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COMMENTI DEI DETENUTI

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Oggi 14 maggio 2009, sui banchi di scuola del corso di scrittura tenuto dalla prof.ssa Luciana Scarcia all’interno del carcere di Rebibbia N.C., si è combattuta una piccola guerra silenziosa, una guerra di parole che ha lasciato sul campo molte vittime: tutti i pregiudizi vecchi e stantii che solitamente i detenuti, e io in particolare, ci portiamo appresso. Il relatore al quale dovevamo sferrare i nostri attacchi era il dott. della Ratta Rinaldi, magistrato di sorveglianza di Roma, che fin dall’inizio ha spuntato le nostre armi con un modo di fare accattivante e consapevole del suo ruolo di cuscinetto tra le numerose istanze, a volte incattivite da una lunga reclusione, che gli andavamo preparando, e la sua figura professionale. Lo ha fatto cercando di spersonalizzare l’immagine del giudice per diventare un simbolo tangibile della Legge, quella “Legge uguale per tutti” che ogni volta che lo leggo nelle aule dei tribunali mi procura una rabbia e una sfiducia implacabili, cosciente come sono di quanto sia elevato e confortante quel concetto e di quante volte invece vengano calpestate le aspettative che fa nascere proprio da chi riveste cariche istituzionali e si fa beffe di questa massima, che dovrebbe essere un monito e un confine invalicabile per tutti.
La mia impressione più potente è stata che lui, invece di mettersi in posizione di difesa per assorbire e difendersi dall’urto dello scontro di opinioni che ci sarebbe sicuramente stato, si sia schierato al nostro fianco per affrontare insieme tutti i nostri dubbi e le nostre rivendicazioni, guidandoci nei percorsi mentali che lui stesso, quando ha avuto i nostri stessi dubbi, ha dovuto intraprendere.
Io personalmente ho tirato un respiro di sollievo quando ha fatto una distinzione tra i concetti di Giustizia e Diritto e con due parole ha ammesso che il Diritto non è detto che coincida con la Giustizia perché quest’ultima si può applicare in modo netto solo in alcuni campi e in modo limitato, mentre il Diritto, proprio perché è una convenzione decisa a tavolino dall’uomo tenendo conto delle fonti primarie (la Costituzione, le norme superiori) e degli usi e costumi, può abbracciare tutti gli argomenti in tutte le loro sfaccettature.
Mentre spiegava queste cose mi sono venute in mente tutte le volte che, davanti a una decisione presa dalla legge nei miei confronti, mi sono detto: “Non è giusto!”. E ho capito che il senso del giusto può essere prettamente umano ed è fatto in parte di emotività, mentre il diritto deve stare al di sopra di questo e deve regolare i rapporti tra tutte le persone, ognuna con il suo senso di giustizia che vorrebbe far prevalere sull’altro.
Durante questa lezione-discussione il dott. della Ratta è riuscito a rendere affascinanti questi argomenti, di solito così ostici e pieni di input esplosivi vista la classe di detenuti che li stavano ascoltando, ognuno dei quali con le sue giuste rivendicazioni verso una sentenza sfavorevole o un rigetto incomprensibile, e desideroso di avere una spiegazione esauriente per l’ingiustizia subita.
Questo è stato il momento più critico, nel quale mi sarei aspettato un suo dribbling elegante per dirottare l’argomento su altri lidi più sicuri; ma non è stato così, anzi: ha esordito spiegando perché lui personalmente ha rifiutato alcune istanze, motivando le sue scelte passo dopo passo, con la serenità di chi ha fatto il possibile per aiutare rimanendo nei confini imposti dalla legge, ma attingendo anche il più possibile dalla propria umanità. Mentre diceva questo ho letto nei suoi occhi tutte le volte che ha dovuto prendere una decisione sofferta e dolorosa, che ha dovuto in poche righe, a prima vista fredde e asettiche, negare la libertà a una persona che soffriva.
Soprattutto questo è stato il mio stupore: scoprire che  quella che consideravo una figura inaccessibile, un alieno, in realtà è fatto della mia stessa sostanza e che spesso ha condiviso i miei timori o i miei dubbi, e a volte avrebbe voluto ribellarsi alle scelte che doveva fare.
Finita la lezione, è rimasto questo stupore ad accompagnarmi: io sono stato d’accordo con lui su tutto, e il fatto che lui sia giudice e io detenuto non cambia la sostanza che la nostra parte più intima, la nostra coscienza è sincronizzata sulle stesse cose, sugli stessi valori, anche se poi una miriade di situazioni contingenti ci hanno portato a scelte radicalmente diverse.
Quella di oggi è stata una lezione che farà parte per sempre del mio bagaglio culturale; sento di aver conosciuto una persona aperta e saggia dalla quale imparare senza sentirsi giudicati.

Federico Abati


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Il 14 maggio 2009 noi detenuti del Laboratorio di scrittura abbiamo avuto il piacere di partecipare ad una lezione sul Diritto tenuta dal M.D.S. dott. della Ratta Rinaldi. La lezione sinceramente è stata molto interessante sia per gli argomenti toccati sia per il fatto che veniva tenuta da un magistrato ad un gruppo di detenuti.
E’ stata veramente un’importante iniziativa perché, in un certo senso, c’è stato, se si può dire, l’avvicinamento tra due realtà abbastanza lontane.
A noi detenuti interessava sapere un po’ i criteri che un giudice adotta per vagliare ogni singolo caso. Ci interessava capire se le valutazioni su di noi un giudice le prende solo in base al nostro reato, alla nostra personalità o se viene anche preso in considerazione il diritto.
Io, sinceramente, per varie vicende personali, non sono pienamente fiducioso verso i magistrati. Però non ho mai creduto che ci siano solo indifferenza o superficialità da parte loro, anzi, guai se fosse così. Però il dott. della Ratta, anche se a mio avviso è davvero un giudice garantista, non credo potrà far molto per aiutarci e far valere veramente il diritto come tale. Io penso che la pena in Italia sia vista e gestita nel più totale caos.
I tribunali sono lenti, come spesso la stampa denuncia, ma non lenti in modo uniforme. Da noi c’è troppo scollamento tra l’Amministrazione penitenziaria e i Magistrati di sorveglianza, che spesso, anche se sono disponibili come il dott. Della Ratta, si trovano davanti detenuti che dopo anni non hanno ancora avuto un’osservazione sul trattamento fatto.
Il Diritto, come lui ci ha spiegato, aspira alla giustizia e ci deve essere; ma dovrebbero essere riconosciuti anche i nostri di diritti, che invece spesso sono veramente calpestati. Non mi va di fare esempi, però se penso che ci sono leggi in base alle quali vengono applicate delle multe a un allevamento che non rispetta i metri quadri previsti per ogni maiale, e poi scopro che un maiale ha in media il doppio dello spazio che ha un detenuto in cella, allora divento triste.
Non voglio essere pessimista, ma per me il dott. della Ratta si perderà in quell’ingranaggio malato che è la giustizia italiana, o, meglio, lo faranno perdere, gli impediranno di portare un po’ di nuovo, anzi un po’ di fiducia. C’è troppa differenza tra come si pone lui, considerandoci persone, e lo stato che ci considera numeri.
E allora tra un po’ di anni un altro detenuto scriverà le stesse cose dopo un incontro con un giovane magistrato con buoni propositi. E il ciclo ricomincerà, ma cambierà qualcosa?

Stefano Campli

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L’ incontro con il magistrato di sorveglianza Dott. della Ratta  che è avvenuto in questo laboratorio il 14 maggio 2009 mi ha sorpreso. Sinceramente in me si sono aperte le porte della speranza: ammettendo infatti che la legge non è La Giustizia ma solo è usata come deterrente per far sì che il patto sociale sia rispettato, si ammette che non è infallibile, quindi è migliorabile.
Da questa parte della barricata è difficile accettare il fatto che chi ci ha condannati non è perfetto, questo atteggiamento forse si rifà alla nostra fede cristiana – chi è privo di colpa scagli la prima pietra –, quindi quando vediamo delle palesi contraddizioni nell’applicazione della legge crescono in noi una miriade di frustrazioni difficilmente gestibili coi metri della razionalità.
Il Dott. della Ratta ci ha spiegato che dietro al mondo di codici e cavilli c’è stato un grandissimo lavoro e tanto ce ne sarà al fine di avvicinarsi sempre di più alla giustizia. Questo senso di una struttura non rigida ma in movimento atta a riconoscere i suoi stessi errori per poi sanarli mi fa essere più ottimista.
Massimo Mostardini


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Si è presentato da solo, senza il solito codazzo di agenti di scorta e questo, da solo, vale la mia personale stima, prima all’uomo e poi al Magistrato. Ascoltarlo è piacevole, perché usa lo stesso tono pacato e rilassato davanti a qualsiasi domanda, anche a quelle indirettamente collegabili alle sue decisioni umane. Ha illustrato adeguatamente le leggi penitenziarie e il contesto umano in cui le decisioni sul reinserimento sociale si prendono e si attuano.
Sinceramente sono in un momento storico della mia detenzione in cui non ho una buona opinione della Magistratura di sorveglianza e delle decisioni che ultimamente sono state adottate nel mio caso specifico, ma questa mia condizione “spirituale” e umorale non mi può impedire di riconoscere il merito a questo magistrato di essere diverso negli atteggiamenti e nell’approccio conoscitivo dei detenuti, distinguendosi dagli altri magistrati.
La domanda che mi viene spontanea è: perché i suoi colleghi sono così limitati e ingessati nel processo di reinserimento sociale? In fondo fanno lo stesso lavoro.

Corrado Ferioli


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61.481 detenuti
il 7/2/2014


Osservatorio sulla contenzione
a cura di Grazia Serra

  
   

   
    a cura di Francesco Gentiloni

" Il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri"
Voltaire

 


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