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E la Corte Europea ha condannato l’Italia

Patrizio Gonnella

E la Corte ha condannato l’Italia nel caso Enea per violazione degli articoli 6 (giusto processo) e 8 (rispetto della corrispondenza privata) della Convenzione del 1950 sui diritti umani. Il 41 bis non è di per sé considerata una forma di trattamento inumano o degradante (su questo punto c’è però il parere dissenziente di due giudici) ma la Corte mette comunque  l’indice sulla impossibilità dei ricorsi individuali (troppo pochi dieci giorni di tempo) contro l’applicazione del regime che di fatto lo rendono ingiusto. Inoltre la Corte ha sostenuto che vi sia stata una violazione dell’articolo 8 della Convenzione visto  che per un periodo di lunghi dieci anni il sig. Enea ha subito  una ingiustificata censura della corrispondenza privata senza che ne sia stata provata la imposizione giudiziaria.
L’Italia nuovamente sotto la lente dei giudici europei, questa volta impegnati in procedimenti che riguardano l’applicazione del rito abbreviato e il 41 bis. Sono attese per stamani a Strasburgo le due sentenze della Grande Camera della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo relative ai procedimenti n. 9174/02, Enea v. Italia, e n. 10249/03, Scoppola v. Italia.
Franco Scoppola è detenuto a Parma per eventi che risalgono al settembre del 1999, quando una lite con i figli lo portò all’uccisione della moglie. Fu rinviato a giudizio per omicidio, tentato omicidio, maltrattamenti in famiglia e possesso illegale di arma da fuoco. Nell’udienza davanti al Gup scelse di avvalersi del giudizio abbreviato. L’allora versione del codice di procedura penale prevedeva che l’ergastolo venisse sostituito, in caso di giudizio abbreviato, con 30 anni di reclusione. Il 24 novembre 2000 il giudice condanna Scoppola a 30 anni. Ma proprio quel giorno entrava in vigore il decreto legge 341 apportante alcune modifiche al c.c.p., tra le quali quella all’art. 442 per cui, nei casi di concorso di reati e di reato continuato, si prevede ora, con il giudizio abbreviato, la sostituzione della pena dell’ergastolo a quella dell’ergastolo con isolamento diurno. Il pubblico ministero presso la Corte d’Appello di Roma fa ricorso contro la decisione del Gup, sostenendo che la sentenza dovesse confacersi al codice riformato. Il 10 gennaio 2002 la Corte d’Assise di Roma condanna il signor Scoppola alla pena perpetua, sostenendo che le norme procedurali debbano applicarsi a tutti i procedimenti pendenti al momento della loro entrata in vigore. Il signor Scoppola ricorre alla Corte Europea nel marzo 2003. Nel maggio 2008 la sua richiesta è dichiarata parzialmente ammissibile. Essa riguarda la presunta violazione dell’articolo 7 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (nessuna pena senza legge) e la compatibilità dell’art. 6 primo comma (diritto a un processo equo) con quanto introdotto dal decreto legge 341. Nel settembre 2008 la Camera cui il caso era stato assegnato rinuncia alla sua giurisdizione in favore della Grande Camera. Salvatore Enea è detenuto dal 1993 per varie ordinanze di custodia cautelare emesse nel quadro di inchieste sulla mafia e sconta oggi un cumulo di pena a trent’anni di reclusione. Questi gli eventi denunciati: dal 10 agosto 1994 fino almeno al dicembre 2003 è ininterrottamente sottoposto al regime di cui all’art. 41 bis ordinamento penitenziario con almeno 16 provvedimenti che rinnovano ciascuno il precedente. Il signor Enea è affetto da patologie che lo costringono su sedia a rotelle. Dal 18 giugno 2000 è ristretto nella sezione 41 bis del centro clinico di Secondigliano (Napoli). Fa richiesta di differimento pena e sospensione pena, entrambe rigettate con la motivazione che presso il centro gli è possibile beneficiare di ogni cura necessaria. Fa ricorso alla Corte, che lo accoglie parzialmente nelle parti riguardanti: la supposta violazione dell’art. 3 della Convenzione, che proibisce trattamenti inumani e degradanti cui Enea assimila la sua lunga detenzione in 41 bis; la compatibilità del regime di cui all’art. 41 bis con le condizioni di salute del sig. Enea; la censura della corrispondenza cui il detenuto è stato sottoposto (artt. 3 e 8 della Convenzione); il ritardo nel fissare l’udienza davanti al tribunale di sorveglianza per l’esame dei ricorsi avanzati dall’interessato (art. 6 comma 1 della Convenzione, diritto a un tribunale); la supposta violazione della libertà di manifestazione religiosa (art. 9). Si attende ora quest’ulteriore sentenza europea sul 41 bis, proprio all’indomani dell’entrata in vigore della norma che lo ha reso ancora più duro.

* L’articolo è apparso il 17 settembre 2009 sul quotidiano Italia Oggi
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