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Lugubre miraggio
Luigi Manconi
Quella annunciata ieri dal ministro della Giustizia, Angelino Alfano, è né più né meno che una utopia negativa e un lugubre miraggio o, più semplicemente, una balla colossale, in cui è difficile discernere ciò che rimanda a una spensierata irresponsabilità e ciò che rivela una torpida insipienza. Nel corso del dibattito alla Camera, tenacemente voluto dal deputato Radicale Rita Bernardini, il ministro ha pronunciato frasi temerarie: in particolare, ha affermato che il “piano carceri” - annunciato un anno e mezzo fa, sempre differito e che oggi verrà approvato  dal Consigli dei ministri - porterà l’attuale capienza (43 mila) fino a 80mila posti-letto. In tutta evidenza, si tratta di un’affermazione priva, assolutamente priva, di qualunque fondamento di realtà. Mero esercizio di una fantasia esuberante. La conferma viene dalla vicenda esemplare, ma non unica, del carcere di Gela: progettato nel 1959 (avete letto bene, nel 1959), finanziato nel 1978, completato nel 2007 quando l’istituto viene inaugurato dall’allora ministro Clemente Mastella. L’apertura, nella più ottimistica delle valutazioni, è prevista per il luglio del 2010. Non si tratta di una anomalia così rara: uno studio attendibile ha indicato in dodici anni il tempo medio per la realizzazione di un carcere. E seppure si dichiarasse lo “stato di emergenza” - che non sta né in cielo né in terra e tanto meno nel nostro ordinamento, se non in caso di catastrofi naturali - i tempi si ridurrebbero della metà, nella migliore delle ipotesi. E, dunque, anche il fantasmagorico aumento dei posti letto, si rivelerebbe insufficiente rispetto a una popolazione detenuta che, nel frattempo, sarebbe cresciuta di altre 50/60 mila unità. Insomma, non siamo di fronte a un realistico progetto di politica criminale: piuttosto, assistiamo stupefatti a un esercizio di alta acrobazia aritmetico-ideologica, che sarebbe perfino mirabile se non fosse giocata sui corpi reclusi,  sulle loro sofferenze, su quelle tante morti le cui cause sono “da accertare” (mai così tante come nel 2009) e sui quei suicidi (mai così tanti come nel 2009). Eppure, le soluzioni alternative – concretissime e razionalissime – ci sono, eccome. La Costituzione parla di “pene” e non di “pena detentiva” o di “carcere”: perché condannarsi a condannare sempre e comunque al carcere, anche quando esso non è necessario e, anzi, può essere dannoso? Perché non incentivare il passaggio, nel modo più ampio possibile, dalla cella chiusa alle misure alternative, dal momento che la recidiva dei detenuti è tre volte e mezzo superiore a quella di chi sconta la pena fuori dalla galera? Come hanno fatto notare i giudici federali al governatore della California, Arnold Schwarzenegger, che ha problemi di sovraffollamento simili ai nostri, ne verrebbero ingenti risparmi di spesa da reinvestire non solo in programmi di sostegno ai condannati in misura alternativa, ma anche alle necessità finanziarie dell’intero sistema di giustizia. Ma, in Italia, Schwarzenegger è solo quello di Terminator.
Il Manifesto 13 gennaio 2010
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Voltaire

 


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