Un'esperienza che costituisce: pratiche di vicinanza |
L'incontro personale con la realtà dell'ingiustizia, un incontro che la faccia sentire, con forza e direttamente, dentro di sé, come subita personalmente anche quando vissuta da altri, è una delle "esperienze che ci costituiscono" di cui parla Roberta De Monticelli. Una delle esperienze nelle quali siamo direttamente in gioco: ne va di noi. (R. De Monticelli, 2000, p. XLV) Essa costituisce nei percorsi di formazione di ragazze e ragazzi quella attesa, quella speranza di giustizia che dà tensione, orientamento, spessore storico e radicamento nel contesto di vita alla libertà personale di ognuno di loro. Rappresenta spesso una svolta nella storia delle persone provare direttamente un'ingiustizia, ed il dolore che ne deriva, come scoprire la forza provocante delle realtà di oppressione e violenza nel mondo, ed anche incontrare lo svuotamento e il dolore sordo nelle vite di giovani e di adulti vittime del nichilismo, dello stordimento morale, dello sfinimento dei legami di convivenza. Specie se questa storia sta cercando, sta provando orientamenti nel mondo. "A cosa posso orientare, finalizzare la mia libertà ?" (G. Zagrebelsky, 2000, p 15; R. Mantegazza, 2000, 2003; I. Lizzola, 2002; S. Brena, 1998) Quando si sviluppa attenzione, grazie all'incontro, su queste realtà non solo si vivono moti interiori di ansia, di vero dolore, ma spesso si cercano "pratiche" di vicinanza, di prossimità a chi vive nella sofferenza e nell'ingiustizia, o nel bisogno, o colpito dalla violenza. "Da fare perché giuste", subito: praticate perché belle, perché segni di fiducia, perché "mettono una caparra" di giustizia e d'amore. Nella difficoltà d'uno sguardo progettuale, diffidenti verso le forme, i linguaggi, la "pazienza" della politica. Il disincanto vissuto da tanti giovani, circa il futuro della società , anzi del pianeta e della specie umana, registra come concretissima controtendenza la diffusa disponibilità a segnare tante presenze in progetti di volontariato, di cooperazione internazionale; in appelli contro la pena di morte, contro la tortura e il lavoro dei bambini; in gesti di consumo e di scambio equo. Ebbene, la speranza di giustizia che si costituisce in ogni ragazza e ragazzo nell'incontro con l'ingiustizia, così importante per definire quell'orizzonte di giustizia da perseguire viene provata da una torsione tutta particolare se vive un attraversamento non episodico e un incontro diretto con l'esperienza carceraria della pena, della colpa.. Non deve essere un incontro episodico, perché non resti solo l'impatto emotivo, e con solo alcune delle dimensioni della giustizia e dell'ingiustizia, della violenza, della sofferenza, dei diritti sospesi e di diritti diseguali che impastano l'esperienza umana nel carcere. La torsione di un'esperienza non episodica di diretto contatto con l'esperienza carceraria è dovuta al toccare l'esperienza dell'ingiustizia (o del dolore che ne deriva) "dall'altra parte": dalla parte di chi è stato attore di ingiustizia, protagonista di comportamenti illegali. Di chi ha procurato sofferenza ad altri, spesso agendo con la violenza. E così (spesso) procurandola alle persone a lui (o lei) più vicine e senza colpa. Procurandola, senza scampo, e infine anche a sé. L'elaborazione di questa sofferenza, nella colpa provoca processi di identificazione e di distanziamento diversi, più complessi e maturi. Che devono cogliere le parti di ognuno, (e di sé), distruttive, aggressive. E che pongono il problema di ricostruire una capacità e una fiducia d'essere di nuovo donne e uomini buoni e giusti, affidabili. Nonostante l'evidenza della "prova contraria". In questo modo l'esperienza di ingiustizia può diventare quella di cogliersi anche nella possibilità d'essere attori di ingiustizia, e causa di sofferenza. Anche da qui si pone una domanda, una "provocazione" alla giustizia, all'agire giusto: è possibile il riscatto di chi ha compiuto il male? È giusto lavorare, da un lato sulla ricomposizione e pacificazione dopo il delitto, dall'altro sulla evoluzione e sul ridisegno delle biografie di chi ha sbagliato, ha tradito, ha approfittato, ha violato? "È possibile ricostruire una almeno minima fiducia reciproca? E una fiducia in un sé rinnovato?" E confidare su parti di sé che, si sa, dovranno confrontarsi con quanto di negativo, e fragile e malvagio, di sé si è già manifestato? Fare i conti con la propria ombra, e tornare a credere. Percorsi di formazione su competenze, saperi, professionalità educative e sociali, sviluppati mentre si va definendo l'identità di giovani donne e giovani uomini vengono provati dalla torsione cui sono sottoposti.  |
- Pubblichiamo il racconto di Antonio Argentieri, apparso sul sito www.terramara.it, in cui denuncia un pestaggio subito da alcuni agenti del carcere di Arezzo nel 2004
- Pubblichiamo una serie di lettere inviate da detenuti a Radio carcere, trasmissione settimanale a cura di Riccardo Arena, su Radio Radicale
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