Scrivere al fresco |
a cura di Luciana Scarcia
La penna è un ago con cui rammendo la mia vita: in questi versi di Tonino Milite la sintesi del senso dello scrivere in carcere.
La scrittura sottrae la vita alla distrazione, alla scontatezza del quotidiano, ri-costruisce il passato, segnala indizi di trasformazioni future. Raccontare la vita è come rifare il percorso una seconda volta per trovare i nessi tra gli eventi e dar loro un significato. Un continuare le storie non dette. Questo è vero anche in carcere, per uomini “distratti” dalla fatica dei problemi e del dolore? Sì, anzi per loro ancor di più, perché si scrive quando non si agisce, quando ci si sente in difficoltà alle prese con la realtà, e si sceglie un altro mezzo per intervenire, un altro modo di comunicare, quando serve creare una distanza, un tempo per riflettere. La scrittura allora per accompagnare pensiero e riflessione, e magari si scopre qualcosa di nuovo, si ri-conoscono le cose vere, ci si ri-conosce. E infatti in carcere si scrive: certo a scopo funzionale (domandine, istanze, relazioni sulla propria situazione processuale…), ma anche per espressione personale (lettere, diari, poesie…) e in attività organizzate (redazione di giornali, laboratori, partecipazione a concorsi…). Ma a queste attività non viene riconosciuto un valore formativo, si fanno per tradizione, per iniziativa di qualche volontario, per riempire il tempo... Eppure la scrittura, in particolare la narrazione (di ogni tipo), sono riconosciute come metodi efficaci nei contesti educativi, oltre che come potenziatori della creatività. Dunque, che si pratichi la scrittura di più e meglio, e con più convinzione da parte di chi la promuove. Ecco dunque il senso di questa rubrica: valorizzare, diffondere e rendere visibile la scrittura in carcere. Scrivere al fresco per raccontare di sé, per inventare, fare poesia, comporre sceneggiature, canzoni ecc.
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