Un film molto “nostro” “Il mio non e’ un film sul carcere, ma un film nel carcere”. Davide Ferrario racconta “Tutta colpa di Giuda” il suo nuovo lungometraggio girato con un gruppo di detenuti nella casa circondariale delle Vallette di Torino, dove ha raccontato la storia di una giovane regista, interpretata da Kasia Smutniak che sperimenta uno spettacolo teatrale all’interno del carcere. Condizionata dal cappellano del carcere, l’autrice accetterà di mettere in scena “la Passione di Cristo” ma nessuno dei detenuti vuole interpretare Giuda e l’iniziativa sembra destinata a fallire. Sarà un’illuminante intuizione della regista a ricostruire le fila dello spettacolo…una rilettura della Passione in chiave molto originale: senza dolore, senza croce, senza Giuda.” Perché un film girato dietro le sbarre? “Sono arrivato in carcere per caso, nove anni fa, chiamato per due lezioni di montaggio in un corso di formazione professionale a San Vittore. L’impatto con i detenuti del penale del carcere e’ stato così forte che ho deciso di rimanere a lavorare come volontario e ho continuato alle Vallette dopo il mio trasferimento a Torino.” Qual è stata le tua prima impressione del carcere e che tipo di rapporto hai instaurato con i detenuti? “Io non sono entrato in carcere per fare del bene o per insegnare qualcosa a qualcuno ma ci sono andato senza una missione da compiere… questo stato d’animo è stato recepito positivamente e il rapporto con i detenuti e’ iniziato subito in modo paritario. La prima idea che mi sono fatto e’ che chi sta in carcere ha commesso errori ma non è certo lo stare rinchiusi in un posto in condizioni estreme e senza fare nulla che migliori la situazione. Di questo ho parlato molto con i detenuti e, secondo me, è stato più significativo di tanti grandi discorsi. Lavorare insieme è il miglior modo per insegnare qualcosa soprattutto se si tratta di un lavoro creativo che favorisce il rispetto e la collaborazione. ” Chi va oggi in carcere, in Italia? “Ci vanno i poveracci, a parte qualche rara eccezione. Il detenuto medio è un individuo che non è riuscito a trovare un posto nella società e che si ritrova a delinquere…. Non è certo una giustificazione, ma si tratta generalmente di persone prive di strumenti culturali e che spesso non hanno una reale coscienza delle conseguenze di un reato.” Pensi che il carcere possa essere efficace ai fini della rieducazione? “Il carcere rischia di produrre più devianza che presa di coscienza e pentimento” Il tuo film racconta una tematica religiosa sviluppata in un carcere…ma c’è un senso religioso tra detenuti? “In carcere, con mia grande sorpresa, ho trovato la più totale indifferenza nei confronti della religione e la presenza, nelle celle, di alcune immagini sacre come Padre Pio, è più superstizione che fede. Nella mia prima idea originale del film il tema della religione era più approfondito ma ho trovato fra i detenuti una tale solida laicità che ho preferito cambiare rotta. Il problema dei detenuti non è tanto il futuro in un eventuale aldilà quanto piuttosto il presente, difficile, difficilissimo, in un luogo come il carcere”. |
- Pubblichiamo il racconto di Antonio Argentieri, apparso sul sito www.terramara.it, in cui denuncia un pestaggio subito da alcuni agenti del carcere di Arezzo nel 2004
- Pubblichiamo una serie di lettere inviate da detenuti a Radio carcere, trasmissione settimanale a cura di Riccardo Arena, su Radio Radicale
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