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Giustizia: per liberarsi dalle menzogne sull'indulto e la recidiva

di Andrea Boraschi

Terra, 15 luglio 2009

L’indulto aprì il carcere a 27.965 detenuti. Di questi tornarono in cella solo in 8.477. E appena 1.705 dei 7.829 che beneficiavano di misure alternative. Nella maggior parte dei casi è di nazionalità italiana chi torna a delinquere.

Proprio in questi giorni Beppe Grillo, neo candidato alla guida del Pd, attacca il partito che vorrebbe guidare dicendo che ha regalato "l’Italia a Berlusconi e l’indulto agli italiani ". Giovanni Torrente, ricercatore dell’università di Torino, e Luigi Manconi, sociologo e sottosegretario alla Giustizia ai tempi di quella clemenza, conducono da tempo un monitoraggio sui risultati dell’indulto del 2006 che rischia di stravolgere il senso dello strale grillino; e, con quello, di zittire la retorica di un fronte amplissimo che tiene insieme Castelli con Travaglio.

Nulla, infatti, come quella misura che fu di ripristino della legalità nelle patrie galere, allora come oggi sovraffollate all’inverosimile, è mai stato più frainteso, mistificato, falsificato. Manconi e Torrente fanno un esercizio semplice e lucido. Essi studiano uno dei parametri che meglio qualificano il funzionamento del sistema penale: la così detta "recidiva". Ovvero, la misurazione di quanta criminalità il carcere riproduce; di quante persone, dopo un soggiorno in un istituto di pena, tornano a delinquere e vi fanno reingresso.

Lo studio che hanno presentato ieri, in una conferenza stampa alla Camera e che hanno realizzato per A Buon Diritto, Associazione per le libertà, sottolinea come il tasso di recidiva (il tasso di reingresso in carcere) si attesti normalmente su una media del 68%. Per 100 persone che sono state detenute, in altre parole, 68, presto o tardi, fanno ritorno in cella. I tassi di recidiva fra gli indultati, a fronte di una campagna mediatico-politica che descrisse quel provvedimento come la messa in libertà di un’orda di criminali pronti alle peggiori gesta, sono, a 3 anni di distanza, eccezionalmente bassi.

Ovvero, questo sembra suggerire la loro ricerca, l’aver sottratto quelle migliaia di persone alla vita carceraria le ha rese mediamente meno inclini a condotte criminali rispetto a quanti, in carcere, espiano la loro pena per intero. L’indulto 2006 dimise 27.965 soggetti agli arresti in carcere. Di questi sono tornati in cella in 8.477 (ovvero, il 30,31%: meno della metà di quel 68% prima ricordato); altresì, rimise in libertà 7.829 soggetti beneficiari di misure alternative alla detenzione: di questi sono tornati in carcere in 1.705, il 21,78% (la media ordinaria, per questa modalità di espiazione della pena, è del 30%).

Nel complesso, sono state 35.794 le persone che hanno beneficiato di quello sconto di pena riacquisendo piena libertà: il tasso di recidiva è il 28,45% (i dati sono aggiornati al 30 giugno 2009 e sono elaborati su statistiche del ministero della Giustizia). E non è suscettibile, questo tasso, di vertiginose impennate: visto che tutti gli studi - e quello di Torrente e Manconi non fa eccezione - suggeriscono come chi torna in carcere, nella maggior parte dei casi, lo fa nei primi o nei primissimi mesi dalla messa in libertà.

Altri due dati: lo studio attesta come quante più volte si è stati detenuti - quanto più tempo si è passato in carcere - tanto più facilmente si torna a delinquere e si torna in cella (il tasso di recidiva tra chi è stato detenuto 3 o 4 volte è molto più alto di quello che si registra tra chi era alla prima o alla seconda detenzione); e, ancora, la ricerca annota come il tasso di recidiva sia sensibilmente più alto tra gli italiani di quanto lo sia tra gli stranieri (31,99% contro 21,36%).

Questo studio appare come la smentita di una ridda di luoghi comuni sulle virtù della pena inesorabile e dura, sul carcere che tanto più ne fai tanto meno hai voglia di tornarci e righi dritto, sugli immigrati criminali irrecuperabili. Esso dice, piuttosto, che le misure alternative funzionano eccome; e che gli atti di clemenza possono indurre a condotte virtuose, estranee al circuito criminale. Intanto 63.460 persone, 20mila in eccedenza rispetto alla "capienza regolamentare" del complesso dei nostri istituti di pena, abitano le patrie galere. Mai così tante dai tempi dell’amnistia di Togliatti.

 


Giustizia: Manconi; studio dimostra che l'indulto ha funzionato

di Susanna Marietti

www.linkontro.info, 15 luglio 2009

 
Sono stati presentati ieri presso la sala stampa della Camera dei Deputati i risultati di uno studio portato avanti da un gruppo di ricercatori dell’Università di Torino coordinato da Giovanni Torrente relativo agli effetti del provvedimento d’indulto varato dal Parlamento nel luglio del 2006. "A tre anni dal provvedimento di clemenza. Indulto: la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità" era l’eloquente titolo della presentazione.

Luigi Manconi, che ha commissionato la ricerca quale seguito di quella da lui promossa all’indomani del voto quando era sottosegretario alla Giustizia con delega alle carceri, ha aperto l’incontro auspicando, tramite la ricerca torinese, di "rendere l’onore perduto al provvedimento di clemenza, che più di ogni altro ha subito un processo di deformazione del suo significato e di travisamento dei suoi esiti". I dati oggi presentati costituiscono la quarta tappa di uno studio di monitoraggio che ha visto altre elaborazioni a 6, 17 e 26 mesi dal provvedimento.

Manconi ha raccontato di aver dovuto pagare di tasca propria quest’ultima fase della ricerca perché, con l’arrivo del nuovo governo, "i pochi fondi necessari per portare a termine un lavoro così importante, che costituisce un piccolo elemento di verità contro un’alterazione tanto profonda dell’indulto, erano stati tagliati".

La ricerca, illustrata da Torrente, ha mostrato come, contrariamente a tutte le rappresentazioni mediatiche fornite in questi mesi, il tasso di recidiva tra coloro che hanno beneficiato dell’indulto provenendo dalla carcerazione sia oggi del 30,31%, contro il 68% circa del tasso ordinario di recidiva. Tra chi al momento del provvedimento era sottoposto a una misura alternativa alla detenzione si scende addirittura al 21,78%. Questi dati, ha spiegato Torrente, si possono considerare sostanzialmente definitivi, poiché i rientri in carcere si sono avuti principalmente nei primissimi mesi dopo il voto parlamentare.

Il tasso di recidiva è dunque di circa dieci punti inferiore tra chi aveva usufruito di una misura alternativa prima di beneficiare del provvedimento di indulto. L’indulto va a confermare un dato che tutte le ricerche su questi temi ci hanno ormai insegnato. Il carcere fa male. Se guardiamo alla variazione del tasso di recidiva tra chi aveva più o meno carcerazioni alle spalle, vediamo come esso vada a crescere fortemente in relazione alla vita penitenziaria passata.

Per chi era in carcere al momento del provvedimento di clemenza, dal 18,38% di chi era alla prima carcerazione al 52,52% di chi ne aveva alle spalle cinque o più. Lo stesso accade per coloro che hanno avuto l’indulto dalla misura alternativa, ma con una minore progressione. Oltre sei persone su dieci, tra chi aveva cinque e più carcerazioni alle spalle e stava usufruendo di una misura alternativa, non sono rientrati in carcere dopo aver beneficiato dell’indulto.

"Le misure alternative", ha detto Torrente, "aprono uno spazio. Ma invece di imparare dai dati, le politiche odierne si muovono in direzione opposta, limitando l’utilizzo delle alternative alla detenzione". Se guardiamo poi alla nazionalità delle persone rientrate in carcere dopo aver usufruito del provvedimento, vediamo come, a dispetto di tutte le campagne mediatiche che ci raccontavano di una "tipica faccia da indultato" (La Stampa, La Nuova Sardegna) che avrebbe ovviamente avuto la carnagione nera od olivastra, tra gli italiani la recidiva sia stata pari al 31,99% dei rimessi in libertà mentre tra gli stranieri si sia fermata al 21,36%.

La parlamentare radicale Rita Bernardini, dati alla mano, ha fornito la misura delle devastanti campagne televisive sulla sicurezza, affatto scollate da ogni attinenza alla realtà. Campagne che sono la causa dell’opinione diffusa che vede nell’indulto un episodio dannoso della recente storia italiana. A seguito di un’analisi condotta su circa 5.100 edizioni di telegiornali annue per oltre cinque anni, ha mostrato come il tempo dedicato a notizie di cronaca nera, cronaca giudiziaria e criminalità organizzata sia più che raddoppiato dal 2003 al 2007, passando dal 10,4% al 23,7%.

È a partire dal 2006 che si è prodotta l’accelerata, nonostante i dati raccontino di una diminuzione generale dei reati più gravi. Il presidente di Antigone Patrizio Gonnella ha chiuso ridicolizzando il piano di edilizia penitenziaria portato avanti dal ministro Angelino Alfano e dal capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Franco Ionta.

"Noi siamo contrari all’edilizia penitenziaria per ragioni di principio", ha detto. "Ma qualcuno dovrebbe smascherare il ministro e dire ad alta voce che il suo piano è irrealizzabile. Franco Ionta è commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria, e già quando c’è un commissario c’è un fallimento. Ci dice di voler creare 17 mila posti letto entro il 2012. Primo, con questi tassi di crescita della popolazione detenuta questi numeri sono inutili. Secondo, è impossibile dal punto di vista edilizio essere così veloci. Terzo, perfino dopo aver rubato dalla Cassa delle Ammende, a tutt’altro destinata, il ministro sa bene che mancano i due terzi dei fondi necessari".

 


Giustizia: Radicali presentano dati su indulto; evitata la tragedia

Il Velino, 15 luglio 2009

"Si dice in giro che l’indulto stato inutile e che le carceri italiane sono nuovamente affollate, ma senza indulto oggi, nelle strapiene carceri italiane, ci sarebbero tra i 10 e gli 11 mila detenuti in più. Con effetti tragici". Così la parlamentare radicale Rita Bernardini ha presentato alla Camera lo studio messo a punto da Luigi Manconi presidente dell’associazione A buon diritto dal titolo "A tre anni dal provvedimento di clemenza. Indulto: la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità".

Lo studio, difende la bontà del provvedimento di clemenza adottato dal parlamento nel 2006 esprimendo un giudizio positivo sull’impatto prodotto dall’indulto. In base ai dati forniti dallo studio e aggiornati al 30 giugno 2009, infatti, si evidenzia che, a tre anni di distanza dall’indulto, il tasso di recidiva tra i beneficiari si ferma al 30,31 per cento. Percentuale che scende al 21,78 per cento fra coloro che al momento dell’entrata in vigore della legge stavano scontando la pena in misura alternativa. E questo a fronte di un tasso medio di recidiva "ordinario" del 68% e del 30% fra coloro che hanno scontato la pena prevalentemente in misura alternativa.

Lo studio conferma inoltre la maggiore efficacia della misura alternativa, rispetto al carcere, nella limitare i comportamenti recidivanti anche fra "coloro che hanno alle spalle un percorso deviante consolidato". I dati offrono infine informazioni relative alla nazionalità dei soggetti recidivanti: gli italiani si sono mostrati recidivi in misura maggiore rispetto agli stranieri, essendo la percentuale di recidivi italiani di ben 10 punti percentuali superiore a quella rilevata fra gli stranieri.

"L’indulto - ha commentato Manconi - è stato un provvedimento criminalizzato, di cui si parlava con vergogna, che ha subito una campagna di disinformazione sui risultati e di alterazione degli esiti. Con questi numeri, a tre anni di distanza, possiamo rovesciare da cima a fondo tutti questi luoghi comuni e dimostrare l’inequivocabile successo del provvedimento di clemenza".

 


Più indulti, meno reati
Alessandro Antonelli

Più indultati, più buoni. Meglio ancora se stranieri. Gli sceriffi nostrani non faranno i salti di gioia ma dovranno arrendersi all'evidenza: i beneficiari del provvedimento di clemenza approvato la scorsa legislatura sono meno “dannosi” degli altri inquilini del pianeta carcere.

Il loro tasso di recidiva (ossia di reiterazione del reato) è del 28,45%. A fronte di un livello del 68% tra chi sconta ordinariamente - e per intero - la pena. Tradotto in sintesi, gli indultati tornano a delinquere in una misura che è minore della metà di quella di chi non gode di sconti. La percentuale scende ancora di più tra i cittadini stranieri (21,36% rispetto al 31,9% degli italiani) e in ogni caso la reiterazione del reato cala sensibilmente tra coloro che accedono a misure restrittive diverse dalla detenzione: 21,78%. Ancora più in sintesi: il carcere fa male, ai galeotti e alla società.
31 luglio 2006 - 30 giugno 2009. L'indulto, figliastro partorito dagli onorevoli (tanti) e rinnegato con vergogna già all'anagrafe, si prende le sue rivincite. «A distanza di tre anni - dice Luigi Manconi, presidente dell'associazione “A buon diritto” e finanziatore della ricerca - possiamo rovesciare da cima a fondo la pessima informazione che si è sedimentata negli anni. L’indulto ha subito un processo di criminalizzazione, di deformazione di significato e alterazione dei suoi esiti». È vero, ammette Manconi, l’indulto non ha prodotto interamente i suoi effetti “balsamici”. Per dare sollievo alle carceri - tornate a livello di guardia - e far respirare le celle, sarebbe servito un parallelo provvedimento di amnistia. Ma quale sarebbe oggi la situazione senza la vituperata legge 241 del 2006? «Effetti tragici - ammonisce Manconi - tra i 10mila e gli 11mila detenuti in più».
E allora eccolo, il riscatto dell’indulto, celebre “affossatore” del governo Prodi. Congiure di palazzo a parte, la vulgata vuole che sia stato proprio lo “sciagurato” atto di clemenza la tomba del centrosinistra. Poco conta che l'approvazione del testo raccolse allora una larghissima maggioranza parlamentare, abbondantemente superiore a quella richiesta dalla carta costituzionale (due terzi dell'assemblea). Sulla scorta di pulsioni securitarie tutt'altro che ammansite da maggioranza e opposizione, quasi tutti si affrettarono a ritirare la mano dopo aver lanciato il sasso. Il risultato è che oggi il Parlamento è un purgatorio bipartisan che pullula di anime pentite. I più ipocriti continuano ad aggrapparsi a invincibili questioni morali, fintamente folgorati da quell'accorato appello di papa Wojtyla alla Camera. La verità è che tre anni fa le carceri stavano scoppiando e non agire sarebbe stato un crimine di Stato. Oggi la situazione del sovraffollamento carcerario - e delle condizioni di vita dentro le celle - è tornata i livelli del pre-indulto. In sostanza si ripropone con urgenza un intervento del governo. Ma la squadra di Berlusconi, benché composta in larghissima misura da personaggi che l'indulto lo votarono eccome, non ha nessuna intenzione di capitolare e di rimetterci le penne. Il ministro Alfano ha fatto sapere proprio due giorni fa che di nuovi “sconti” non se ne parla proprio. Anzi, la «priorità estiva» sarà l'apertura di nuove carceri. Da via Arenula arriva dunque un doppio messaggio: non solo non lasceremo liberi i “delinquenti”, ma non torneremo indietro su quelle leggi che “producono” reati: la Bossi-Fini, la Fini-Giovanardi e la ex-Cirielli. Vale a dire le norme che puniscono a vario titolo l'immigrazione, il consumo di droghe e i “recidivi”, aumentando a dismisura la popolazione carceraria.
Anche il ricorso a pene alternative alla detenzione - con il tentativo di limitare i benefici offerti dalla Gozzini - rientra nel messaggio “law and order” lanciato dall'esecutivo. Ora che la Lega è “padrona” della maggioranza, sarà ben difficile che il Guardasigilli possa tentare di smarcarsi. E così la tendenza all'ipertrofia giustizialista continua a genera deprecabili sillogismi: altri detenuti, altri penitenziari.
Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone, sottolinea le incongruenze del piano di edilizia carceraria: «Avevano promesso 17mila posti letto in più e non si è ancora visto nulla. Per costruire un penitenziario servono in media otto anni, quando a fine 2012 arriveremo a 100mila detenuti. E poi quel piano è fasullo: mancano due terzi delle coperture finanziarie. Dove prenderanno 900milioni di euro?».
Ecco perché la ricetta di Antigone è un’altra, ed è quella di mettere mano alle cause strutturali dell’affollamento, magari partendo dalla depenalizzazione del consumo di droghe. Intanto la deputata radicale Rita Bernardini annuncia per il mese prossimo una tre giorni di visite in tutti i 205 penitenziari d’Italia per monitorare - attraverso questionari - la condizione di vita nelle celle: «Le cifre sugli effetti dell’indulto si spiegano con la logica delle carceri, che non tendono - come da Costituzione - alla rieducazione e al reinserimento del condannato».
L’iniziativa di Bernardini viaggia in parallelo alla proposta di legge depositata in Parlamento: una vera e propria “anagrafe” delle prigioni per favorire la trasparenza e la vigilanza sull’intero sistema.

 


Ecco le verità nascoste dell indulto (e della tv)
Primo studio sullo sconto di pena
Marco Bartocci

La clemenza fa bene. Alla sicurezza di chi sta fuori e alla «devianza» di chi è stato in galera. Meglio del carcere sicuramente. L'indulto come fonte di ogni male sociale è stato il senso comune ripetuto ossessivamente da (quasi) tutti i mezzi di comunicazione dal giorno della sua approvazione a oggi. E invece, quasi tre anni dopo, i risultati del primo studio scientifico sui tassi di recidiva dei detenuti smonta molte delle menzogne costruite attorno a un provvedimento di clemenza necessario e votato dalla stragrande maggioranza del parlamento.
Lo studio - elaborato da Giovanni Torrente dell'università di Torino e presentato ieri alla Camera da Luigi Manconi (A Buon Diritto), dalla deputata radicale Rita Bernardini e da Patrizio Gonnella (Antigone) - elabora i dati del ministero della Giustizia al 30 giugno 2009 su tutti i detenuti che negli ultimi 35 mesi sono tornati in carcere. Ebbene, i tassi di recidiva dei detenuti indultati sono "sorprendentemente" più bassi di quelli ordinari. La recidiva consueta è del 68%. Quella degli indultati è del 28,45% (del 30,31% di chi è uscito dal carcere grazie allo sconto di pena e ancora più bassa, il 21,78% tra chi era in misura alternativa). I beneficiari del provvedimento sono stati in tutto 35.794. Di questi sono tornati dietro le sbarre 10.182 (il 28,45%, appunto). Il numero di reingressi si è concentrato nei primi sei mesi. Si spiega così, forse, l'allarme sociale amplificato dai media dopo il sì al provvedimento.
Di più. Lo studio di Torrente analizza il tasso di recidiva rispetto al numero di carcerazioni precedenti. Il percorso «deviante» non viene interrotto dalla galera. Anzi. Dei 4.204 «indultati» che avevano già 5 carcerazioni alle spalle ben 2.208 sono tornati in galera. Mentre per gli «incensurati» interrompere in modo mite la prima carcerazione è stato un bene. Usciti in 11.086 sono rientrati in 2.038. Una recidiva bassissima (il 18,38%, l'indulto cioè ha funzionato per 8 persone su 10). Un trend chiarissimo: più volte sei stato in galera più tendi a tornarci quando ne esci.
Ultimo luogo comune che lo studio demolisce è quello sugli stranieri. Dietro le sbarre sono tanti, il 39,4% del totale (fino al 70% nelle carceri metropolitane). Ma il tasso di recidiva degli indultati italiani è del 32%. Per gli stranieri invece è solo del 21,36%. Dieci punti sono tanti anche se dopo la scarcerazione, avverte lo stesso Torrente, ci sono il transito nei Cpt o le espulsioni. Il testo completo sarà su www.innocentievasioni.net.
Ma sono dati scientifici che confortano il fronte «garantista». Come ricorda Manconi, all'epoca sottosegretario alla Giustizia con delega alle carceri, «senza indulto avremmo 11mila detenuti in più oltre ai 63mila già presenti oggi». Una situazione intollerabile che fa dire a Rita Bernardini che «mai come oggi le carceri sono fuori dalla Costituzione». Persone ammassate fino a 22 ore nei pochi metri quadri delle celle. Senza poter fare nulla, sedati peggio dei leoni allo zoo.
Eppure, ricorda Bernardini, il resoconto dei Tg è impressionante. L'allarme sicurezza ha dominato gli ultimi due anni. Nelle 5.100 edizioni in un anno dei 7 tg nazionali, nel 2003 solo il 10,4% del tempo era dedicato alla cronaca nera o giudiziaria. Nel 2007 era il 23,7% e, secondo gli ultimi dati Agcom, nel 2008 è stato addirittura del 25,2% (il lavoro, per dire, ha avuto l'8,4% e la cultura l'1,6%). Un'ondata di violenza che non può non influenzare scelte legislative che penalizzano col carcere qualsiasi comportamente deviante: dall'immigrazione irregolare alle scritte sui muri, alla violenza negli stadi.
Il carcere è una discarica indifferenziata che ha la sua punta dell'iceberg nei reati collegati alla droga. Come ricorda Gonnella, quasi 20mila detenuti, il 38%, sono dentro per un solo articolo di legge: l'art. 73 della Fini-Giovanardi. Numeri che dimostrano, dice Gonnella, che «il proibizionismo è fallito e che la legalizzazione è ormai necessaria». Non mancano le preoccupazioni per l'oggi. Costruire nuove carceri come prevede il «piano Ionta» non servirà a nulla, ricorda Antigone, se «dalle strutture non si passa alle cause strutturali» del sovraffollamento. Oggi entrano 850 nuovi detenuti al mese. Se va così nel 2012 l'Italia supererà quota 100mila. Un boom edilizio.

 

 

Carceri, ecco i dati sull'indulto: un successo
Lucia Alessi

Una nuova ricerca svela il crollo del tasso di recidività post-indulto. Ma in risposta al decreto sicurezza, il governo Berlusconi punta sulla costruzione di nuove carceri

A fine luglio 2006 veniva approvato il provvedimento di indulto, diventato per mesi uno dei punti più controversi del già difficile Prodi II. Il 14 luglio scorso, la parlamentare Rita Bernardini ha presentato alla camera lo studio «A tre anni dal provvedimento di clemenza. Indulto: la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità», portato avanti da un gruppo di ricercatori dell’università di Torino, coordinato da Giovanni Torrente, sociologo del diritto, che così sintetizza i risultati del lavoro: «Tutti sono convinti che l’indulto sia stato un fallimento, ma lo studio dei tassi di recidiva dei ‘liberati’ ci dice l’esatto contrario: è scesa al 27 per cento, di contro al 68 per cento di quella pre-indulto».
«Si dice in giro che l’indulto sia stato inutile e che le carceri italiane sono nuovamente affollate – spiega Rita Bernardini – ma senza quel provvedimento oggi, nelle strapiene carceri italiane, ci sarebbero tra i 10 e gli 11 mila detenuti in più. Con effetti tragici».
A commissionare la ricerca è stato l’allora sottosegretario alla giustizia e attuale presidente dell’associazione «A buon diritto», Luigi Manconi: «L’indulto è stato un provvedimento criminalizzato, di cui si parlava con vergogna, che ha subìto una campagna di disinformazione sui risultati e di alterazione degli esiti. Con questi numeri, a tre anni di distanza, possiamo rovesciare da cima a fondo tutti questi luoghi comuni e dimostrare l’inequivocabile successo del provvedimento di clemenza». Dalla ricerca emerge dunque che, tra coloro che hanno beneficiato dell’indulto, il tasso di recidività è del 30 per cento, mentre scende al 21 per cento tra chi ha ricevuto il beneficio mentre stava scontando la pena con misure di detenzione alternativa. Una recidività direttamente proporzionale alla «cancerizzazione», dunque: si parla del 52 per cento per chi ne aveva alle spalle cinque o più, del 18 per cento per chi era alla prima carcerazione, mentre la recidività non arriva al 12 per cento tra coloro che non avevano mai avuto esperienze carcerarie.
«Non hanno fatto in tempo a ‘carcerizzarsi’ – ha spiegato Torrente – incastrandosi in quelle dinamiche tipiche del carcere che in genere portano a introiettare comportamenti devianti e a perdere il contatto con le logiche del mondo libero». Andando poi a osservare la nazionalità degli indultati, i recidivi italiani sono il 31 per cento, mentre quelli stranieri soltanto il 21 per cento.
La ricerca costituisce la quarta tappa di uno studio di monitoraggio che ha visto altre elaborazioni a 6, 17 e 26 mesi dal provvedimento. L’ex sottosegretario Manconi ha raccontato che, con l’arrivo del nuovo governo, «i pochi fondi necessari per portare a termine un lavoro così importante, che costituisce un piccolo elemento di verità contro un’alterazione tanto profonda dell’indulto, erano stati tagliati», costringendolo a pagare di tasca propria la fase conclusiva dello studio.
Una ricerca che, ancora una volta, rivela come fortemente negativa l’esperienza carceraria, preferendo comunque le misure alternative, ma soprattutto in contrasto con il piano di edilizia carceraria del ministro Angelino Alfano e del capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Franco Ionta, che puntano sulla costruzione di nuove carceri per risolvere il problema del sovraffollamento, soprattutto dopo l’approvazione del decreto sicurezza che porterà in prigione molti stranieri, rei di «soggiorno irregolare».
Una situazione, quella delle carceri italiane, destinata dunque a esplodere, in base a quanto si legge nell’ultimo rapporto dell’associazione Antigone, dal quale emerge che i detenuti hanno ormai raggiunto quota 63.460, ben 20 mila in più rispetto alla capienza e ben al di là della cosiddetta «capienza tollerabile». Di questi oltre il 52 per cento sono persone sottoposte a custodia cautelare in attesa di giudizio e ciò rappresenta una vera e propria anomalia, una situazione insostenibile sia per i detenuti che per il personale di vigilanza.
«Noi siamo contrari all’edilizia penitenziaria per ragioni di principio – ha detto Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione – ma qualcuno dovrebbe smascherare il ministro e dire ad alta voce che il suo piano è irrealizzabile. Franco Ionta è commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria, e già quando c’è un commissario c’è un fallimento. Ci dice di voler creare 17 mila posti letto entro il 2012. Primo, con questi tassi di crescita della popolazione detenuta questi numeri sono inutili. Secondo, è impossibile dal punto di vista edilizio essere così veloci. Terzo, perfino dopo aver rubato dalla cassa delle Ammende, a tutt’altro destinata, il ministro sa bene che mancano i due terzi dei fondi necessari».

Carta 20 Luglio 2009

 

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Osservatorio sulla contenzione
a cura di Grazia Serra

  
   

   
    a cura di Francesco Gentiloni

" Il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri"
Voltaire

 


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