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Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Mi chiamo Paolo Oggianu, sono un Assistente Capo della Polizia di Stato, con 24 anni di servizio effettivo alle spalle, durante il quale, non ho mai subito un minimo richiamo disciplinare, ma adesso sono sospeso dal servizio per problemi giudiziari, Le scrivo questa breve lettera per vedere se oltre a me alla mia famiglia e tante tantissime persone che mi conoscono, si può indignare anche qualche altra persona in questo paese.
In breve le descrivo quanto mi accade: la storia inizia nel gennaio del 2009, e precisamente il giorno 14, quando un conoscente titolare di una ditta per la rivendita di materiali edili con sede in Genova, a circa due km dalla caserma dove presto abitualmente servizio, mi contatta telefonicamente per avere un passaggio in macchina, asserendo di trovarsi a Genova e di essere rimasto a piedi, in quanto il suo scooter si era guastato.
Acconsento a quanto richiesto non ravvisando nulla di anormale in una richiesta del genere, pertanto alle ore 15 circa come da accordi, lo vado a prendere, arrivo in magazzino e lui non c’è, deve ancora arrivare, decido quindi di aspettarlo nell’ufficio adiacente al magazzino, non senza stizzirmi e manifestare al magazziniere presente il mio disappunto, comunque per farla breve si presenta con quasi un’ora di ritardo, in macchina insieme a due persone a me sconosciute, e alle mie rimostranze, mi prega di scusarlo, e di avere ancora un attimo di pazienza in quanto da lì a pochi minuti, sarebbe arrivato un autotreno a scaricare in magazzino dei bancali di piastrelle.
Arriva un autoarticolato, il magazziniere tramite un muletto meccanico scarica un bancale di materiale edile, e lo sistema nel magazzino, fatto ciò l’autotreno manovra per andare via, io salgo nella mia vettura e la metto in moto, preparandomi finalmente per partire, a tal punto arrivano velocemente due autovetture, che sbarrano il cancello, da cui discendono delle persone armate e incappucciate, che si qualificano come Carabinieri, vengo fatto scendere dalla mia macchina e fatto entrare nel magazzino insieme a tutti i presenti, rimanendo turbato e perplesso, in quanto nessuno dava spiegazioni su quanto stava accadendo, pertanto dopo essermi qualificato, iniziavo a fare delle rimostranze per sapere qualcosa, a tal punto venivo ammanettato sbattuto a terra e malmenato da due prodi paladini della giustizia avvolti in un passamontagna in modo da essere travisati.
Viene perquisita la mia vettura, sono perquisito io, vengo trattato come un criminale, e dopo circa due ore dal loro intervento i militari, perquisendo il magazzino trovano all’interno del bancale imballato e scaricato in precedenza dal camion, rinvengono circa cento kg di sostanza stupefacente tipo hascisc, a quel punto vengo arrestato senza un minimo di spiegazione, senza la possibilità di poter spiegare o farmi le mie ragioni, vengo portato ammanettato come un criminale incallito nella caserma dove lavoro da anni e dove risiedo, li, viene perquisita la mia stanza alla ricerca di stupefacenti ma non viene trovato nulla, viene perquisita la casa di mia madre e il garage di pertinenza, anche se io non risiedo lì e non viene trovato nulla, dopodiché vengo portato in carcere, dove rimango sei mesi.
Quelli sopra elencati, sono solo la narrazione breve dei fatti che portano all’inizio della mia disavventura, perché dopo circa un mese di carcere, vengo finalmente interrogato dal magistrato, al quale spiego cosa facevo in quel luogo, perché ero lì e quello che avevo visto, anche il mio conoscente viene interrogato, e lui dichiara più volte in due diversi interrogatori, che io ero solo lì per dargli un passaggio in macchina ed ero completamente all’oscuro del traffico di stupefacenti e del contenuto del bancale scaricato dal mezzo, stessa cosa dicono le persone arrestate insieme con me e da me sconosciute, anzi loro dicono proprio che non sanno chi io sia.
Il magistrato non ci crede, e va avanti per la sua strada, morale sei mesi di carcere, sei mesi d’indagini sul mio conto dalle quali non emerge nulla, vengono scandagliati tabulati telefonico conti bancari, amicizie, tutto limpido e trasparente nulla a mio carico, tuttavia non cambia nulla, vengo rinviato a giudizio, processato e condannato in primo grado a sette anni di carcere, 60.000 Euro di multa e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, (per la cronaca il mio conoscente e le altre persone organizzatrici ree confesse del traffico sono stati condannati a quattro anni di carcere), mi dico non male per non aver fatto nulla, ma come mai per un identico capo d’imputazione due pesi e due misure? Mistero...
23 Dicembre 2010 processo d’appello, ore 09.40 inizia l’udienza, il Procuratore generale legge i capi d’imputazione, chiede la conferma della condanna di primo grado, e poi se ne va, perché aveva degli impegni, iniziamo bene, ora, più di due ore di discussione tra giudici e avvocati, con la certezza da parte di questi ultimi di un completo ribaltamento della sentenza di primo grado, non sussistendo elementi a mio carico, i giudici si ritirano in camera di consiglio, ma con grande stupore di tutti dopo alcuni minuti, gli avvocati si rendono conto che i tre giudici in camera di consiglio non ci sono e non si sa, dove siano, ricompaiono dopo circa due ore confermando la sentenza di primo grado, ora io mi chiedo per confermare una sentenza, sentite le parti, dovresti ritirarti in camera di consiglio e discuterne? Ma come fai a discuterne se non sei in camera di consiglio? Probabilmente era già tutto deciso, e il processo di appello è stato solo una proforma oppure bisognava sbrigarsi perché le vacanze di Natale incombevano pressanti.
Premesso quanto sopra, ora dopo due anni esatti in cui comunque continua a permanere nei miei confronti la misura restrittiva degli arresti domiciliari, mi continuo a porre alcune domande sul modo di amministrare la Giustizia in questo paese, premetto che quanto narrato, non vuole assolutamente essere una mia personale narrazione della verità. Chiunque, è invitato a leggere le carte processuali in mio possesso, io non ho assolutamente alcun problema né nulla da nascondere, dalla loro lettura si evince quanto da me sopra affermato, e dirò di più chiunque le abbia lette, tecnici e non tecnici affermano alla fine “ ma questi sono pazzi, ma come fanno a rovinare la vita di una persona senza una minima prova”, anche perché per meritare sette anni di reclusione, penso che almeno una prova consistente dovrebbe esserci …. Invece nulla solo ipotesi fantasiose e non dimostrate formulate dagli inquirenti, soltanto dei “potrebbe essere”, dei “sembrerebbe che”  ma di prove che possano portare a una giusta e severa, condanna nessuna.
In due anni ho già speso circa 20.000 euro di avvocati, e per questo devo ringraziare mia madre, anche perché io con uno stipendio di mille euro e dovendo mantenere un figlio minore, non avrei potuto mai permettermi un esborso economico così elevato, ora mi chiedo, se non esistono prove di un coinvolgimento mio nell’affaire, come fa un cittadino a dimostrare la sua innocenza di fronte alla legge se un pubblico ministero lo chiama in correità per fatti non commessi, mi chiedo perché un pubblico ministero può incaponirsi sulla soluzione più semplice, scadendo nell’innamoramento della sua tesi e scommettendo su di essa la propria credibilità, senza valutare mai la possibilità di aver commesso un errore, e senza mai recedere dalle proprie convinzioni anche se con il progredire delle indagini risultano palesemente infondate o sbagliate.
Nei tribunali italiani s’incenerisce la certezza del diritto, il diritto alla difesa, quel diritto di millenaria memoria, di cui noi Italiani dovremmo esserne i più grandi fruitori, essendone i depositari, in quanto tutti i sistemi giudiziari moderni ed evoluti si basano appunto sul Diritto Romano, ma forse quando venne istituito il diritto Romano, le leggi le applicavano gli uomini, gli uomini con l’U maiuscola, e non una pletora di “uomini” strapagati che non rispondono mai a nessuno dei loro macroscopici errori, errori che però in concreto portano dolore, indignazione e annichilimento della persona sulla quale ricadono e vengono perpetrati.
Per finire, è di questi giorni, il caso di cronaca riguardante Ramirez Della Rosa, fidanzato e convivente di Maria Esther Garcia Polanco, una delle ragazze ospiti alle feste del premier ad Arcore e che abita nel residence di via Olgettina, è stato condannato a 8 anni di carcere per spaccio e detenzione di droga. La cocaina, circa 12 chilogrammi, stando alle indagini veniva custodita in un box del residence, in zona Milano 2 in affitto alla stessa Polanco, Della Rosa era tra l'altro stato trovato alla guida di un'auto di proprieta' di Nicole Minetti, indagata per altri fatti (il caso Ruby) ma non attinenti gli stupefacenti.
Ora mi chiedo e Vi chiedo, che differenza esiste tra me e la Polanco, lei era fidanzata e convivente di Ramirez, io ero semplice conoscente della persona arrestata con me, lei era affittuaria del box ove era occultata la cocaina, io non avevo alcuna possibilità di accesso né tantomeno l’uso del capannone, dove era stoccato lo stupefacente, se non quando eventualmente l’attività commerciale era aperta a qualsiasi cittadino… mi viene quindi da pensare che un qualsiasi cittadino, andando ad acquistare del materiale edile, si sarebbe reso complice dei trafficanti? E poi, lei poteva non sapere dello stupefacente occultato, io invece avrei dovuto saperlo pur non frequentando il mio coimputato da circa un anno…
L’Italia è una, le leggi sono le stesse per tutti, ma evidentemente sono applicate dai Giudici sempre in maniera discrezionale, di parte, e per far male alle persone non dimentichiamoci che il Pubblico Ministero che mi ha fatto arrestare e ha indagato, la corte che mi ha giudicato, sono gli stessi che hanno giudicato tanti miei colleghi sui fatti del G8 e che hanno perso, pertanto quando devono giudicare un appartenente alla Polizia di Stato, non indagano e non giudicano mai in maniera completamente asettica, anche a causa delle reiterate polemiche che ci sono state con la Questura di Genova in questi anni.
Ora la saluto dicendo un ultima cosa, sono sempre stato una persona normale, ho sempre lavorato, e non mi sono mai sottratto a nessuno dei miei doveri istituzionali, andando anche oltre le mie funzioni e assumendomi tante e tante volte, la responsabilità di decisioni che dovevano essere prese da altri soggetti superiori al mio grado e alla mia qualifica, portandoli sempre a termine con dedizione, coscienza e ottenendo il massimo del risultato per il bene dell’istituzione che rappresento e in cui ho sempre creduto, ricevendo anche numerosi riconoscimenti, sono a posto con la mia coscienza e sicuro di non aver commesso nulla di quello di cui mi si accusa e mai, nulla nella mia vita contrario alla legge, ma evidentemente quando le istituzioni non leggono nemmeno le carte, ma giudicano in maniera preconcetta, questo non si riesce a dimostrare. D’altronde, Dante Troisi, magistrato che fu cacciato dai suoi colleghi dopo aver pubblicato "Diario di un giudice" con Rizzoli scriveva " Condannare è come uccidere e la nostra sembra una giustizia cui importa sospettare e non provare, minacciare e non punire, incriminare più che giudicare”.
La cosa sconvolgente è che questa "robetta" Troisi la scrisse quasi mezzo secolo fa e da allora nulla è cambiato.
Grazie per aver ascoltato questo pesante e amaro sfogo, rimango comunque a disposizione di chiunque voglia conoscere la storia non per mia voce, ma leggendo tutte le carte in mio possesso, e traendone le dovute conclusione, io non ho nulla da nascondere né da vergognarmi, cammino sempre a testa alta e per quanto mi riguarda possono diventare pubbliche così come la presente lettera.
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Numero dei detenuti presenti su 43084

61.481 detenuti
il 7/2/2014


Osservatorio sulla contenzione
a cura di Grazia Serra

  
   

   
    a cura di Francesco Gentiloni

" Il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri"
Voltaire

 


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