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Da qui all’eternità


1954: mezzo secolo fa. In quel tempo la vita era molto difficile, ma bella nonostante tutto, in quella terra d’Argentina grande e ricca, che, confinando a Sud con il Polo e a Nord con il Brasile, distribuisce le quattro stagioni contemporaneamente su una natura splendida e meravigliosa.

La terra  fertilissima  è di 400 famiglie imparentate fra di loro, le persone più ricche del cono Sud, sempre le stesse, che diventano sempre più ricche, mentre il povero sempre più povero.

Tutto era degli altri. Ma tutto era anche mio, facevo anch’io parte dell’umanità. Soffrivo per la guerra d’Indocina, soffrivo per la guerra del Vietnam, ma soprattutto soffrivo quando a mezzogiorno non avevo da mangiare. Ero libero, libero come il vento, ma avevo ereditato secoli di miseria, la mia fame era millenaria.

E così, bambino tenero, cercavo il mio destino e il pane quotidiano, in qualunque maniera, anche andando a rubare. Nessuno è perfetto, dicevo io ridendo, non conoscevo vergogna; l’unico rimorso era rubare senza portare niente a casa .

La mia scuola era la strada, il mio sangue mi diceva: andiamo! E io andavo dalla mia povera casa di periferia al centro della città. Sotto di me nessuno, sopra di me soltanto il cielo. Volevo una fetta di quella torta. Quella torta era di tutta l’umanità, di cui facevo parte anch’io. Dov’era scritto che gli altri potevano mangiarla e io no?

Un bel giorno mi hanno preso per il bavero e ho perso la mia amata libertà. Mi sono svegliato al riformatorio, al centro della città. Ero in carcere, lontano dalla luce.

Mia madre venne a trovarmi: «Ma cos’è che ti mancava a casa?».

Io la guardai nell’infinito dei suoi occhi e le dissi: «Tutto mamma, mi mancava tutto! Se un essere umano ha fame, è ammalato, non ha la luce o non frequenta la scuola, è una cosa che riguarda tutti. Tu e io siamo cresciuti in una baracca, e anche questo è una cosa che riguarda tutti, ed è una cosa seria. Il mondo è di tutti, voglio la mia parte!»

Così è finita la mia immensa libertà ed è cominciata l’attesa del giudizio. Già prima di raggiungere l’età adulta avevo perso il conto delle mie attese. Durante mezzo secolo trascorso a girare il mondo, questo tipo di attesa diventò abitudine.

Senza ancora distinguere il bene dal male, cominciai il mio pellegrinaggio verso il Nord. Dovevo conoscere la parte ricca del mondo, il mio cuore mi diceva: vai! e io andavo, ma pensavo sempre alla mia famiglia. Volevo capire. Qual è la verità? Chi me la può svelare? E come?

Così andai dalle cascate dell’Iguazù alle altezze del Machu Pichu; nella baia di Guanabara vidi il Cristo Redentore Onnipotente. Come dimenticare il museo Antropologico del Messico e a 60 km la Piramide della Luna e quella del Sole? Poi arrivai nella “grande mela marcia”, di fronte alla maestosa statua della libertà e rimasi sbalordito alla vista delle cascate del Niagara. Com’è bella l’America!

Nel cammino avevo perso tutto: l’onore, la vergogna…, dell’onestà mi rimase soltanto la parola, eccola qua.

2004: sono a Roma, la città eterna, la più bella del mondo, e sto pagando vecchi conti di tanti anni fa. Questo ormai fa parte della mia vita, e la prendo con ironia.

Ascolto in TV i potenti del mondo parlare di democrazia, giustizia, libertà, diritti dell’uomo ecc. ecc... Io nel mondo non ho visto mai giustizia, né pietà, né ragione, né umanità. Ho visto guerre, violenze, torture, terrorismo, povertà, fame, vendette, massacri ecc. ecc... Questo è un mondo violento, a cominciare da me stesso che, come membro della famiglia umana, sono un prodotto di questa follia, egoismo puro…

Ma c’è sempre un’ultima attesa, l’incognita dell’attesa finale. Siamo nati con il destino di sparire un giorno o un altro. La vita e la morte sono un tutt’uno.

Il mio cadavere sarà pieno di mondo. Non avrò paura, me ne andrò così come ho vissuto, con un sorriso tra le labbra a cercare mia madre, i suoi occhi di stelle, le sue guance di luna. Libero per sempre a godermi l’eternità!

 

Sono all’ombra e senza cielo,

manca lo spazio, c’è l’oscurità.

La mia carne sbandata chiede luce

in questa attesa della libertà.

 

Tango

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il 7/2/2014


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Voltaire

 


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