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Yassin morto per ingiustizia
Franco Corleone


Yassin avrebbe compiuto tra pochi

giorni diciotto anni. Mi sono

ricordato la canzone interpretata

dai Tetes De Bois, “Non si

può essere seri a diciassette anni”

e provo uno strazio indicibile

pensando alla sofferenza di un

giovane venuto dal Marocco, alla

sua solitudine e a una voglia di

vivere disordinata. è il sessantacinquesimo

suicidio in carcere in

questo anno di dis/grazia 2009,

per fortuna non ci siamo assuefatti

alla tragedia continua; ma

questa morte in qualche modo

annunciata fa aumentare la rabbia

per il segno di una profonda

ingiustizia. Tutti gli operatori del

carcere erano consapevoli della

sua condizione difficile, psicologica

e personale, e avevano sottolineato

in più occasioni uno

stato di incompatibilità con la

detenzione. Ma la decisione del

ricovero in ospedale è stata decisa

fuori tempo massimo, il ritardo

pare dovuto al palleggiamento

sulla competenza tra il reparto

di psichiatria infantile e quello

degli adulti e ci sarebbe da sorridere

della capacità della burocrazia

medica di giocare sulla

pelle dei pazienti se non fossimo

davanti a una morte crudele.

Questa storia offre molte

conferme del carattere di giustizia

di classe e addirittura etnica

che si pratica in Italia nel silenzio

e nella distrazione di tanti. Solo

uno straniero sostanzialmente

solo poteva rimanere in carcere

in attesa del processo per tentato

furto di un orologio. D’altronde

la retorica della certezza della

pena per qualcuno deve pur

valere! Così si spiega la preoccupazione

del magistrato che, se

rimesso in libertà, Yassin non si

sarebbe presentato al processo.

C’è evasione ed evasione: quella

dalla vita è inspiegabile ma quella

dalla legalità è intollerabile,

pare. Ma possiamo anche pensare

a un’altra spiegazione più

sollecita della sorte di un giovane

in difficoltà: meglio in carcere

che in strada. Così non è stato.

Anche perché la costrizione non

aiuta un soggetto fragile. L’attenzione

del carcere, che c’è stata, in

casi del genere si traduce nella

formula di assicurare un’alta sorveglianza.

Forse c’era bisogno di

amore ed è una richiesta impossibile.

Tanti giovani sono in carcere

per reati minimi e soffrono

in modo lancinante; dobbiamo

avere il coraggio di proporre una

riforma degli istituti penali minorili

perché non siano dei mini

carceri, ma “case” con pratiche di

convivialità. La devianza dei giovani

è legata ai miti degli adulti,

all’esercizio del potere della violenza,

della sopraffazione e della

ricchezza. Occorre disegnare un

luogo fondato sulla responsabilità.

Il carcere è inutile e dannoso

e spesso dà la morte.


Terranews 19 novembre 2009
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