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Variando il punto di vista
Federico Abati

Anche fare la spesa con lei è una gioia. Ci facciamo tutto il tragitto del centro commerciale senza saltare uno scaffale; un carrello io e uno lei, ce li riempiamo a vicenda con le cose più assurde e inutili, tanto siamo arrivati in bicicletta tutti e due e mai potremmo riportare a casa tutto quello che abbiamo caricato; quindi decine di volte ritorniamo indietro: via la confezione da dieci borse termiche, via le taniche di ammorbidente per lavatrice... Ogni tanto le blocco il carrello col piede e lei ci si ficca dentro. Tra risate, smorfie e insulti arriviamo alle casse, facciamo più casino noi del resto dei clienti, che ci guardano un po’ sorridenti e un po’ infastiditi: siamo solo due innamorati che si sono ritrovati dopo un lungo periodo di lontananza e ci prendiamo tutto quello che la situazione ci offre. Mentre lei si è girata per rimettere a posto una scatola di bacchette cinesi, faccio in tempo a metterle nel carrello un cartone di pesche sciroppate e con aria indifferente mi giro verso le casse.
La gioia e le risate sono rimaste dietro di me, le file di clienti sono immobili, in silenzio, qualcuno sta ansimando: di colpo l’aria è diventata pesante. L’istinto mi dice di fermarmi e di proteggere S. dietro di me. Questa situazione l’ho già vissuta altre volte e so che si può risolvere in breve con il sollievo di tutti, come so che basta una stronzata anche piccolissima perché qualcuno si faccia male. Due ragazzi col casco integrale stanno davanti alle casse, uno controlla i clienti e la strada dietro l’entrata alle spalle, l’altro, con la mano destra in tasca, porge con la sinistra una busta alla cassiera e poi a un’altra e a un’altra ancora. Sono calmi, padroni di sé e di noi, sembrano avere tutto sotto controllo. Percepisco che sono pieni di adrenalina e che basterebbe un movimento strano perché quella mano in tasca finisca di essere solo una minaccia. Vorrei scomparire, ma c’è lei dietro di me, che non sa ancora quello che deve fare, devo rimanere immobile, vorrei girarmi per tranquillizzarla, ma non posso, ho paura della sua paura, dei gesti che la potrebbero perdere, ho paura per la sua vita, mille volte più importante della mia, e questa situazione di impotenza mi distrugge: la nostra felicità, il nostro amore, il nostro futuro sono nelle mani di questi due stronzi dall’altra parte delle casse….  
In un attimo mi salgono i ricordi di quando ero io a stare dall’altra parte delle casse a zittire tutti, cappuccio in testa e arma in mano: pistola, coltello, siringa, taglierino, qualsiasi cosa che procuri terrore. Rapido ma preciso, cercavo di trasmettere in un attimo il messaggio: potrebbe succedere un casino, ma se state tranquilli non succederà, e su quel bluff puntavo tutto. Nessuno ha mai reagito, quindi non lo so se l’avrei fatto davvero quel casino, ma la mia paura me la ricordo. La paura di qualche cliente in vena di eroismi, delle commesse che si fossero messe a urlare, di un passante che da fuori potesse accorgersi di quanto succedeva dentro, di una pattuglia che facesse un giro di controllo, di tutto quello che potesse interrompere la catena: casse – soldi – uscita – casa, mi teneva in costante eccitazione nervosa. La mia vita in quei momenti era tutta nello spazio tra l’entrata e l’uscita, quello che era il contorno non mi interessava, tutto il resto non era un mio problema.
Lei e io, oggi, facciamo parte del contorno, e il problema lo sento, enorme come un macigno. Per loro quei soldi sono la cosa più importante del mondo, e io vorrei che se li pigliassero in fretta e se ne andassero. Io ce l’ho già la cosa più importante del mondo, dietro di me ne sento il respiro, gli invisibili movimenti che fa per farsi piccola piccola, sento la sua ansia quando deglutisce. E una parte di me freme e si ribella. Li guardo di sfuggita e poi abbasso gli occhi, loro si aspettano sguardi spaventati, ma il mio spavento adesso mi fa essere incazzato e diventerei una minaccia per loro. Ma è questo quello che facevo? Ogni volta che entravo in un luogo come questo, costringevo le persone a fermare la loro vita e a giocare una mano di poker con me che davo le carte e decidevo la posta. Trovarmi ora dalla parte dei perdenti per forza mi fa sentire tutta la frustrazione e l’impotenza di chi non può influire in nessun modo sugli eventi. Devo, dobbiamo subire in silenzio fin quando decidono loro.
Sento un tonfo dietro di me: loro, io, tutti ci giriamo di scatto. Lei mi guarda con gli occhi spalancati, le mani sospese in aria, a terra il cartone di pesche sciroppate….  Con un filo di voce bisbiglia: «Non ce la facevo più a tenerle, ho cercato di poggiarle, ma mi son cadute…». Non so che fare, guardo verso di loro: uno dei due è salito in piedi sul banco di una cassa: «Che cazzo fate lì?». Io gli indico la scatola a terra, cerco di trasmettergli tutta la tranquillità del mondo: deve distogliere lo sguardo da lei! Vedo il casco muoversi da lei a me: sta cercando di capire se siamo una minaccia; poi scende e insieme all’altro se ne va in fretta. È finita!
Finalmente posso abbracciarla, tutta la tensione accumulata ci fa scoppiare a piangere, uno nelle braccia dell’altra. La sento singhiozzare mentre la tengo stretta stretta, è un pulcino ed è la mia vita. Il pensiero di averla potuta perdere in un attimo mi fa irrigidire i muscoli delle spalle finché lei non si lamenta per la stretta. Mi rilasso, lei alza il viso, gli occhi umidi, e mi fa un bellissimo sorriso. L’ultimo me l’aveva fatto due minuti fa, e avrebbero potuto portarmelo via per sempre. Questo vale tutta una vita.  



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il 7/2/2014


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