare – per gli istituti italiani circa 43.000 posti – vi addiziona un’ulteriore quota di capacità detentiva, fino al grado più estremo di invivibilità).
Lo stato delle cose non è un caso del destino. Deriva da precisi orientamenti politici: dal regime di “tolleranza zero” e da un’ipertrofia crescente della legislazione penale, sempre più criminogena. La Bossi-Fini sull’immigrazione, la Fini-Giovanardi sulle droghe e la ex Cirielli sulla recidiva contribuiscono notevolmente ad accrescere gli ingressi in carcere. Che è sempre più affollato di criminalità minuta e talvolta innocua: tossicodipendenti (25% della popolazione reclusa) e immigrati (38%) su tutti. Se poi si considera che il profilo medio del detenuto suicida è quello di una persona giovane, con una carriera criminale esigua, che si suicida nelle primissime settimane di detenzione, spesso senza aver affrontato neppure il primo grado di giudizio (ovvero nella pienezza della presunzione d’innocenza), si ricava l’idea di un meccanismo in cui giustizia sociale e giustizia penale divergono paurosamente. Fino a produrre vittime: 19 nei primi tre mesi di quest’anno. (Terra news, 25.04.2009) |
- Pubblichiamo il racconto di Antonio Argentieri, apparso sul sito www.terramara.it, in cui denuncia un pestaggio subito da alcuni agenti del carcere di Arezzo nel 2004
- Pubblichiamo una serie di lettere inviate da detenuti a Radio carcere, trasmissione settimanale a cura di Riccardo Arena, su Radio Radicale
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