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Ai margini della città
di Corrado Ferioli

Sono le sei della sera; sono stanco e sudato, varco distratto il portone di casa, con pochi rapidi gesti sono sotto la doccia, mi lavo in fretta perché la sera bramosa mi attende; con altrettanta fretta mi metto addosso i primi vestiti arraffati nell’armadio, conto i soldi, controllo le sigarette, un ultimo distratto colpo d’occhio nella specchiera: sono pronto!
Sono fermo davanti al portone di casa, mancano pochi minuti alle sette di sera e già sono irritato perché Fabio non si vede ancora, poi, improvviso, avverto il rumore delle ruote dell’auto sulla ghiaia della strada; con una frenata si ferma davanti a me e apre la portiera; in un lampo sono seduto al suo fianco sbattendo la portiera, lo saluto con una stretta di mano e via!
Nell’auto la musica alta copre i nostri stupidi commenti sulla giornata lavorativa, le parole uscite dalle labbra non corrispondono ai nostri pensieri; entrambi non vediamo l’ora di arrivare a destinazione e il viaggio non è lungo. Il paesaggio collinoso scorre veloce e monotono dai finestrini dell’auto, non ci interessa nulla di quello che ci circonda, per adesso l’interesse primario è la prima tappa del nostro viaggio: la farmacia.
Con un forte stridore delle gomme l’auto si ferma davanti alla farmacia, entro, veloce come un felino, salto la fila con prepotenza e chiedo con tono perentorio 2 insuline e 2 acque distillate; la farmacista mi guarda con occhio pietoso ma fa in fretta, perché ha paura e non vede l’ora che me ne vada, pago, esco e salto nell’auto che sgommando riprende il suo viaggio.
19.30, siamo a metà strada e i primi sintomi dell’astinenza si fanno sentire: nausea, mal di reni e grosse gocce di sudore che mi imperlano la fronte; sto male ma non dico nulla, perché niente deve incrinare la mia immagine. La stroboscopica striscia di nero asfalto mi trasporta verso il “benessere”, nemmeno le altre auto, le strisce bianche della strada, le luci della sera ci distolgono dalla nostra meta. I casellanti, avvezzi a tutto quel che può accadere in autostrada, ci guardano con l’occhio di chi gia sa chi sei e quello che stai andando a combinare a Milano.
Sono le 20.00, la sera è già scesa e le mille luci della malfamata periferia nord di Milano ci attendono e ci inglobano in una specie di coltre protettiva; i lunghi viali alberati scorrono veloci , tra prostitute e pusher, immondizia, sporcizia e gente come noi; non siamo lontani dal nostro “tipo”; ancora pochi minuti e saremo a casa sua, sto sempre peggio.
Ci avviciniamo lentamente alla sua abitazione, dall’altra parte della strada, sotto casa c’è suo nipote, Andrea, sedici anni molto vissuti e con una faccia da “duro”; suo è il compito di selezionare i “clienti” per lo zio ma noi non abbiamo questo problema; sono mesi che ci conosciamo e difatti appena mi vede, mi saluta con un caloroso abbraccio e ci scambiamo immediatamente l’informazione che ad entrambi più interessa: quanta “roba” compro oggi. Non parlo nemmeno, alzo la mano destra con l’indice e il medio distesi: due, sono due sacchetti da 5  grammi di eroina.
Attraversa veloce la strada e citofona allo zio dicendo solo il numero; poi mi fa un cenno con la testa e parto veloce attraversando la strada, infilo di corsa il portone, evito l’ascensore perché c’è da aspettare e mi mangio i tre piani di scale; sto sempre peggio e la fatica delle scale non migliora la situazione, ormai la camicia è zuppa e la nausea è diventata quasi vomito ma resisto perché fra poco tutto sarà finito.
Arrivato al pianerottolo, i neon rotti emanano una strana luce, a scacchi; la porta dello zio è aperta, varco veloce la soglia dell’appartamento, infilo rapido la mano destra nella tasca destra dei pantaloni, avverto il contatto con la carta moneta, sono 5 banconote da centomila lire, il prezzo per stare bene; lo scambio è veloce, i soldi per 10  grammi d’eroina di buona qualità, prezzo e qualità di favore, perché ci conosciamo da mesi e ogni giorno lo vado a trovare.
Esco rapido salutando velocissimo lo zio, nemmeno lo guardo in faccia; in un lampo sono in strada e adesso mi manca anche il fiato, sto sempre peggio ma devo resistere.
Fabio mi aspetta in auto, il motore è già acceso, mi apre la porta e sono dentro; il caldo dell’auto mi scatena un attacco di vomito, apro la portiera e svuoto lo stomaco sull’asfalto del parcheggio, lui parte in retro e per un soffio non cado dall’auto.
L’astinenza si fa sentire sempre di più ma resisto, mi chiede se ho la “roba” e non ho la forza di rispondergli, gli faccio un cenno affermativo con la testa. Sa dove andare e vi si dirige in fretta, saltando i semafori e passando sui marciapiedi, in pochissimi minuti siamo arrivati: sono gli orti, un pezzo di terreno dietro quattro condomini che i residenti coltivano nello smog milanese.
Siamo fermi; ognuno ha il suo compito, lui scarta le siringhe e apre le fiale d’acqua distillata, io afferro il grosso cucchiaio da cucina da sotto il sedile e ci metto dentro l’eroina, sono circa due grammi. Il passo successivo è quello di metterci l’acqua con qualche goccia di limone per sciogliere meglio l’eroina, fare bollire il tutto con l’accendino e poi aspirare il “magico” liquido nelle due siringhe, filtrandolo con l’ovatta del filtro di una sigaretta. Siamo pronti: il braccio sinistro disteso sul ginocchio sinistro, la mano destra impugna la siringa; pochi secondi d’incertezza se affondare l’ago nella vena oppure no, poi la “bestia” prende il comando e l’ago affonda delicato nella vena. Ancora non è successo niente, poi lentamente aspiro il sangue nella siringa che si mischia veloce con l’eroina liquida dal colore marrone scuro; poi ancora più lentamente spingo lo stantuffo della siringa verso il fondo e il maledetto liquido, vita e morte mischiate, entra nel corpo. Ci siamo, mi sono fatto ancora, una vampata di calore mi sale dalla pancia e un miliardo di punture di spillo mi spaccano il cervello, pochi secondi e sto bene, sfilo la siringa dal braccio e la getto dal finestrino, mi accendo una sigaretta, una “Camel” e mi allungo sul sedile godendomi lo sballo; non guardo nemmeno Fabio, in fondo non mi interessa niente di lui. Le luci in lontananza si fanno più fioche, la musica dello stereo più ovattata, ho caldo e sto bene, non ho più problemi e inizio a straparlare con Fabio, parole senza senso dalla bocca di un vuoto a perdere.
Decidiamo di andarcene, perché sono ormai le 21.00 passate e la notte reclama la nostra falsa presenza; con molta calma ci allontaniamo e imbocchiamo l’autostrada per tornare indietro; prossima tappa: l’autogrill.
Il viaggio di ritorno è sempre più calmo e rilassato; il mio corpo sta bene e la mia mente sgombra da ogni problema ma gonfia di sballo. Fabio mi parla, gli rispondo ma non so nemmeno quel che gli dico, mi sembra di essere due persone in una. Arriviamo all’autogrill, ogni sera la stessa scena: entriamo, facciamo un giro tra gli scaffali e acquistiamo da bere e da mangiare, i soliti alimenti per placare la coscienza.
Usciamo all’aperto e incontriamo due ragazze sole, che ci chiedono un passaggio in auto per Varese; non sento nemmeno i loro nomi ma le faccio salire in auto sui sedili posteriori, partiamo e non siamo nemmeno usciti dall’autogrill che ci chiedono se abbiamo della “roba”; anche loro hanno i nostri stessi gusti e hanno capito che siamo fatti per bene. Non mi fido molto ma oramai sono in ballo e gli rispondo di sì; per un po’ parliamo delle solite banalità, poi il discorso passa alla “roba” e una delle due dice che, se le facciamo sniffare, faranno l’amore con noi; guardo Fabio che mi risponde con un cenno affermativo della testa, gli rispondo che ci sta bene e usciamo dall’autostrada per dirigerci in un posto tranquillo di nostra conoscenza. Il posto è dietro una fabbrica dimessa, brutto posto, sporco e decisamente squallido; le facciamo sniffare, poi si spogliano e iniziamo a fare l’amore ma mi accorgo che quella che sta sotto di me sta cercando di rubarmi il portafoglio, le tiro un pugno in faccia, il sangue caldo mi schizza in faccia, rapido apro la portiera dell’auto e la butto fuori, la stessa cosa fa anche Fabio, poi parte sgommando mentre gli butto i vestiti dal finestrino. Brutta serata ma la notte continua e non provo proprio nulla per quel che è successo… può accadere con la vita tossica.
Sono ormai le 23.00 passate quando arriviamo in un locale, noto ritrovo di tossici, scendiamo lentamente dall’auto e ciondolando entriamo; alcuni nostri amici si avvicinano per sapere se abbiamo della “roba”, rispondo di no, perché non voglio rotture di scatole, voglio solo divertirmi e per farlo affittiamo un biliardo; non siamo molto lucidi e la partita si trascina con palle che schizzano fuori dal tavolo verde, non ci divertiamo e ce ne andiamo. Destinazione discoteca
Non mi piace ma guida Fabio e decido di andare con lui; guida troppo veloce ma la velocità non ci spaventa, rischiamo un paio di incidenti poi finalmente entriamo nel parcheggio della discoteca. Con calma scendiamo e ci dirigiamo all’entrata; saltiamo la fila e non paghiamo, perché il buttafuori che conta è un nostro amico; entriamo, luci accecanti, musica al massimo, ci accolgono suadenti, vado al bar mentre Fabio si mette a ballare, mi scolo due whisky in rapida successione e mi siedo su un divano. Mi annoio a morte ma lo sballo mi sorregge e mi abbandono alle luci e alla musica. Sogno a occhi aperti una vita non mia: belle donne, soldi, successo e grosse macchine, sogno talmente bene che mi addormento, vengo svegliato dopo molto tempo da una bella ragazza con i capelli rossi, gli piaccio, si vede ma appena apro bocca si accorge che sono sballato d’eroina, s’inventa una scusa e mi molla così, come uno stupido, non è un problema, è già capitato.
La non-vita continua; decido di uscire a prendere aria, mi viene voglia sballarmi ancora, quindi mi dirigo in fondo al parcheggio, dove c’è un posticino tranquillo, mi faccio un altro buco. Dopo un po’ mi avvicino all’auto di Fabio, lui è lì che mi aspetta, sono ormai le 03.00 di notte, è ora di tornare a casa.
Saliamo in auto e lentamente mi accompagna a casa; distratto infilo la chiave nella toppa, entro nel portone di casa, nascondo la “roba” in garage e salgo in casa, facendo attenzione a non far rumore, mi spoglio e mi metto a letto, rapido mi addormento, sognando una vita diversa e migliore.
Domani sarà ancora autostrada, parcheggi, asfalto e pusher.
L’essere riuscito a scrivere un giorno del mio passato da tossico dalla cella di un carcere, ormai sono passati 16 anni, non significa che sia diventato un uomo perfetto ma solamente che la mia mente e il mio corpo si sono staccati dagli schemi del passato, ridandomi la certezza di una vita nuova, lontana dalle “vecchie prigioni invisibili e interiori”.

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Numero dei detenuti presenti su 43084

61.481 detenuti
il 7/2/2014


Osservatorio sulla contenzione
a cura di Grazia Serra

  
   

   
    a cura di Francesco Gentiloni

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Voltaire

 


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