Stefano Cucchi Gennaro Santoro (Associazione Antigone) Stefano Cucchi, secondo l’avviso di fine delle indagini preliminari indirizzato a 13 indagati, è stato pestato dagli agenti della polizia penitenziaria e, di fatto, lasciato morire in un reparto ospedaliero carcerario. Cade l’accusa di omicidio: eppure Stefano era sano al momento dell’arresto ed esce morto dopo le violenze inflitte dal personale penitenziario; violenze aggravate dall’abbandono medico cui è costretto Stefano durante il ricovero al Pertini; violenze ed omissioni che insieme, e aldilà della loro specifica incidenza che verrà riconosciuta a fine processo, hanno causato la morte di Stefano. Niente di più elementare da un punto di vista narrativo, prima ancora che giuridico: “senza quelle botte Stefano non sarebbe morto.” ha giustamente ricordato la famiglia Cucchi. È chiaro che escludere un ruolo decisivo delle percosse nella causazione dell’evento morte, escludere una responsabilità diretta del personale penitenziario (oltre che di quello medico) e dunque far cadere il capo di imputazione di omicidio significa infliggere un duro corpo alla coscienza democratica del nostro paese. Ancora una volta lo Stato si auto assolve dall’accusa più grave che possa esistere nei moderni stati costituzionali: l’accusa di essere un boia, colui che uccide chi è sottoposto al suo assoluto controllo perché limitato nella propria libertà personale. Certo, l’accusa di omicidio non avrebbe restituito il ragazzo ai suoi cari, ma avrebbe avuto un’importanza fondamentale nella ricostruzione processuale della verità, nel riconoscimento pieno delle responsabilità e, soprattutto, avrebbe rappresentato un monito importante contro chi è preposto al controllo di essere umani nelle istituzioni totali come è un carcere o un tribunale o un luogo di fermo presso un commissariato. Gli esisti dei procedimenti penali relativi ai fatti di Genova nel 2001 o a morti come quelle che hanno interessato Aldo Bianzino, Stefano Aldrovandi e altre vittime sacrificali, in uno con la mancanza nel nostro sistema giuridico della previsione del reato di tortura (che avrebbe impedito la prescrizione dei processi sui fatti di Genova) e, soprattutto, del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà (che permetterebbe di prevenire la commissione di crimini come la tortura), devono indurci a creare una unione trasversale, un patto di resistenza non violenta contro i crimini di stato e la loro (parziale) impunità. Troppo spesso gli agenti autori di tali misfatti ricevono copertura: è successo a Genova, come nel caso di Cucchi, dove è rinviato a giudizio anche un dirigente del Provveditorato regionale che avrebbe occultato il pestaggio; e troppo spesso tali signori ricevono promozioni (vedi Genova), quasi che la tortura di stato (e i reati, come il favoreggiamento, ad essa connessi) divenisse un banco di prova per conquistare i posti più alti della pubblica amministrazione. Al contrario, lo stato costituzionale moderno si fonda, come ci ricorda Bobbio, su una pre-regola, sull’idea che il rispetto della vita e della dignità umana è la condizione indispensabile della convivenza pacifica. Ferrajoli addirittura arriva a dire che la lesione dei beni essenziali “da parte dello stato giustifica non semplicemente la critica o il dissenso, come per le questioni non vitali su cui vale la regola della maggioranza, ma la resistenza all’oppressione, fino alla guerra civile. ‘Su questioni di esistenza’, è stato detto, ‘non ci si lascia mettere in minoranza’ (Diritto e ragione, pag. 900). E ciò non certo viene detto per incoraggiare la guerra civile, quanto per evidenziare la straordinaria gravità di tali comportamenti perpetrati dalle autorità statuali. Intanto il centrodestra è andato sotto in Commissione e il centro sinistra, grazie all’assenza degli assenza degli ex-An, è riuscito a rendere pubblico il contenuto dell’inchiesta parlamentare sul caso Cucchi. Un segnale importante, speriamo, non isolato. |
- Pubblichiamo il racconto di Antonio Argentieri, apparso sul sito www.terramara.it, in cui denuncia un pestaggio subito da alcuni agenti del carcere di Arezzo nel 2004
- Pubblichiamo una serie di lettere inviate da detenuti a Radio carcere, trasmissione settimanale a cura di Riccardo Arena, su Radio Radicale
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